14/03/2011
Successivamente, nella mia terapia con i genitori pongo tre domande su loro stessi e i figli. Il mio scopo è aiutare i loro bambini ad acquisire i mezzi per affrontare i rischi che siano socialmente accettabili e appropriati per la crescita. Ai genitori viene prima di tutto chiesto di pensare a come essi stessi hanno raggiunto obiettivi di sviluppo e a come hanno gestito l’esposizione al rischio e alla responsabilità. Le loro storie personali sono importanti e forniscono un arco narrativo al lavoro. I genitori che hanno sperimentato carenza di controllo o abbandono sono incoraggiati a prendere in esame le fonti della loro capacità di gestione delle situazioni (“Come hai imparato ad affrontare il pericolo?”). Ai genitori che si sentivano a loro volta iperprotetti viene chiesto di raccontare dei momenti della loro vita in seguito, quando hanno cominciato ad affrontare rischi e assumere responsabilità, e qual è stato il motore che ha spronato quei cambiamenti.
La seconda domanda che viene posta ai genitori è se la loro esperienza di protezione o abbandono sia stata utile oppure no, e in quale misura la loro esperienza di figli li abbia aiutati a esaminare i quattro messaggi sopra menzionati. Durante questa fase, i genitori sono invitati ad analizzare in modo critico la loro esperienza, sfidando i giudizi poco adeguati. Il punto è identificare le modalità che hanno permesso di sviluppare la capacità di gestire i problemi e capire se i loro genitori hanno favorito oppure ostacolato il loro sviluppo psicologico.
La domanda finale non intende assume i toni di un’accusa. Ma gli viene chiesto in che modo il loro bambino apprenderà ciò di cui ha bisogno per sviluppare quelle capacità che gli saranno richieste in futuro per gestire i problemi. In che modo loro figlio troverà i mezzi socialmente accettabili per sentire di esistere, di essere degno di fiducia, responsabile e competente? Piuttosto che cercare di porre fine a un sistema educativo iperprotettivo, la terapia si focalizza sulla soluzione, invitando i genitori a offrire ai figli i vantaggi che derivano dal mettersi in gioco e dall’assumersi responsabilità. L’importante è assicurare che il prima possibile i bambini siano sufficientemente vaccinati contro le situazioni di stress e che abbiano le capacità di cui necessitano per gestire i problemi in modo tale da riuscire in seguito nella vita. In pratica, questo significa che ai genitori di Adrian era stato chiesto di assicurare che il ragazzo avesse l’opportunità di assumersi delle responsabilità per sé e di svolgere azioni che comportavano un normale grado di rischio come andare da solo a scuola. Nel caso di Patricia i genitori, che erano sempre stati insicuri e avevano compensato l’insicurezza con forme eccessive di controllo, finirono col capire il bisogno della figlia di cominciare a prendere delle decisioni da sola, incluse le scelte riguardo la sua salute fuori di casa.
In questo modo, la terapia si è concentrata sullo sviluppo della forza di carattere dei bambini attraverso l’esposizione a rischi ragionevoli piuttosto che puntare sullo scontro con i genitori per mettere fine a una situazione di eccessivo controllo. Rischio e responsabilità sono stati inquadrati come normali bisogni della crescita e la corretta educazione di un figlio è stata delineata come un insieme di azioni da parte dei genitori che aiutano il bambino a sviluppare le capacità di affrontare i problemi in modo autonomo da chi si prende cura di lui.
Michel Ungar