Il gioco oggi: oltre l'homo ludens, Gioacchino Lavanco

11/08/2010

Il gioco d’azzardo richiama immagini contraddittorie di divertimento e di preoccupazione. Queste ultime sono relative non solo all’ambito della morale o della legalità, ma anche all’ambito clinico, in relazione ai sempre più diffusi casi di patologia da gioco, i quali evidenziano gravi situazioni di compromissione, di escalation, di compulsività e di vera e propria dipendenza con pesanti costi sociali. Ma è anche vero che il gioco è un’occupazione frivola e libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori, grandi e piccoli, sullo stesso piano.
L’esperienza ludica diviene, quindi, un momento indispensabile della vita umana traducendosi in una dimensione capace di rapimento, di elargire gioia e liberare l’uomo dalla ripetitività dell’esistenza. Questa importanza del gioco, nel nostro secolo in particolare, è sostenuta e formalizzata soprattutto da Eugen Fink nel suo saggio Oasi della gioia (1986), in cui scrive: «Il gioco rassomiglia a un’oasi di gioia, raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo per un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo dove la vita appare più leggera, più aerea, più felice». Il gioco, insomma, risveglia il nostro desiderio di onnipotenza che di solito deve fare i conti con una quantità di fattori incontrollabili. Il gioco si scopre, in tal modo, un’"isola di perfezione" nella quale regna una regola, rispettata da tutti, che non favorisce né danneggia nessuno.

Giocare equivale a interrompere la routine, prendersi una pausa e un alleggerimento del peso dell’esistenza. Ma parlare di "oasi della gioia" se, da una parte, ci dà l’idea del fatto che il gioco è divertimento, dall’altra può indurci in errore sulla sua natura. L’esperienza ludica è, a volte, talmente coinvolgente da non avere nulla in comune con un’isola di gioia, il gioco da magico può diventare "demoniaco". Così giocare assume una doppia valenza: ci si lascia attraversare da una dimensione attraente quanto instabile e ci si espone al rischio di trovarsi immersi in un clima "incandescente" che è tipico del gioco d’azzardo.

Troppo spesso si ha del gioco d’azzardo una visione elitaria, estrema, dostoevskjiana e relativa a mondi "lontani e diversi" che, proprio perché lontani e diversi, magari, ci affascinavano ma sostanzialmente ci lasciavano indifferenti. Ora, invece, più semplicemente e più spesso, sono persone come noi che si giocano uno stipendio al bar vicino casa. Quando parliamo di gioco d’azzardo dimentichiamo che si tratta di scommesse, cioè di occasioni in cui i soggetti coinvolti sfidano non solo la razionalità ma anche il destino irrazionale e "scommettono" – si tratta, nei fatti, di un "pensiero magico" – di prevedere il futuro sapendo in anticipo cosa accadrà di un evento (gara sportiva, estrazione, carte). Magia, spirito demoniaco, autoerezione a dio vivente, sono solo alcuni degli aspetti che possono aiutarci a comprendere la particolarità del gioco d’azzardo tramite scommesse, rispetto a più pericolose ma, per fortuna, meno diffuse forme di "giocarsi la vita": si pensi all’ordalia e alle condotte ordaliche, o ai comportamenti a rischio.

A Huizinga, autore del primo classico contemporaneo sul gioco, si dà il merito di aver analizzato molte caratteristiche dell’esperienza ludica. Si ritiene che egli abbia compiuto una sorta di rivoluzione copernicana nello studio del gioco; sin dall’introduzione al suo saggio Homo ludens (1982), sostiene che nel corso della storia, l’uomo, oltre a essere definito sapiens è stato descritto anche come faber, cioè come uomo produttore. Secondo l’antropologo olandese, chi considera il gioco come un’attività secondaria se non inutile commette un grave errore di giudizio, poiché ogni attività umana e ogni aspetto della vita può essere ricondotto al gioco: «ogni azione umana appare un mero gioco». Il gioco non viene più inteso come un semplice antagonista del lavoro o un elemento secondario della cultura; ad esso viene attribuito un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà come primo "operatore culturale". Il gioco diviene una vera e propria forma di cultura.

