11/04/2012
Una manifestazione contro la 'ndrangheta a Lamezia Terme.
I giornali calabresi sembrano le pagine dei vecchi mattinali della polizia. A sfogliarli pare che non ci sia angolo di questa terra dove non è in corso un’estorsione, un’indagine, una retata delle forze dell’ordine, una macchina fatta saltare in aria, minacce al sindaco, al magistrato, alla persona scomoda di turno.
Quella della ’ndrangheta è una presenza pervasiva, costante – la relazione della Commissione antimafia la definisce“istituzionalizzata” – che macchia e imbratta la bellezza dolorosa della regione. Nell’ultimo anno i reati legati alle cosche sono aumentati del 21 per cento, nonostante il forte contrasto di Polizia e Carabinieri e il processo“Crimine”, che si è concluso con la condanna del boss Domenico Oppedisano e la condanna di un centinaio di affiliati.
«Non dobbiamo farci intimorire», ha sempre ammonito monsignor Giancarlo Bregantini, per anni vescovo di Locri. «Non dobbiamo dipingere la ’ndrangheta come invincibile, non è così forte come ci vuol far credere», scrive anche dalle pagine del suo libro Non possiamo tacere. Per sconfiggerla servono proposte e idee e la Calabria sembra sulla buona strada.
Lo dimostra, paradossalmente, proprio il susseguirsi, negli ultimi tempi, di gesti intimidatori anche contro tanti sacerdoti. «Una ’ndrangheta che attacca la Chiesa è debole. Significa che sta perdendo il suo consenso sociale, ma anche che la Chiesa ha cambiato modo di agire», spiega Nicola Fiorita, docente di Diritto ecclesiastico all’Università della Calabria e autore del saggio Mafie e Chiesa: «Si può dire che c’è stata una lunga e colpevole tolleranza, ma oggi l’atteggiamento è cambiato. Si fa prevalere la sostanza del messaggio evangelico sull’esteriorità dei comportamenti e sulla condivisione solo formale dell’insegnamento ecclesiale. Condivisione formale e ostentazione che sono il principale modo di agire mafioso».
«Ormai tutti hanno capito che mafia e Vangelo non possono andare insieme», aggiunge don Pino De Masi, parroco a Polistena, referente di Libera per la Calabria e fondatore della cooperativa Valle del Marro. Sulle terre confiscate alle ’ndrine si coltiva e si produce. In un altro stabile si sta mettendo in funzione un centro ricreativo. Intollerabile per i padrini della ’ndrangheta. Che allora taglia le piante, minaccia i preti, prova a interrompere la produzione. «Ma noi continuiamo a lavorare, anche sul fronte dell’educazione. Perché adesso si tratta di intervenire anche sull’altra questione, quella della “mafiosità” insita un po’ in tutti noi. Ai mafiosi dobbiamo predicare che la mafia è un peccato sociale e che chi intende convertirsi non può farlo solo a parole, deve fare come Zaccheo: dò la metà dei miei beni ai poveri e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto. Nei confronti della zona grigia bisogna impegnarsi a dire no a tutte quelle situazioni ambigue in cui ci siamo imbattuti come cristiani ma anche come Chiesa istituzione».
Una posizione così netta indebolisce le cosche. «I mafiosi», spiega il professor Fiorita, «hanno bisogno di un radicamento nella cultura del luogo di origine. Tale radicamento viene, in prevalenza, dalla partecipazione ai riti, alle cerimonie e più in generale dall’appartenenza visibile e riconosciuta alla Chiesa cattolica. Per questo è intollerabile una presa di distanza tanto chiara».
E anche se ci sono «tante Calabrie sia dal punto di vista delle caratteristiche della mafia sia da quello dell’antimafia», aggiunge Sabrina Garofalo, referente di Libera per Cosenza, «il punto in comune è quello delle proposte concrete. La mafia ha paura quando si attacca il suo patrimonio, si crea lavoro, si costruisce qualcosa tutti insieme».
E per la prima volta insieme nel quartiere Capizzaglie, una delle zone a più alta densità mafiosa di Lamezia Terme, si sono ritrovati giovani e meno giovani per una serata di solidarietà a don Giacomo Panizza, l’ennesimo sacerdote vittima di atti intimidatori. Dopo l’attentato alla comunità da lui fondata, Progetto Sud, i calabresi hanno organizzato la manifestazione Il giorno che non c’è... la’ndrangheta.
Sul palco è salito anche il procuratoredi Lamezia Salvatore Vitello per ringraziare la Chiesa e per dire ai mafiosi: «Fermatevi, l’unica prospettiva che avete è il carcere o la morte. Non illudetevi anche se adesso guidate auto potenti e lussuose, ve le confischeremo. Fermatevi adesso, perché il nostro presidio di legalità non arretrerà». La Chiesa calabrese è in prima linea «e può essere la vera forza di questa regione», conclude Fiorita, «perché i politici hanno le scadenze elettorali, gli imprenditori hanno i loro interessi da far fruttare, la Chiesa può permettersi, invece, strategie di lungo periodo. E nel lungo periodo sicuramente non sarà la mafia a vincere».
Annachiara Valle