30/06/2011
Il regista francese Xavier Beauvois.
Pure un mercato solitamente prevedibile
tipo quello della pellicola a volte
riserva piacevoli sorprese. Come era
già successo per Il grande silenzio del
tedesco Philip Gröning, che raccontava la vita
dei monaci della Grande Chartreuse sulle
Alpi francesi del Delfinato, anche Uomini di
Dio (ma l’originale Des Hommes et des Dieux
rende meglio l’idea) è stato accolto da un caloroso
successo di pubblico (oltre tre milioni
di spettatori in Francia) dopo il Gran Premio
della Giuria del Festival di Cannes. Ne è autore
il quarantaquattrenne Xavier Beauvois,
che ricostruisce la tragedia che si consumò a
Tibhirine nel 1996, dove sette trappisti cistercensi
di un monastero sulle montagne
dell’Atlante algerino furono rapiti da un
gruppo di integralisti islamici e poi barbaramente
trucidati.
Alcune scene del film Uomini di Dio.
Il film rievoca gli ultimi mesi vissuti dalla
comunità: la preghiera, lo studio, il lavoro,
l’ambulatorio medico aperto a tutti, la vita
sociale e perfettamente integrata con quella
della popolazione musulmana, con i monaci
che partecipano alle attività lavorative della
gente del posto, alle feste, alle ricorrenze e si
occupano delle quotidiane necessità sanitarie
gestendo un ambulatorio medico. Ma l’atmosfera
di pace di Tibhirine (che in arabo significa
“giardino”) è interrotta da allarmanti
notizie. Un giorno alcuni lavoratori croati sono
massacrati da esponenti del fondamentalismo
islamico e altri attentati del genere
spargono il panico fra gli abitanti della regione.
Nel frattempo l’esercito algerino, con metodi
spicci e sbrigativi, vorrebbe imporre ai
monaci una protezione armata. I fratelli la rifiutano,
ma ben presto altri uomini in armi
si presentano al monastero.
Sono integralisti islamici, gli stessi che
hanno rivendicato la responsabilità del massacro
dei lavoratori croati e che ora, con le armi
spianate, pretendono l’assistenza dei monaci
nel loro covo per curare i terroristi feriti.
I religiosi riescono a resistere alle minacce e
gli assalitori se ne vanno, ma lo spavento lasciato
dall’episodio è grande. Che fare? Raccogliere
il perentorio invito dei guerriglieri
e tornare in Francia oppure restare e, sfidando
la morte, continuare la missione?
I religiosi sono divisi. Se il fratello medico (ruolo in cui figura uno straordinario Michael Lonsdale) risponde: «Non ho paura di niente, nemmeno della morte. Sono un uomo libero», frère Christophe (Olivier Rabourdin), il più giovane del gruppo, si chiede perplesso: «Morire qui, ora, è veramente utile?». La risposta la fornisce il priore (un intenso Lambert Wilson): «La tua vita l’hai già data offrendola a Cristo».
Il monastero di Tibhrine.
Le parole delle litanie intonate nella cappella
ribadiscono il concetto, e il Vangelo
scioglie ogni dubbio: «Chi cercherà di salvare
la sua vita la perderà». Parole che annienteranno
le riserve mentali del giovane Christophe,
al punto di fargli dire: «Che Dio apparecchi
qui la sua tavola, amici e nemici».
I monaci di Uomini di Dio non sono eroi e
tanto meno fanatici invasati assetati di martirio,
ma uomini fra gli uomini, fragili e preoccupati
di fronte a eventi più grandi di loro,
sensibili all’ansia e alla paura.
Severo senza essere pedante, asciutto
senza essere noioso, rigoroso senza essere
ingessato, Uomini di Dio è un film che trascina
e appassiona per il modo in cui, di fronte
al grave pericolo che li minaccia, i monaci
cercano di dare un senso alla propria vita e
testimoniare la coerenza del proprio ruolo.
Umano prima ancora che religioso. Non testardaggine,
non orgoglio e neppure superbia,
ma scelta fondamentale di vita in nome
di identità, dignità e responsabilità.