Roger Callois, nota che l’analisi di Huizinga, secondo cui il gioco è un’azione «situata al di fuori della vita consueta», escludeva completamente i giochi d’azzardo (bische, casinò, lotterie, corse dei cavalli) che invece costituiscono una parte importante nella vita economica degli individui e degli Stati.
Callois fornisce una fondamentale classificazione ludica (ndr, vedi anche a pag. 13), in I giochi e gli uomini (1981), ne distingue quattro tipologie: giochi di Agon (competizione), giochi di Mimicry (imitazione), giochi di Alea (rischio) e, per finire, giochi di Ilinx (vertigine). Immagina che essi si trovino in una grande piattaforma ruotante che permette loro diverse combinazioni e quindi infinite varietà di giochi. «(...) se i giochi di competizione, o di Agon, sono una rivendicazione del merito e della responsabilità personale, quelli di rischio, o di Alea, sono un’abdicazione della volontà e un abbandono al destino».
Particolare attenzione egli attribuisce a queste tipologie di giochi: in quelli di Agon è presente la padronanza del sé, l’affidamento alle proprie capacità e responsabilità; mentre in quelli di Alea l’individuo assume un ruolo di passività e la sua stessa soggettività scompare quasi del tutto dinanzi alla "cecità della sorte". L’Alea rappresenta la negazione del lavoro, della pazienza, della qualificazione personale e appare come «un’insolente derisione del merito» proprio perché reca al giocatore fortunato infinitamente più di quanto gli può procurare il lavoro e la fatica.

Agon e Alea esprimono entrambi atteggiamenti opposti e simmetrici, pur obbedendo a una stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di un’uguaglianza assoluta che nella realtà è negata agli uomini. Secondo Callois, in tutti «i giochi non si tratta di vincere su un avversario, ma sul destino». Da quest’affermazione si evidenzia il valore del Fato che governa da protagonista indiscusso su tutti i giochi.
Nell’era multimediale il gioco d’azzardo cambia faccia e, naturalmente, nomi: comprende il videopoker, leslot machines e il gioco d’azzardo virtuale (casinò virtuali, aste on line). In realtà, il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per poter «gareggiare con il proprio destino», nell’illusione di controllarlo, anche solo nell’intervallo di una scommessa. Per quanto un individuo non si dichiari un "giocatore", difficilmente rimane impassibile di fronte alla tensione che avvolge la mente di chi attende l’esito della propria sorte. La gente gioca perché ciò è insito nella sua stessa natura; comunque, quasi tutte le teorie generali sul gioco d’azzardo si riferiscono a qualche forma d’insoddisfazione o di deprivazione personale.

L’amore per il brivido

Sarchielli (1997) ritiene che l’attrazione del gioco stia proprio nel desiderio di «controllare l’incontrollabile». Quasi tutte le teorie sul gioco d’azzardo confermano che questo senso d’onnipotenza, che caratterizza il giocatore, può essere messo in relazione a qualche forma d’insoddisfazione o debolezza, oppure al senso di sopraffazione della realtà, o ancora alla disgregazione della famiglia, o all’incertezza circa il proprio futuro economico o, infine, a minacce di distruzione della società. In sintesi, il gioco, corrisponde a un bisogno d’immediato sollievo e di gratificazione e praticarlo produce un senso di potere che, se per alcuni è rilassante, per altri è stimolante.
Quando rivediamo gli aspetti decisionali del gioco, dobbiamo considerare due importanti fenomeni che illustrano bene l’irrazionalità del pensiero e delle decisioni prese da chi vi partecipa: l’illusione di controllo e la fallacia del giocatore, che unitamente a altre variabili, quali il sensationseeking e il risk-taking, sono considerati dei meccanismi cognitivi e motivazionali volti alla spiegazione delle dinamiche psicologiche che sottostanno al comportamento del giocatore d’azzardo.

