Famiglia e gioco, Francesco Belletti

11/08/2010


1. Famiglia e gioco: un tema da esplorare
L’iniziativa odierna appartiene a una tradizione ormai consolidata, di proporre un seminario di studio su una tematica specifica, che viene promosso da due soggetti diversi per natura e attività, ma che da sempre operano in stretta collaborazione: il Centro Internazionale Studi Famiglia, una centro culturale e di ricerca, e Famiglia oggi, un mensile di approfondimento sulle tematiche familiari.
Il punto di vista del Cisf, l’origine del suo agire è l’obiettivo della promozione della famiglia nella società italiana, nella sua concretezza; ci interessano quindi anche tutti quei luoghi sociali in cui la famiglia è vive, concretamente, le proprie difficoltà e le proprie potenzialità. Molto spesso, invece, in tanti luoghi del sociale, della sanità ma anche della politica, della comunicazione, la famiglia è ignorata, è trascurata, oppure viene rappresentata in modi perlomeno discutibili: il nostro sforzo è quello di andare a cercare il modo in cui la famiglia può essere ancora coinvolta e può essere considerata risorsa forte.
Intendiamo pertanto impegnarci, con il seminario di studio di oggi, anche su un tema così specifico, quale il gioco d’azzardo, di fronte al quale probabilmente siamo ancora, come società, in debito di sensibilità rispetto alla pubblica opinione; appare cioè ancora poco esplorato il tema del giocare e del suo rapporto con le dinamiche familiari, anche se sta esplodendo sui giornali, sui quotidiani, e anche nel mondo politico, una rinnovata attenzione al gioco e ai giocatori; a puro titolo esemplificativo giova ricordare che solo nella scorsa legislatura ben 41 progetti di legge erano in discussione nel nostro Paese sul tema del gioco d’azzardo e di questi neanche uno è stato approvato….
Quindi ci sembrava un tema maturo, e ci è sembrato interessante dedicare attenzione specifica a questo, sia con un seminario di studio, sia con un numero di Famiglia oggi dedicato all’argomento.
 
2. La legittimazione del gioco d’azzardo, tra famiglia e società
La nostra attenzione si concentra comunque, come si nota dal programma stesso, non tanto sul gioco come settore di attività economica (cosa che sembra invece interessare in via prioritaria, se non esclusiva, molte delle attenzioni del mondo politico), quanto piuttosto sulle gravi conseguenze che il gioco ha, quando diventa "patologico", sul benessere delle persone e delle loro famiglie.
Da questo punto di vista il tema della dipendenza da gioco e delle sue conseguenze sulla vita familiare si caratterizza in modo abbastanza curioso, perché ci sono due elementi che lo assimilano un po’ alla dipendenza da altre sostanze, e in particolare al tabacco e all’alcool: da un lato "lo Stato ci guadagna", dall’altro si tratta di un comportamento che non è per definizione escluso dalle possibilità sociali, ma è in genere considerato socialmente accettabile.
Siamo di fronte, in altre parole, a un comportamento che viene accettato nella vita quotidiana, ma che è significativamente rinforzato anche dall’intervento dei pubblici poteri; quindi le modalità con cui le famiglie e la società si misurano con questo tema sono abbastanza originali; ci sembra che in sostanza, a somiglianza di quanto si verifica rispetto al tabacco e all’alcool, si possano individuare due principali dinamiche: il tema del "nuoce gravemente alla salute" e il tema del "a piccole dosi".
a) IL TABACCO: Da un lato, utilizzando come esempificazione l’orientamento nei confronti del tabacco, l’accettabilità si basa sul paradosso di uno Stato che vende le sigarette con la sua bella fascetta di "Monopoli di Stato", ricavandone un utile rilevante in termini di tasse, e contemporaneamente obbliga i produttori a scrivere "nuoce gravemente alla salute"; si accetta cioè un male certo (il "rischio certo" di malattie gravi, anche a partire da una modica quantità, come per le sigarette cosiddette light, o a basso contenuto di nicotina), un danno alla salute delle persone, che è comunque riconosciuta come un bene pubblico, la salute delle persone, per tutta una serie di motivi, su cui magari anche oggi avremo qualche occasione di ragionare (essenzialmente, in questo caso, per un beneficio alle casse dello Stato, che peraltro poi dovranno erogare risorse per intervenire sui mali generati dall’uso del fumo…). Il tema viene, come dire, "sdoganato", e quindi le famiglie possono relazionarsi in molti modi:
· c’è il proibizionista integralista: "nessuno ha mai fumato in questa casa, nessuno mai fumerà, te lo proibisco",
· c’è l’altruista incoerente: "io fumo ma proibisco ai miei figli di fumare, perché so quanto male fa",
· poi c’è la liberalizzata responsabile: "fa quello che ritieni giusto, ma non fumare davanti al bambino", oppure "non fumare davanti agli altri",
· e poi c’è il modello della deregulation totale: "ognuno fa ciò che vuole".
Anche rispetto al gioco occorre interrogarsi quindi sul modo in cui le famiglie possono regolarsi, adattarsi alla presenza di un "giocatore" al proprio interno, prima che il gioco divenga dipendenza, prima che il gioco divenga una manifestazione così patologica come in molti casi avviene.

