Disponibilità e caratteristiche dei servizi, Daniela Capitanucci

11/08/2010

A fronte di una sempre crescente disponibilità di giochi d’azzardo e di una progressiva disillusione circa le proprie possibilità individuali di raggiungere attraverso sforzi e capacità personali quell’immagine sempre più frequentemente proposta dai mass media, in cui i valori sono quelli di avere piuttosto che di essere, dalla fine degli anni Novanta si è osservato un forte incremento degli italiani disposti ad affidarsi al caso, praticando tali giochi come unica opportunità di successo e si è constatato il conseguente aumento di situazioni patologiche (Eurispes, 2000).

Parallelamente le istituzioni politiche e socio-sanitarie sembrano però sottostimare l’impatto del "gioco d’azzardo eccessivo", nonostante esso abbia tutte le premesse per configurarsi come uno dei più gravi problemi psico-socio-sanitari che la nostra comunità potrebbe trovarsi a fronteggiare tra breve. Lo psichiatra Cancrini, già nel 1996, definiva il gioco d’azzardo (in lingua inglese, gambling) «una tossicomania senza farmaci». Ciò nonostante, gli operatori dei Sert (Servizi territoriali), travolti dai loro inconoscibili destini futuri legati a una politica socio-sanitaria che di gioco d’azzardo non ha ancora cominciato a occuparsi, nella migliore delle ipotesi hanno finito col relegare questa patologia ai margini delle loro attività, talvolta persino scotomizzandola tra i loro stessi pazienti tossico e alcoldipendenti in trattamento.

In modo analogo, gli operatori sociali dei Comuni non rilevano dati di allerta e, salvo sporadici casi, come per l’alcolismo, sono i gruppi di "mutuo aiuto" a fornire in molti territori le risposte a questi pazienti e ai loro familiari, consunti dalle conseguenze del gioco sfuggito a ogni controllo ed estenuati dalle ricerche, spesso tortuose, compiute per riuscire a identificare un luogo ove portare la richiesta di aiuto.
Mancano, è vero, dati epidemiologici precisi sulla prevalenza di questo disturbo nella nostra popolazione e le poche ricerche disponibili sono state condotte nell’arco degli ultimi due anni. Ma un dato per tutti fa riflettere: possiamo ritenere che il 6% della popolazione adulta di sesso maschile abbia un problema di gioco eccessivo (Eurispes, 2000) e tale percentuale sarebbe assai più elevata nei soggetti dipendenti da sostanze, oscillando tra il 22 e il 32% (Capitanucci e Biganzoli, 2000).
Non entrerò qui nel merito dell’inquadramento diagnostico, trattato dettagliatamente altrove (Croce, Zerbetto, 2001). Mi limiterò solo a sottolineare che la complessità del problema (che investe il giocatore patologico a più livelli – individuale, familiare, sociale – impattando su più sfere della sua esistenza – psicologica, sanitaria, relazionale, economica, legale, occupazionale, e quant’altro –) necessita di una risposta pluridimensionale.

Le équipe multidisciplinari dei Sert, abituate da anni a un lavoro integrato sulle dipendenze patologiche, sono particolarmente adeguate ad accogliere il problema del gambling, sia per modalità di lavoro adottate, sia per tipologia di figure professionali presenti. L’aggiunta di un consulente fiscale e legale nello staff, per orientare i pazienti e i loro familiari a gestire situazioni ormai complesse e compromesse quali sono quelle che si presentano ai servizi nel momento in cui viene finalmente formulata la richiesta di aiuto, sarebbe un’integrazione auspicabile. Anche la possibilità di fare inserimenti in regime residenziale a breve termine sarebbe utile, sia in quei pochi casi in cui le risorse familiari del paziente fossero insufficienti o esaurite, sia nel caso di severe depressioni e rischio suicidario, non infrequenti in questa patologia.
Pur essendo di importanza decisiva, questo intervento di primo livello sul paziente giocatore e sulla sua rete primaria ristretta non dev’essere necessariamente erogato esclusivamente dai Sert: esso può essere infatti garantito anche da enti del privato sociale che lavorino in collaborazione con il servizio pubblico o secondo i criteri stabiliti.
Vi è un altro livello di intervento, tanto necessario al buon esito del trattamento quanto spesso trascurato, che è quello in cui i Sert (o i dipartimenti delle dipendenze dell’Asl, laddove esistano), a mio avviso, rivestono inequivocabilmente un ruolo cruciale che solo loro possono svolgere: costruire, con quanti più interlocutori possibile, una rete territoriale di supporto al giocatore d’azzardo.