Il primo fenomeno è stato indicato da Langer (1975) e rappresenta la prova che gli individui, spesso, si comportano diversamente da quanto è compatibile con la loro conoscenza delle leggi che regolano il caso. L’illusione di controllo viene definita come «un’aspettativa di successo personale erroneamente alta rispetto a quanto l’obiettivo possa garantire».

Un altro fenomeno che, come l’illusione di controllo, illustra bene l’irrazionalità del pensiero e delle decisioni del giocatore, è la fallacia del giocatore, detta anche «fallacia di Montecarlo». Si verifica quando il giocatore tende a sopravvalutare la propria probabilità di successo in seguito a una sequenza di previsioni inesatte o di scommesse perse. Il giocatore, inoltre, stima la propria probabilità di vincere come bassa quando gioca in seguito a una scommessa vinta.

Un’altra spiegazione del perché gli individui sono attratti dal gioco d’azzardo si collega all’amore per il rischio e per il brivido. Alcuni individui sono sedotti dal fascino del gioco d’azzardo rispetto ad altri in quanto hanno il bisogno di rispondere a necessità che possono essere appagate solo dal gioco.

Vi sono dei soggetti che ricercano il rischio di per sé e per comprenderne meglio le dinamiche psicologiche sottese a questo comportamento, possiamo riferirci a diverse ricerche condotte nell’area del sensation-seeking (ricerca del sensazionale). Zuckerman considera la ricerca di sensazioni un tratto di personalità che sta alla base del comportamento di ricerca del "rischio".

Il gioco è anche un’attività sociale e competitiva, in quanto c’è sempre un avversario contro cui ci si deve scontrare: può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino. L’"incertezza dell’esito" e il "rischio" sono la parte essenziale del gioco (Kusyszyn, 1984) e procurano al giocatore stimolazioni cognitive, emozionali e fisiche. Tali stimolazioni, insieme alla sensazione che la situazione è sotto controllo, lasciano il giocatore in uno stato d’animo molto confortevole detto di "beatitudine artificiosa", all’interno del quale si succedono, a seconda del momento di gioco o del risultato, piccole reazioni emotive.
La caratteristica intrinseca del gioco che rende così ricco il piacere psicologico del giocatore, è il sentirsi in uno stato d’animo aperto alla fantasia.
È assiomatico che i giocatori si assumano le responsabilità di vincite e perdite: la libertà di scelta nel partecipare procura autostimolazione, che unitamente alla presa di responsabilità per le proprie azioni, conduce a sensazioni di efficienza, di controllo e di merito. Nel gioco d’azzardo sono ripetuti alcuni valori che svolgono un ruolo rilevante nella nostra società: il valore dell’audacia, della competitività, della capacità di approfittare delle situazioni e di assumersi dei rischi. Ma una cosa sembrerebbe differenziarli, cioè l’irrazionalità tipica dei giocatori e meno degli attori sociali.

