02/11/2012
Nevé Shalom-Wahat as Salam è un
villaggio adagiato sulle verdi colline
tra Tel Aviv e Gerusalemme. A fine
giugno la comunità, fondata nel 1966
dal domenicano padre Bruno Hussar,
dove vivono ebrei, cristiani e musulmani,
si è risvegliata in preda allo
shock: gomme d’auto bucate e scritte
razziste antiarabe. Un gesto inaudito
in un luogo simbolo della convivenza
e del dialogo (senza falsi irenismi) tra
le varie componenti della popolazione
della Terra Santa. Poi, a fine agosto,
vandalismi e violenze hanno toccato
i cristiani di Betfage, nei sobborghi
di Gerusalemme, dove sorge un complesso
abitativo della Custodia di Terra
Santa, con lanci di pietre che hanno
sfondato finestre e auto in sosta.
Non è finita. All’inizio di settembre,
ancora scritte blasfeme e atti vandalici
presso il monastero benedettino
di Latrun, sulla strada che da Gerusalemme
porta verso Tel Aviv. Nel primo
caso, secondo le prime indagini,
la responsabilità sarebbe di estremisti
della destra israeliana. Nel secondo
gli indizi portano a una banda di ragazzi
musulmani. Nel terzo caso i presunti responsabili sarebbero esponenti
del movimento dei coloni israeliani.
Come nel caso del Sion, dove non
è la prima volta (era già capitato nel
2009) che scritte blasfeme contro Gesù
imbrattano le mura del quartiere.
C’è indubbiamente un malessere
che, non da oggi, alberga e mette radici
sempre più profonde in ampi strati
della popolazione della Terra Santa.
Un germe di intolleranza, pronto a
manifestarsi a ogni occasione propizia.
E della quale, molto spesso, fanno
le spese i cristiani. La loro colpa?
Quella di offrire in quel contesto una
testimonianza di dialogo e di accoglienza
quotidiana.
Le scritte blasfeme e gli atti di violenza
al Sion, a Nevé Shalom, a Betfage
e Latrun, hanno avuto un’eco internazionale.
Al punto che anche la
diplomazia è scesa in campo. Zion
Evrony, nuovo ambasciatore di Israele
presso la Santa Sede, ha spiegato
che il suo Paese sta facendo il possibile
per salvaguardare la libertà religiosa
e ha garantito che coloro che sfregiano
i Luoghi Santi cristiani o ne offendono
le persone saranno puniti
una volta individuati. «Quegli atti di
vandalismo sono stati compiuti da pochi
criminali. I leader politici e religiosi
di Israele li hanno ampiamente condannati
e noi stessi, come ambasciata
presso la Santa Sede, abbiamo emesso
un comunicato di condanna. Libertà
di religione e libertà di culto sono tra
i princìpi fondamentali dello Stato di
Israele e rivestono un particolare significato
nel sistema di valori del giudaismo.
Facciamo del nostro meglio
per garantire (il godimento di) questi
diritti. Coloro che si sono macchiati
di simili azioni di intolleranza sono
pochi teppisti irresponsabili. Non rappresentano
la maggioranza degli
israeliani e noi dovremmo sempre
guardare al quadro più ampio. La
questione è all’attenzione della polizia
israeliana e dei funzionari preposti
alla tutela dell’ordine pubblico.
Gli atti di intolleranza saranno sempre
condannati e i responsabili, una
volta catturati, verranno perseguiti e
puniti». Ma al di là di quanto le istituzioni
possono e devono fare per arginare
il fenomeno dell’intolleranza, i
fatti recenti stanno innescando un
processo di riflessione all’interno delle
comunità religiose che – ci si augura
– possa portare a un vero cambiamento
di mentalità e a un’azione più
decisa sul versante del dialogo. Il compito
di tutti gli uomini di buona volontà
(politici, personalità religiose e cittadini
di religione ebraica, cristiana e
musulmana) dovrebbe essere quello
di lottare insieme per sradicare il male
dal cuore dell’uomo. E per trasformare
il male in occasione di bene.