11/05/2010
La copertina del libro in uscita da Jaka book di Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano.
«Il punto è che se i giudici europei (della missione internazionale Eulex, ndr) facessero fino in fondo il loro lavoro dovrebbero azzerare la classe politica e rendere evidente alla comunità internazionale ciò che nei Balcani è chiaro a tutti da una decina d’anni: il Kosovo è in mano ai banditi».
Queste le conclusioni desolanti dei due autori di “Lupi nella nebbia”, Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano. «I banditi sono stati armati, finanziati e addestrati dall’Occidente», continuano nelle ultime pagine del libro. «Per garantire i nostri alleati anche dopo la guerra abbiamo costruito un sistema giudiziario fasullo sotto l’egida dell’Onu, un sistema in grado di produrre 5 sentenze all’anno e nessuna condanna per crimine organizzato o traffico di stupefacenti di rilevanti quantità». Gli ordini di arresto non sono stati eseguiti e i criminali hanno potuto sempre godere di ottime coperture.
Quindi? Quindi «è troppo tardi per tornare indietro», sottolineano Ciulla e Romano. L’unica cosa da fare è interrompere questa ipocrisia e rifondare la missione Eulex, anche perché l’intervento che doveva formare le istituzioni kosovare a un vero stato di diritto «invece si trova di fronte ai criminali dell’Uck».
Il libro dimostra passo passo, con ricostruzioni puntigliose e documentate, queste affermazioni pesanti («I documenti che pubblichiamo», dicono gli autori, «sono a prova di stupido»).
Il volume ricostruisce ad esempio la vicenda di Hared, sicario che ha eliminato decine di avversari politici. Condannato a 27 anni di carcere, è evaso dal carcere dopo soli 12 mesi, uscendo dalla porta principale della prigione di Dubrova in giacca e cravatta. Racconta, ancora, di Lashtaku, attualmente sindaco, che secondo i dossier sepolti negli uffici Onu è membro di un’organizzazione terroristica.
Ma il capitolo che suscita forse più orrore è quello dedicato al “caso-Medicus”, una clinica privata dove da anni si pratica l’espianto di organi allo scopo di trafficarli clandestinamente. Non si tratterebbe di una iniziativa criminale “privata”, secondo la documentazione scovata – e pubblicata – dagli autori, ma una delle forme di finanziamento dell’Uck fin dai tempi della guerra.
Lo sporco traffico è stato scoperto per caso: un turco svenuto all’aeroporto aveva raccontato di essersi sottoposto all’espianto di un rene in cambio di poche migliaia di dollari. Dalle sue rivelazioni è partita l’inchiesta che ha portato a scoperte sconvolgenti: i malcapitati sono poveracci provenienti da Turchia, Kazakistan e altri Paesi dell’area. Prendono 1.000 o 2.000 dollari per un organo che sul mercato clandestino internazionale viene poi venduto a chi ne ha bisogno anche a 100 mila dollari.
Insomma un business da capogiro, avviato dall’Uck durante la guerra, quando l’espianto veniva fatto sui “collaborazionisti” dei serbi. E in quel caso, le vittime non lasciavano più il Kosovo.
Luciano Scalettari