Che i giocatori non costituiscano un gruppo eterogeneo è confermato anche da molti altri studi. Blaszczynski (1999) ha proposto di considerare tre gruppi di giocatori patologici: i giocatori normali, i disturbati emotivamente, coloro che presentano disfunzioni neurologiche o neurochimiche e che evidenziano impulsività e deficit di attenzione; Guerreschi (2000), invece, suggerisce una distinzione tra sei gruppi (ndr, vedi anche a pag. 32) di giocatori:
· Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza. Giocare d’azzardo è la cosa più importante nella vita, l’unica cosa che li mantiene in azione; la famiglia, gli amici e il lavoro vengono influenzati negativamente dalla sua attività di gioco.
· Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza: «giocherebbero per trovare alleviamento dalle sensazioni di ansietà, depressione, rabbia, noia o solitudine» e «usano il gioco d’azzardo per sfuggire da crisi o difficoltà». A tali soggetti il gioco provocherebbe un effetto analgesico invece di una risposta euforica.
· Giocatori sociali costanti: «il gioco d’azzardo è la fonte principale di relax e divertimento, sebbene questi individui mettano il gioco in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro». Tali giocatori, secondo Guerreschi, «mantengono ancora il controllo sulle loro attività di gioco».
· Giocatori sociali adeguati: «giocano per passatempo, per socializzare e per divertirsi. Per essi, giocare d’azzardo può essere una distrazione o una forma di relax. Il gioco non interferisce con le obbligazioni familiari, sociali o lavorative». Sempre secondo lo stesso autore, a questa categoria di giocatori apparterrebbe la maggioranza della popolazione adulta.
· Giocatori antisociali: sono individuabili in coloro che si servono del gioco d’azzardo per ottenere guadagni in maniera illegale.
· Giocatori professionisti non patologici: si mantengono giocando d’azzardo e considerano tale attività una professione.


Passaggi progressivi
Il fenomeno del gioco d’azzardo si configura quale percorso segnato da una serie di passaggi progressivi che vanno dal gioco occasionale a quello abituale, dal gioco problematico al gioco patologico; un continuum che prende avvio da un approccio inoffensivo al gioco d’azzardo – quale spazio ricreativo fondato sul divertimento e la socializzazione – sino a giungere a un atteggiamento abusante dello stesso da parte del soggetto che, in tal modo, compromette totalmente la sua esistenza. Non si tratta di tappe obbligate, ma di un percorso in cui l’individuo "sceglie" – più o meno consapevolmente – di fermarsi a una di esse o di procedere drammaticamente fino al capolinea. Il gioco, insomma, da fonte di sensazioni positive può trasformarsi in un’attività di cui il giocatore non ha più il controllo. Elevato è il pericolo che, nella nostra società, si sviluppino forme di dipendenza da gioco tanto gravi da sfociare nella patologia o, ancora, l’assunzione di condotte comportamentali a rischio principalmente in età adolescenziale.
Per lungo tempo, in letteratura, l’attenzione è stata centrata soprattutto sulla dimensione patologica del gioco d’azzardo, mirando al suo inquadramento diagnostico e al suo studio come forma di addiction; di recente, l’analisi del fenomeno in questione si è allargata fino a comprendere anche la dimensione sociale del gioco e, quindi, l’aspetto non patologico del gioco d’azzardo occasionale e di quello abituale. Ciò su cui ancora bisognerà riflettere sono le zone buie, di passaggio, tra l’una e l’altra fase. La definizione e la comprensione delle tappe cui facciamo riferimento, rischia di segnare confini rigidi e configurazioni del tipo o/o che, nella realtà, non ci sono. Lo sforzo deve essere quello di realizzare un’accurata comprensione dei fattori che determinano il passaggio da una modalità all’altra – i fattori di rischio – e dei fattori che impediscono tale passaggio – i fattori protettivi.

Il nostro è un invito a non rimanere ancorati soltanto all’idea che esista un gioco d’azzardo problematico e patologico da diagnosticare, prima, e sottoporre a intervento terapeutico, dopo; bisogna interrogarsi, anche, riguardo ai fattori che possono lasciare presagire il drammatico passaggio dalla dimensione occasionale del gioco a quella patologica, quali lente d’ingrandimento per comprendere il percorso da una condizione di "normalità" all’assunzione di comportamenti impropri e problematici, fino alla patologia vera e propria. Un invito che implica un impegno affinché tali indicatori di rischio, una volta individuati, diventino il punto di partenza per progettare nella logica della prevenzione.