b) L’ALCOOL: Dall’altro lato, sempre a livello culturale e sociale, considerando invece l’atteggiamento verso l’alcool, l’accettabilità si fonda sul criterio della misura, su criterio "a piccole dosi"; soprattutto nella nostra cultura nazionale, l’alcool non è in genere un comportamento deviante, anzi è strettamente inserito nella nostra cultura alimentare, è quindi l’eccesso che viene stigmatizzato, nelle quotidianità delle nostre famiglie; diverso è il caso se pensiamo alla cultura delle bevande alcoliche in altri Paesi europei, dove l’eccesso di alcool (la sbronza) è stato, come dire, anche culturalmente più elaborato e "integrato" rispetto a quanto si è elaborato nella nostra cultura. Le famiglie italiane si proteggono quindi rispetto a questo rischio "dell’eccesso" legalizzando il comportamento: "un buon bicchiere di vino a pasto è pur sempre ammesso, anzi fa addirittura bene", e più che altro occorre contenere gli eccessi, è la sbornia che non va bene, oppure sono i bambini, sono le donne che non devono bere tanto, o che non devono bere affatto.
Del resto il gioco e l’azzardo non sono fenomeni nuovi, ma appaiono fortemente inseriti nei comportamenti sociali, nella storia dell’umanità, nelle diverse culture, nei sogni degli uomini: immagini di dadi e di giocatori nelle raffigurazioni degli antichi Egizi, la parola azzardo che deriva dall’arabo (e indica proprio il dado da gioco), il sogno di controllare il futuro, il potere di prevedere i numeri, sono tutti elementi che confermano che sarebbe illusorio voler eliminare di colpo e integralmente dall’orizzonte culturale odierno il sogno del gioco, a conferma di quella dimensione di homo ludens che già nel 1938 lo storico olandese Huizinga riteneva ineliminabile dall’umano.

Così, la dicotomia proibizionismo – liberalizzazione in questo caso non risolve la questione, perché esige una "capacità culturale" più sofisticata. Infatti non si può dire "niente del tutto", oppure "sempre e comunque", di fronte ad una dimensione così connaturata nell’essere umano; esistono però soluzioni differenziate, necessarie per far fronte agli eccessi e ai rischi di un comportamento che facilmente rischia di diventare ossessivo, compulsivo, "malato", con gravi conseguenze per l benessere psichico, relazionale e sociale delle persone e delle loro famiglie, soprattutto in una società che offre occasioni di gioco molto più frequenti, molto più devastanti; oggi uno può giocare 24 ore su 24 dal proprio computer di casa, può trovare sale Bingo in tutte le città, ed è sempre più difficile il controllo sociale e individuale, mentre l’offerta è sempre più ampia.

Comunque, in ultima analisi, la famiglia deve regolarsi di fronte a questa situazione, non può ignorarla: può allora adottare un atteggiamento proibizionista integrale ("neanche il gratta e vinci entra in casa mia"), tutte le volte che uno parla di gioco, cambiare canale tutte le volte che uno vede una lotteria in televisione, è possibile questo? è possibile costruire una cultura con questo approccio? è possibile proporre una relazione educativa nei confronti delle nuove generazioni in cui il tema del gioco divenga anatema, divenga totalmente esternalizzato e totalmente proibito?
Se questo atteggiamento di "fuga integrale" non è realistico (e a me non pare praticabile, in concreto), come quindi gestirlo? Finora nel complesso mi sembra che famiglie e società abbiano gestito questo tema con un mix dei due orientamenti brevemente descritti in precedenza, combinando la logica del "nuoce gravemente alla salute" e un po’ di "a piccole dosi", nel tentativo, che ogni famiglia in qualche modo tenta di esplorare, di tenere dentro un comportamento rischioso e che però è, come dire, inevitabilmente inserito nell’orizzonte culturale della società nel suo complesso, ma anche nei desideri, nei sogni e nelle scelte "responsabili" di molte persone.
Da ultimo non si può trascurare il tema della regolazione a livello politico, strumento che potrebbe aiutare le famiglie in questo difficile compito di adattamento; lo scenario nazionale è certamente inadeguato, con poche norme a volte anche contrastanti; eppure non è impossibile un serio intervento di governo e di controllo, con modalità anche molto diverse, dagli Stati Uniti all’Olanda, fino ai recenti provvedimenti in Svizzera; esistono cioè tante possibilità (e una responsabilità certa) di mettere ordine da parte della società, ma alla famiglia rimane comunque in carico una scelta culturale, un problema educativo rispetto a questo comportamento, soprattutto oggi, quando la presenza del gioco è sempre più pervasiva nella società, al momento della cena davanti alla televisione. E non si può tralasciare un accenno al tema del "denaro facile", del "guadagno senza fatica", spesso legato al gioco e al sogno del "colpo della vita".
Ci interessava comunque aprire una riflessione che riportasse verso le famiglie questo tema, nella consapevolezza che esiste un ambito più specialistico, più clinico, di problematicità più forte che è al cuore delle riflessioni, e che raccoglie gli esperti che abbiamo invitato oggi, ma tenendo conto che è nella cultura della possibile normalità del gioco che si può svolgere un lavoro preventivo rispetto al gioco compulsivo, alle famiglie indebitate, a tanti situazioni di sofferenza personale e familiare. Siamo peraltro convinti che non bastano riflessioni scientifiche o culturali in n solo ambito (politico, culturale, di terapia, economico), ma è certamente necessario costruire meccanismi non solo regolativi di natura normativa, ma anche culturali, di apprezzamento valoriale, ed è soprattutto necessario riconoscere alle famiglie un ruolo educativo attivo, nella gestione di relazioni anche in questo campo; altrimenti anche su questo tema, pur con le migliori leggi, potranno generarsi molti più problemi di quanto finora non ci siano.
  

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