09/05/2012
Javier Cercas rappresenta la Spagna a Torino.
«La verità è la verità, che la dica Agamennone o il guardiano dei porci.
Agamennone: Sono d'accordo.
Il guardiano dei porci: Non mi convince».
Da questo microracconto di Antonio Machado, uno dei più grandi poeti spagnoli vissuto fra '800 e '900, trae ispirazione il titolo dell'ultimo libro di Javier Cercas: La verità di Agamennone (edito in Italia da Guanda). «Tutta la letteratura è una ribellione contro il potere», spiega lo scrittore spagnolo, «per definizione è scomoda, mai sottomessa, e lo scrittore spesso è un guastafeste, una persona che dice cose che danno fastidio. Cose che, però, la letteratura ha il dovere di dire. Il guardiano dei porci non si adagia sulle verità imposte, ma presenta
la sua versione. Non dice "io ho la verità": non mi piace la ribellione rumorosa, preferisco quella educata, umile, discreta. Sappiamo del resto quanto sia pericoloso il fanatico che crede di avere la verità in mano, in politica come nella religione. La letteratura
discute la verità imposta dai tiranni. E questo è l'intento anche del mio libro».
La verità di Agamennone è una miscellanea di articoli e saggi di dibattito politico, sociale, letterario, racconti di viaggio e scritti autobiografici, lettere e riflessioni, usciti su varie riviste nei primi anni Duemila. Cercas presenta la sua ultima opera al Salone del libro di Torino, che quest'anno ha scelto la Spagna e la Romania come Paesi ospiti. Nato 50 anni fa in Estremadura e catalano di adozione, docente di Letteratura spagnola all'Università di Girona, Cercas è autore di numerosi romanzi di successo, come Soldati di Salamina, La velocità della luce e Anatomia di un istante.
Discutere la verità: non è il compito dell'intellettuale in ogni Paese e in ogni epoca?
«L'intellettuale è una figura recente, che nasce con la modernità, con i filosofi francesi come Voltaire, e che si consolida nel XIX secolo. IL '900 è stato poi il secolo dei grandi intellettuali: studiosi, scrittori, artisti che intervengono nel dibattito pubblico. Altra cosa è il poeta o il romanziere. Un romanzo propone un mondo, magari molto simile, ma sicuramente distinto da quello reale. L'intellettuale è uno scrittore civile, impegnato, engagé come dicono in Francia. Quando ero giovane mi arrabbiavo quando mi definivano intellettuale impegnato. Di fatto, però, credo di esserlo, perché con i miei articoli sulla stampa a mio modo intervengo nel dibattito pubblico della società. La condizione fondamentale per un intellettuale è l'indipendenza, prima di tutto politica».
Nel primo racconto del libro definisce la Spagna "una signoretta petulante e piena di sé, becera e spocchiosa, convinta di poter ignorare buona parte della miglior letteratura pubblicata in America latina solo perché a un tratto è diventata più ricca di lei".
«Sì (ride)... L'ho scritto tanto tempo fa!».
E immagino che le cose siano un po' cambiate. Forse oggi la Spagna è più umile...
«Lo spero! Fino ad alcuni anni fa guardavamo l'America Latina dall'alto in basso e non abbiamo rivolto sufficiente attenzione a quel continente. Eppure, chi conosce solo la Spagna, non la conosce davvero. L'America latina in qualche modo è parte del nostro Paese, prima di tutto per la lingua. L'arroganza e il vittimismo spagnoli in parte continuano. Ma oggi certamente la Spagna è più umile. Io comunque, nonostante la crisi che stiamo attraversando, sono ottimista: la Spagna è stata un Paese prima di poveri, poi di nuovi ricchi, è stata sempre agli estremi, non ha mai vissuto la normalità. A un certo punto abbiamo proiettato all'esterno un'immagine falsa di noi stessi, una visione distorta. Il mondo - e l'Italia in particolare - ammirava la Spagna come un miracolo, Zapatero era un eroe, tutto qui da noi era considerato meraviglioso. Eppure, proprio come qualche anno fa non eravamo così spettacolari, allo stesso modo oggi non siamo in una situazione così terribile. Come prima non eravamo i migliori del mondo, adesso non siamo i peggiori. Chiaro, abbiamo tanti gravi problemi, però questa è una crisi europea, non solo spagnola. Negli ultimi trent'anni senza dubbio la Spagna ha compiuto più progressi che negli ultimi tre secoli. Capisco le difficoltà e la disoccupazione, ma non condivido il pessimismo generalizzato».
Cercas con i volontari del Salone del libro.
Come è cambiato il movimento degli Indignados?
«Io mi domando: dove stanno gli Indignados? Il loro
intervento è stato straordinario: i ragazzi sono scesi in piazza per chiedere democrazia
reale. Il problema è che il movimento era disunito, disomogeneo e non
ha organizzato un'alternativa politica seria e ragionevole. Non ha
saputo elaborare proposte pratiche. Se non troverà una forma di
organizzazione, il movimento degli Indignati è destinato a esaurirsi».
In uno degli articoli letterari raccolti nel libro si legge: "l'arte
di narrare è l'arte del dire, ma soprattutto l'arte di saper tacere a
tempo debito". Oggi, nella vita pubblica, non crede che manchi proprio
quest'arte, il saper tacere al momento giusto?
«Antonio Machado diceva che per dialogare bisogna prima domandare, poi
ascoltare. Il silenzio è una strategia narrativa: spesso il non dire può
essere molto più significativo che il raccontare. Molte volte attraverso il
silenzio esprimiamo di più. Ma anche nella vita quotidiana saper stare
zitti è una cosa fondamentale. Le persone più intelligenti che ho
conosciuto nella mia vita sono quelle che sanno ascoltare».
Scrive che lei si sente molto estremegno, sebbene abbia vissuto in
Estremadura solo nei primi quattro anni di vita, prima di emigrare in
Catalogna con la sua famiglia...
«Più che estremegno mi sento di Ibahernando, il mio paese di origine.
Sono estremegno e catalano, questa è il mio modo di essere spagnolo. In
Estremadura mi sento a casa, è qualcosa di inevitabile, una cosa che non
ho scelto, una forma di lealtà verso la mia famiglia e i miei
genitori. Non mi sento orgoglioso delle mie radici, semplicemente
queste ultime sono parte della mia biografia. E' un'appartenenza
sentimentale, che nasce da dentro. So che in Estemadura ho un punto
fisso, un luogo dove posso sempre fare ritorno».
Giulia Cerqueti
A cura di Paolo Perazzolo