Tutti almeno una volta hanno giocato d’azzardo; ciò non significa che chi gioca d’azzardo sia, o diventerà un giocatore d’azzardo problematico o, addirittura patologico. Elevato, infatti, è il numero dei giocatori sociali, che comprende sia i giocatori "occasionali" che quelli "abituali"; si tratta di una tipologia di giocatori che può interrompere il gioco quando desidera e che, nella maggioranza dei casi, non esperirà un’evoluzione sfavorevole nella relazione con il gioco.
I giocatori problematici, al contrario, non riescono ad avere un controllo pieno del gioco: rischiano fortemente di diventare dei giocatori patologici, anche se non hanno ancora raggiunto la fase della disperazione. Essere un giocatore patologico significa, invece, perdere completamente il controllo del proprio comportamento, tanto da non riuscire a fermarsi dal giocare, finché non si è perso tutto. Il gioco, in questo caso, compromette la vita affettiva, sociale e lavorativa della persona.

La distinzione tra gioco patologico e gioco sociale risulta tutt’altro che semplice e univocamente accettata dai diversi autori. L’estesa indagine sul gioco come forma di dipendenza e quindi come patologia, non ha precluso – seppure in misura minore – l’analisi del giocatore normale, o social gambler, ovvero di colui che gioca occasionalmente in base anche all’entità del denaro. Alcune caratteristiche di tale giocatore sono: il desiderio di rilassarsi, l’incentivo del guadagno senza fatica, il piacere che deriva dalla stimolazione di varie funzioni dell’ego e, non ultima, l’attrazione per il rischio. Custer (1982) sostiene inoltre che il giocatore sociale, a differenza del patologico, può smettere in qualunque momento di giocare; sembra infatti che nessuno dei valori personali sia legato alla vincita o alla perdita e sono altri, rispetto al potere del gioco, gli aspetti della vita sentiti come più importanti e gratificanti.

Ma cosa spinge il "giocatore sociale" a giocare d’azzardo? Quale bisogno viene soddisfatto da colui che sfida la sorte scommettendo sull’esito di una partita di calcio, su dei numeri o su una corsa dei cavalli? Il gioco ha una sua forza autonoma e inesauribile e si fa ricorso a esso come forma di svago per eludere la realtà cercando, così, di conviverci in modo migliore. Consente, quindi, una sorta di "fuga psichica" dalla realtà, una fuga che lo protegge dai problemi del mondo esterno e lo aiuta a conviverci; una sorta di "spazio altro" in cui concentrare dimensioni dicotomiche: identità/dis-identità, aspettative/frustrazioni, ansie/sogni, onnipotenza/fragilità. Il gioco è un modo per divertirsi con gli altri, ma anche un mezzo attraverso cui poter sperare di sistemarsi economicamente.

All’inizio c’è sempre un senso di insoddisfazione, più o meno acuta a seconda dei casi, che dà origine al desiderio di cercare e di vivere in prima persona un’esperienza appagante, quale può essere il gioco d’azzardo. Lo svolgersi stesso del gioco, dal momento in cui si verifica la partecipazione, trasforma l’insoddisfazione di fondo in un movente, sia esso l’eccitazione, lo sfoggio d’abilità o l’intrattenimento; e poi l’appagamento, soprattutto quando si vince. Alla luce di tali riflessioni il gioco può essere considerato, anche per il "giocatore sociale", uno spazio magico e vitale attraverso cui può costruirsi una ricchezza immaginaria, fatta di sogni e fantasie, di altri sé, libero da scelte, da limiti, da fatiche, da "principi di realtà".

Il gioco, dunque, problema di patologia o innocua e funzionale attività sociale? In realtà, entrambe le posizioni non sembrano rispecchiare la complessità del fenomeno in questione; di certo, comunque, è auspicabile che i membri di una comunità vedano nel gioco una "risorsa" in termini di libertà, autenticità e creatività, piuttosto che trasformarlo in vincolo, patologia e morte. Senza una corretta diffusione di una cultura del gioco come forma di socializzazione, di divertimento e, quindi, di crescita si rischia di assistere allo sviluppo di comportamenti problematici e patologici legati alla dipendenza dal gioco stesso.

 

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