14/03/2011
La protezione da parte di un genitore dovrebbe essere esercitata in misura sufficiente da mantenere la sicurezza del figlio, ma non in modo così soverchiante da diventare emotivamente gravoso (Muris, Loxton, Neumann, du Plessis, King & Ollendick, 2006). Ci sono tre aspetti del sistema familiare da considerare quando si valutano gli schemi del sistema educativo percepito come iperprotettivo:
- distinguere il controllo concentrato sull’emotività da quello focalizzato, invece, sul comportamento;
- valutare l’oggettivo livello di rischio che un bambino affronta all’interno della sua comunità;
- ed esplorare accuratamente il significato che tanto il bambino quanto il genitore attribuiscono ad azioni percepite come iperprotezione
Discernere se pratiche educative connotate da una forte ansia e preoccupazione risultano focalizzate sull’emotività o sul comportamento implica un’osservazione dettagliata e alcune valutazioni da parte sia dei genitori che dei figli. Le famiglie al cui interno si sono creati e mantenuti legami eccessivamente invischiati, non garantiscono ai figli l’opportunità di mettere in gioco le loro capacità personali, o ciò che Vygotsky (1978) chiama “zone di sviluppo prossimale”. Tale atteggiamento può provocare il rischio di un disagio psicologico a lungo termine. Barber (1996) nota che il controllo psicologico fa esplodere il legame genitore-figlio e appesantisce il bambino con sentimenti negativi come senso di colpa, vergogna e richiesta di minore controllo personale.
Il controllo comportamentale, che non ha un impatto negativo sul bambino se esercitato in modo ragionevole (come nel caso in cui si controlla il figlio all’uscita da scuola per assicurarsi che non si senta abbandonato), può causare conseguenze negative non volute se usato in modo sproporzionato. Un eccesso di controllo di solito si manifesta quando un bambino sperimenta una supervisione paterna (o materna) che si dimostra come forma di controllo molto più di quella esercitata dai genitori dei suoi compagni provenienti da un ambiente e un sistema culturale simili. Una seconda considerazione nella valutazione familiare è la necessità di prendere in esame nella sua interezza il contesto nel quale la protezione genitoriale viene messa in atto. La giusta dose di educazione protettiva dipende dal contesto. Per esempio, Luthar, Sawyer and Brown (2006) hanno mostrato che se la definizione di un limite evidenziava una correlazione positiva con le capacità personali nel caso di bambini provenienti da famiglie meno abbienti, era correlato negativamente con le capacità nel caso di giovani di ceto medio (per i quali uno stretto controllo in ambienti relativamente sicuri può significare rigidità). Il meccanismo che spiega la differenza può essere la diversità nel modo in cui i rischi che un bambino affronta vengono valutati.
L’evidenza suggerisce che quando i bambini sono testimoni di pericoli all’interno della loro comunità (spaccio di droga, prostituzione, violenza armata) uno stile educativo inflessibile viene vissuto dai figli come protettivo (Brodsky, 1996). Comunque, nel caso di un bimbo di una comunità sicura dove non si percepiscono pericoli, un genitore che esercita eccessivo controllo senza volerlo potrebbe minare il senso di capacità personale del figlio. Il messaggio nascosto è: “Tu non sei capace di badare a te stesso, perfino quando non c’è un pericolo immediato”. La posizione del controllo che ne risulta è esterna, con il bambino che attribuisce sicurezza alle azioni di altre persone piuttosto che alla sua personale capacità di risolvere i problemi. Il terzo punto della valutazione dovrebbe essere il significato attribuito alle azioni dei genitori e agli atti di condiscendenza da parte dei figli. Per esempio, è stato dimostrato che l’assunzione precoce del “ruolo genitoriale” da parte dei bambini è vantaggiosa per lo sviluppo infantile oppure neutra nei suoi effetti quando al bimbo viene riconosciuto il suo contributo al raggiungimento del benessere dei membri della famiglia (Hooper, Marotta & Lanthier, 2008; Jurkovic, Morrell & Casey, 2001), e il piccolo percepisce la sua assunzione del ruolo genitoriale come necessaria alla sopravvivenza della famiglia (come quando un genitore ha una malattia mentale, o la famiglia è emigrata da poco e al bambino è richiesto di badare agli altri figli piccoli mentre i genitori svolgono più lavori sottopagati) (Ungar, 2004; Yoshikawa & Kalil, 2010). Un simile ragionamento più essere fatto in merito alla costruzione della rappresentazione di sé dei bambini quando lo stile educativo è iperprotettivo.
Michel Ungar