Negli anni in cui la sua patologia è progredita, infatti, il giocatore è entrato in contatto, oltre che con i suoi familiari, conoscenti, amici, compagni di gioco e colleghi di lavoro (rete primaria allargata), certamente anche con fornitori di gioco, banche, finanziarie, usurai (reti secondarie di mercato), con enti di volontariato, parrocchie, Caritas, gruppi di mutuo aiuto (reti secondarie di terzo settore) e infine, con i servizi sociali del Comune, i servizi specialistici dell’Azienda ospedaliera e dell’Asl, con il sistema giudiziario penale (reti secondarie formali) rendendo auspicabile, per la risoluzione del problema portato, un intervento di rete che ricomponga in un unico quadro di intervento il mondo ormai frantumato delle relazioni del giocatore.
In questa prospettiva, dunque, i Sert, pur essendo solo uno dei numerosi attori in gioco, hanno una posizione privilegiata nell’ambito della rete nella quale si è mosso il giocatore e attribuire a tali servizi esclusivamente un ruolo clinico, per quanto di competenza, sarebbe riduttivo.

Il ruolo dei Sert
Un’ipotesi possibile è quella che il Sert, attraverso i suoi operatori, svolga il ruolo di guida relazionale, una sorta di regia, che governi e presidi le reti secondarie, favorisca e promuova le reti primarie, nell’ambito di una progettazione comune. Tutti questi attori possono essere infatti connessi con legami diversi per tipologia e intensità, che vanno definiti alla luce della differenziazione operativa di ciascuno e del loro grado di coinvolgimento nel progetto (Sanicola, 1997).
L’obiettivo di attivare una rete di supporto al giocatore d’azzardo mobilitando le risorse presenti, purtroppo non pare raggiungibile a breve termine. Come si notava all’inizio infatti, almeno allo stato attuale, il livello di percezione sociale del problema del gambling è ancora basso, sia tra gli operatori psico-socio-sanitari, sia nella popolazione generale, sia nei politici, e ciò non rende facilmente percorribile la strada per sviluppare una norma condivisa per l’azione.
Il Sert in questa prima fase può comunque farsi promotore di iniziative intermedie che diano visibilità al problema e coinvolga altri interlocutori nella progettazione di eventi volti ad aumentare la soglia di attenzione.
Con questo obiettivo, il dipartimento delle dipendenze dell’Asl della Provincia di Varese ha avviato da oltre due anni una serie di azioni cliniche e di sensibilizzazione sulla tematica della dipendenza da gioco d’azzardo.
La ricerca di Gallarate
A conclusione delle prime ricerche pilota, dalle quali emergeva un’elevata prevalenza di comorbilità al "gioco d’azzardo eccessivo" nei pazienti tossicodipendenti in trattamento, Vincenzo Marino, direttore del dipartimento, mi ha affidato il coordinamento di un gruppo di lavoro provinciale multiprofessionale neo costituito, cui partecipano una quindicina di operatori di vari Sert della provincia. L’obiettivo del gruppo era quello di ipotizzare interventi nell’area specifica del gioco problematico.


In prima battuta ci si è occupati di organizzare l’attività prettamente ambulatoriale, elaborando una cartella clinica modulare costruita allo scopo di dotare l’operatore di uno strumento utile a guidarlo nella fase diagnostica e di impostazione del trattamento. Tale cartella, attualmente in fase di sperimentazione, consta di sezioni separate che possono essere utilizzate a seconda della necessità diagnostica propria della situazione portata dal paziente e dalla sua famiglia, o in relazione alla fase di progressione della malattia al momento della presa in carico. Oltre all’iniziale sezione anamnestica generale e al diario, vi sono poi una sezione relativa agli aspetti strettamente sanitari, a quelli sociali, alla situazione economica, a quella familiare, all’anamnesi psicologica, alla storia del gioco e ai comportamenti correlati a esso. La cartella si conclude con una rassegna di strumenti diagnostici di utilizzo frequente, comunque integrabili a discrezione dell’operatore.
All’organizzazione e alla gestione dell’offerta clinica, numerose altre attività sono state messe in atto in questi mesi, anche in collaborazione con altri enti, con il proposito di fare emergere e suscitare in modo più ampio il dibattito sulla problematica. Tra queste iniziative realizzate in provincia numerose le ricerche avviate: cito un’indagine condotta nel 2000 tra le assistenti sociali dei Comuni del territorio (Gazzotti) e una svolta tra gli operatori dei Sert (Biganzoli, Capitanucci). Questi studi hanno evidenziato come, a fronte di una generale percezione del fenomeno Gap come di un problema sociale abbastanza diffuso e in aumento, non ci sia un’abitudine a rilevarne la presenza nelle anamnesi degli assistiti (ciò non accade nemmeno al Sert) e non vi sia chiarezza sugli interventi da attuare.


