09/05/2012
Paloma Sánchez-Garnica è fra gli ospiti spagnoli del Salone del libro.
Nel 1997 ha percorso una parte del Cammino di Santiago di Compostela, l'ultimo tratto, quello in Galizia, con suo marito e i loro due figli, che allora avevano 11 e 14 anni. Un'esperienza familiare unica, coinvolgente e significativa, per Paloma Sánchez-Garnica, 50enne ex avvocato e scrittrice spagnola. Ma anche una straordinaria fonte di ispirazione letteraria: da quel Cammino nacque l'idea di scrivere un romanzo storico che ricostruisce la genesi nell'alto Medioevo del mito di san Giacomo Maggiore, l'apostolo di Gesù che, secondo la tradizione, pur essendo morto in Palestina sarebbe stato sepolto in Galizia. La cattedrale alla fine del mondo (nell'originale El alma de las piedras, l'anima delle pietre), edito in Italia da Piemme, ha riscosso enorme successo in Spagna, e viene presentato al Salone del libro di Torino, dove l'autrice arriva come ospite per la prima volta. Originaria di Madrid, la Sánchez-Garnica vive oggi con suo marito a Marbella, nel Sud della Spagna, in una casa vicino al mare, conducendo una vita ritirata, quasi monacale - come lei stessa ammette -, occupandosi a tempo pieno della scrittura.
Come ricorda l'esperienza familiare del Cammino di Santiago?
«Lungo il percorso conoscevamo molti pellegrini e tutti, negli ostelli dove ci fermavamo, ci chiamavano "la famiglia". In un paio di occasioni, quando arrivammo tardi all'ostello, ci tennero da parte un letto per i nostri figli, io e mio marito dormimmo sul pavimento, come molti altri. Al di là della meta, il Cammino è una metafora della vita. Proprio come nella vita, ci sono momenti di fatica, di sconforto, in cui vorresti lasciar perdere tutto. I primi tre giorni per nostro figlio minore fu molto pesante e dovetti esercitare una sorta di terapia psicologica materna per convincerlo a non lasciarsi sopraffare dalla fatica. Il quarto giorno già aveva recuperato le energie e camminava molto più rapido di tutti gli altri. Quando arrivammo alla piazza dell'Obradoiro, a Santiago, ci sedemmo e piangemmo tutti insieme».
L'idea del libro La cattedrale alla fine del mondo nacque proprio dal Cammino del 1997, eppure ha aspettato molti anni prima di scriverlo....
«Il fatto è che a quel tempo non sapevo ancora che sarei diventata una scrittrice, non avevo mai pensato di scrivere. Ho scritto il mio primo romanzo nel 2004, ed è stato con il secondo, La brisa de Oriente, ambientato anch'esso nel Medioevo, il XIII secolo, che ho cominciato a fare studi e ricerche sull'origine del mito delle reliquie di san Giacomo e su come questa storia si sviluppò diventando sempre più importante e popolare. Questa curiosità mi ha poi condotto al terzo romanzo».
Oggi il Cammino di Santiago è molto di moda: in parte ha perso il suo significato originario di pellegrinaggio. Il suo romanzo in qualche modo restituisce al Cammino il simbolismo delle origini, la sua radice di fede.
«Tantissimi oggi percorrono il cammino con lo spirito dei turisti, e si notano da come vanno vestiti, dal fatto che alloggiano negli alberghi costosi piuttosto che negli ostelli dei pellegrini. Il turismo di massa è arrivato anche qui. Eppure tanti ancora oggi percorrono il Cammino per motivi personali e drammi esistenziali, lo fanno per fede, e tornano cambiati, rinati. Io penso che la fede delle persone che si inginocchiano nella cattedrale di Santiago
di Compostela è del tutto indipendente dall'esistenza e la veridicità delle reliquie
del Santo. La fede non ha bisogno di prove. Se anche un giorno si provasse con assoluta certezza che le reliquie in realtà non sono di Santiago ma dell'eretico Priscilliano non cambierebbe nulla nello spirito del pellegrinaggio e dei pellegrini».
Il libro della Sánchez-Garnica appena pubblicato da Piemme.
Che gliene pare del titolo dell'edizione italiana?
«Mi sembra fantastico. Con il titolo El alma de las piedras
volevo mettere in evidenza che le pietre che ancora oggi possiamo vedere
lungo il Cammino hanno catturato e conservano un po' dell'anima degli
scalpellini che le lavorarono per costruire chiese e santuari, lasciando
su di esse le loro tracce. Però anche La cattedrale alla fine del mondo ha molto a che vedere con la storia: il nucleo del romanzo, in fondo, è questa chiesa che sorge al finis terrae, la terra estrema dove il sole tramonta ogni sera per rinascere il mattino seguente».
Nelle classifiche di vendita dei libri spagnoli, La Cattedrale alla fine del mondo è tra i primi posti, insieme ad altri romanzi come El asedio
(Il giocatore occulto nella traduzione italiana) di Arturo
Pérez-Reverte. In questi ultimi anni il romanzo storico pare aver
guadagnato grande successo tra i lettori spagnoli. Cosa ne pensa?
«La prima grande espressione del romanzo storico qui in Spagna è stato Il nome della rosa
di Umberto Eco, un fenomeno letterario che ha risvegliato la voglia di
conoscere la storia. La letteratura ci permette di penetrare nella
storia particolare delle persone e della società in un certo periodo,
quella che la Grande Storia non ci racconta. Grazie al romanzo storico
possiamo conoscere un po' meglio la società spagnola in un certo tempo.
In Spagna ora vanno molto di moda anche i romanzi che raccontano la
storia dell'antica Roma».
A lei cosa piace leggere in particolare?
«Io leggo tutto quello che mi capita tra le mani. La lettura è
fondamentale per la scrittura. Adesso sto leggendo molto gli scrittori
spagnoli Antonio Muñoz Molina e Javier Marías. Di un autore, quando mi
appassiona, mi piace leggere tutta l'opera completa. Quest'anno poi è il
bicentenario della nascita di Charles Dickens e sono tornata a leggere le sue opere
che avevo conosciuto quando ero studentessa».
Come mai ha abbandonato il lavoro di avvocato?
«L'ho fatto quando i miei figli sono entrati
nell'età difficile dell'adolescenza e ho deciso di occuparmi a tempo pieno di loro. Credo di avere fatto bene: i miei
figli oggi hanno 26 e 29 anni, sono molto in gamba e sono orgogliosa di
loro. Ho cominciato a scrivere romanzi tardi, a 42 anni, e la scrittura
mi sta dando grande soddisfazione, sta rafforzando mio marito e me come
coppia, dato che ora viviamo da soli e mio marito è vicino alla
pensione».
E i suoi figli cosa fanno?
«Lavorano entrambi: il più giovane già da cinque anni è pilota
d'aviazione civile, guadagna bene, anche se non ha una casa fissa, è
sempre in movimento. Il maggiore lavora in una banca a Madrid.
In un periodo così difficile per l'occupazione dei giovane, devo dire
di essere molto felice per loro».
Giulia Cerqueti
A cura di Paolo Perazzolo