A Cannes va di moda il classico

Al Festival tornano, dai gangster agli adolescenti ribelli, i grandi filoni della storia del cinema. I film che vedremo nei prossimi mesi.

Amour, la crudeltà della malattia nella vita di una coppia

24/05/2012
Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva nel film "Amour", dell'austriaco Michael Haneke.
Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva nel film "Amour", dell'austriaco Michael Haneke.

Qualità, la delicatezza delle immagini sullo schermo, che non appartiene per definizione a Michael Haneke, il rude e barbuto cineasta austriaco già vincitore tre anni fa della Palma d'oro per Il nastro bianco. Eppure, questo settantenne entomologo dell'animo umano sa sconvolgere a tal punto l'occhio dello spettatore da lasciare poi uno strascico di sentimenti contrastanti, di riflessioni piene di calda umanità se non proprio di speranza.

L'ennesimo esempio è questo suo Amour in cui due vecchi coniugi, Anne e Georges (i meravigliosi Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant, entrambi ultra ottantenni), accomunati da una vita vissuta insieme e dall'insegnamento della musica, conducono un'esistenza serena e ricca di complicità capace anche di sopperire alla lontananza dell'unica figlia, anche lei musicista e perennemente all'estero (la sempre brava Isabelle Huppert, attrice feticcio di Haneke).

Tutto cambia, in peggio, quando Anne viene colpita da un ictus. La semiparesi, l'ospedale, il rientro a casa con la necessità di rivoluzionare ogni piccolo gesto quotidiano. Soltanto chi ha avuto o sta vivendo in famiglia il dramma della malattia può capire. E Haneke non risparmia nulla, allo spettatore. Georges aiuta la sua Anne, geloso di qualsiasi intervento esterno, in tutti i bisogni quotidiani. Anche i più intimi e sgradevoli. E' lui a lavarla, cambiarla, a prepararle le pappe, ad accarezzare le mani per confortarla, a raccontarle storie per farla addormentare. E' il suo modo per dichiararle ancora tutto il proprio amore.

Ma il declino fisico per la malattia è inarrestabile. E a un certo punto sarà proprio Anne, straziata dall'immobilità del suo corpo prigione, a chiedergli con sguardo duro di porre fine al suo calvario. Georges non vuole, non può. Cerca d'insinuare gocce d'acqua tra le labbra ostinatamente serrate di lei. Non si tratta di una storia lontana dalla realtà, ce lo dicono le cronache dei giornali e l'esperienza quotidiana di tanti tra noi. E se la vicenda di Georges e Anne si conclude tragicamente, non sarebbe intelligente chiudere il discorso con una frettolosa sentenza moralistica di condanna.

È vero, né l'eutanasia né il suicidio sono ammissibili, ma fanno parte della natura umana. E Haneke racconta con sensibilità estrema la crudeltà di un lungo amore che la vecchiaia e la malattia consumano fino alla morte. E se nel film non c'è la consolazione della fede, non ci sono l'accettazione del dolore e della morte, forse è perché nessuno può imporli. Neppure un regista ai suoi personaggi. Sta a chi guarda, a ognuno di noi cercare e trovare dentro di sé il senso di ogni cosa, anche della fine più dolorosa.

A pochi giorni dal calar del sipario sulla Croisette, Amour dell'austriaco Michael Haneke pare essere il favorito per il Palmarès 2012. A ragione. Anche se il Festival non è solito dare troppi premi allo stesso titolo e più ancora del regista, a nostro parere, meriterebbero la Palma d'oro come migliori interpreti proprio Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant: lei ancora bellissima e leggera a 85 anni suonati; lui, un tempo vero adone, segnato dalle rughe e dal dolore (la morte pochi anni fa della figlia Marie a causa delle percosse del convivente), eppure capace di mettere tutto ciò davanti alla cinepresa. È la loro vecchiaia, consapevole e coraggiosa, la vera vincitrice sulla Croisette.

Maurizio Turrioni
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