È stata inoltre svolta un’indagine sul personale della Croce Rossa di Gallarate (163 intervistati), che ha rilevato un tasso di giocatori patologici pari al 2% (Caligara, Gazzotti), ed è attualmente in corso un’ulteriore ricerca sugli adulti di Laveno Mombello (320 intervistati), in cooperazione con il servizio sociale del Comune, con la finalità sia di avere dati sulla popolazione generale, sia di sensibilizzare i cittadini.
A marzo 2001 l’Asl, in collaborazione con il servizio sociale della Provincia, ha organizzato il primo convegno provinciale sul tema cui hanno partecipato 170 operatori italiani e stranieri, di cui sono stati pubblicati gli atti che raccolgono, oltre agli altri contributi teorici e clinici, anche le ricerche appena citate (Capitanucci, Marino, 2002).
In coincidenza con il convegno, a marzo 2001 l’associazione Giocatori anonimi, con cui esiste una stretta collaborazione, ha aperto a Busto Arsizio il primo gruppo di "auto aiuto" specifico presente sul territorio provinciale, affiancando a esso, da febbraio 2002, anche il gruppo Gam-Anon per familiari.


Presto anche l’associazione Itaca, che da anni collabora con i Sert della zona in ambito alcologico, attiverà a Varese un gruppo di terapia in cui giocatori e familiari svolgano un percorso congiunto di uscita da questa dipendenza.
I progetti futuri del gruppo varesino del dipartimento delle dipendenze sono numerosi e vertono su più fronti. È in corso una ricerca qualitativa sugli avventori di videopoker, utilizzando il metodo dell’osservazione guidata, i cui risultati saranno disponibili a settembre 2002.
È inoltre allo studio una campagna informativa specificamente rivolta ai potenziali pazienti, che verrà realizzata in tempi e modi da definire sulla base del piano strategico del dipartimento stesso, con pieghevoli contenenti nozioni di base su questa dipendenza, un facile questionario di autovalutazione e notizie essenziali sui servizi dell’Asl cui rivolgersi, oltre a prevedere la presenza dell’area gambling nel sito Internet dell’Asl.
Si stanno studiando, infine, ipotesi comunicazionali alternative che abbiano come tratto caratteristico quello di essere coinvolgenti, allo scopo di raggiungere un pubblico più vasto che non il solo giocatore patologico, la sua famiglia o gli operatori dei servizi, stimolando nei confronti di questo problema emergente anche chi non ne fosse direttamente coinvolto. Rientrano in questa strategia la costruzione di un evento teatrale che verrà messo in scena a ottobre 2002 e la programmazione di un cineforum.

Allargare l’intervento
Queste azioni volte a costruire la rete sono state estese anche fuori dai confini provinciali: sin dall’inizio dell’esperienza, il gruppo varesino ha collaborato con l’omologo gruppo di interesse del Canton Ticino (Svizzera) e, su suggerimento di Alt (Associazione lombarda tossicodipendenze) e del suo presidente Alfio Lucchini, ha promosso la nascita di un gruppo regionale, costituito da operatori provenienti da numerosi Sert lombardi, che da febbraio 2001 si incontra a cadenza bimensile in Regione Lombardia.

Questo gruppo in pochi mesi di attività ha steso una mappatura delle risorse di aiuto note nella Regione, e sta ampliando (coinvolgendo a oggi più di 1000 soggetti) la ricerca multicentrica sulla comorbilità tra tossicodipendenza da eroina e gioco patologico condotta in provincia di Varese. I dati di tale ricerca verranno presentati a maggio, ma già è possibile rilevare che il 21% dei tossicodipendenti in trattamento intervistati ha avuto problemi con il gioco d’azzardo. A questi va aggiunto un ulteriore 10% di soggetti "a rischio" di "gioco eccessivo". Dunque, un paziente tossicodipendente su tre, oltre ad avere difficoltà a svincolarsi dall’uso di sostanze, si trova invischiato in un’altra dipendenza: quella da gioco d’azzardo.
Il gruppo regionale ha ancora in cantiere molti progetti: tra questi iniziative di formazione sul trattamento. A gennaio 2003 è prevista la realizzazione di un seminario intensivo di terapia cognitivo-comportamentale tenuto dall’illustre esperto di gioco d’azzardo patologico professor Ladouceur, che rappresenterà una preziosa risorsa per gli operatori.
L’impegno profuso dal dipartimento delle dipendenze dell’Asl di Varese in questi anni di lavoro e gli sforzi che ci attendono nei mesi futuri, hanno come principale obiettivo quello di garantire ai pazienti dipendenti da gioco d’azzardo e alle loro famiglie, così come già in passato fu per i tossicodipendenti o in tempi più recenti per gli alcolisti, quello spazio terapeutico adeguato alla gravità della malattia che li affligge e quella sensibilità sociale, politica e istituzionale necessaria per orientare i programmi di prevenzione e riabilitativi affinché il giocatore e i suoi familiari non siano più pazienti invisibili ma acquisiscano finalmente il diritto alla cura.
 

 

 

 

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