17/05/2013
Paperino è fra i personaggi dei fumetti più amati in Italia, tanto da aver generato storie e “mondi” che intorno alla sua figura ruotano con fascino. Ma la vita psicologia di Paperino è assai complessa, tanto da aver permesso di dar vita ad una sindrome: la Donald Duck syndrome attiene all’idea che la vita di ognuno di noi non dipenda dalle potenzialità, o dall’impegno, o dalle possibilità che ad ognuno vengono date da un punto di vista familiare o sociale, piuttosto dalla fortuna o dalla sfortuna. Paperino, infatti, è convito che la causa dei suoi problemi sia soprattutto la sfortuna ampiamente contrapposta alla fortuna esagerata e smodata del cugino Gastone.
L’idea che la fortuna, il caso, siano alla base degli eventi della vita può essere considerata la ricaduta più evidente del pensiero magico. Un pensiero che accompagna il bambino nella sua infanzia ad affrontare le sue paure o le sue ansie con una sorta di capacità di controllare magicamente gli eventi. In età adulta il pensiero magico dovrebbe sempre più spesso essere contenuto e respinto come un meccanismo che ci allontana dalla realtà e dalle energie che ci possono permettere di affrontarla.
Quando ci convinciamo che la fortuna o la sfortuna o il controllo di entrambe possano condizionare la nostra vita si è all’interno di un processo di fuga dalla realtà e di dominio o sudditanza rispetto agli eventi.
Non a caso il pensiero magico accompagna forme di superstizione, forme di adesione a sette magico-mistiche che promettono il controllo degli eventi, ma anche patologie come il gioco d’azzardo. Il giocatore d’azzardo si convince di poter determinare il caso (ad esempio prevedere il numero ritardatario al gioco del Lotto) o di subirlo per fatti “magici” che non dipendono dalla sua volontà (ad esempio i numeri avuti in sogno).
Il pensiero magico determina anche errate valutazioni delle nostre
potenzialità o dei pericoli che corriamo. Un fenomeno studiato in
adolescenza e fra i giovanissimi è appunto quello dell’irrealistico
ottimismo: l’idea che, benché un comportamento sia a rischio, non debba
proprio io esserne vittima.
I momenti di crisi sono occasioni in cui il pensiero magico rischia di
amplificarsi. Un po’ come il bambino che lo utilizza per far fronte alle
sue paure evolutive, anche l’adulto cerca nel pensiero magico una via
di figa che allontana la frustrazione dai propri errori, il sentimento
di fallimento, l’angoscia per errate valutazioni: lo studente che spiega
la sua bocciatura con la sfortuna; il giocatore che attribuisce la
colpa della sua sfortuna a segni negativi; l’innamorata che lenisce il
dolore per esser stata lasciata definendosi come “sfortunata in amore”.
Più gli ostacoli che la vita ci mette davanti ci sembrano insormontabili
più alleggeriamo le nostre responsabilità con il pensiero magico, che è
resta un pensiero connesso all’impotenza/onnipotenza.
La società occidentale amplifica questo pensiero e, piuttosto che
accompagnare le giovanissime generazioni all’assunzione di
responsabilità, accentua la convinzione che il “colpo di fortuna” possa
produrre cambiamenti che altrimenti sono impensabili.
Paperino sogna di collaudare materassi, esser pagato insomma per
dormire, intanto passa la vita rubando dal salvadanaio dei nipoti o vive
alle spalle di zio Paperone (personaggi che a qualcuno possono sembrare
antipatici ma che i risparmi li hanno messi da parte con fatica) ed
intanto, in attesa del colpo di fortuna, vive una misantropia congenita
(da anni non sposa l’eterna fidanzata Paperina) e da qualche decennio
vive anche una inquietante doppia vita nata negli anni Settanta, quando
come Paperinik agisce dietro una maschera e spesso di notte quello che
di giorno non ha il coraggio di fare a viso aperto. Abbastanza per esser
certi che il pensiero magico finisca con l’esasperare quella stessa
crisi o difficoltà dalla quale si vuol fuggire.
Gioacchino Lavanco
(professore ordinario di Psicologia di comunità e presidente dei corsi
di laurea in Scienze dell’educazione presso l’Università di Palermo)
a cura di Paolo Perazzolo