A scuola da soli: in Italia lo fanno in pochi

Una ricerca del Cnr mostra mamme e papà italiani non inclini a rendere indipendenti i figli. Pochi bambini vanno a scuola da soli. Alcuni genitori si presentano persino all'università.

Anche all'università con mammà

05/05/2013

Il mese di aprile ha dato il via ai primi test di ingresso all'università per il prossimo anno accademico. Ci riferiamo all'ammissione ai corsi di laurea in Medicina e Odontoiatria della Cattolica8.572 i candidati, per 300 posti disponibili, smistati tra Roma e Milano. Nella Capitale il gruppo più corposo: 7.381 aspiranti medici provenienti dal Lazio e dalle Regioni del Centro-Sud si sono misurati con 120 quesiti a risposta multipla e un test di lingua inglese. Il concorso si è svolto alla nuova Fiera di Roma, con notevoli disagi. Gli adempimenti burocratici necessari a far partire il concorso sono stati lunghi e difficili, a motivo dell'elevato numero dei partecipanti. Ma non solo. Accanto ai giovani concorrenti, infatti, si accalcavano folle corpose di genitori. Mamme e papà venuti per accompagnare i loro figli, per sostenerli nella fatica e nella tensione legate alla prova d'esame. E, con molta probabilità, per proteggerli, assorbendo la loro emotività. Inutile, quindi, precisare il disagio che hanno arrecato all'orgaizzazione concorsuale. Eppure, per stare vicini ai loro figli, si sono sacrificati. A tutti i costi hanno voluto esserci, nonostante l'età giovanile della loro prole. Si sono comportati da genitori italiani. Come leggere, dunque, questo attaccamento? Frutto di una certa sensibilità e attenzione, oppure segno di una protezione eccessiva?

Secondo Laura Formenti, docente di Psicopedagogia della famiglia all'Università di Milano Bicocca, «sostituirsi è la tentazione più grande per chi educa. Fare le cose al posto del figlio, proteggerlo, risparmiargli la fatica e il disagio. E' una cifra comune a tanti genitori di oggi. Una strategia che sembra sottrarre al giovane spazi di autonomia e decisionalità, la capacità di arrangiarsi, di trovare soluzioni, di scoprire meraviglie nascoste, di trasgredire e anche di sbagliare». Esiste una forma di accompagnamento più simbolica, «fatta di presenza emotiva, di attenzione, di condivisione, e, quando è necessario, anche di suggerimenti e consigli», precisa l'esperta. Eppure, i genitori cadono spesso in una trappola: diventare i "compagni" dei loro figli, iscrivendosi con loro al corso universitario e, di fatto, ripercorrendolo. Non è raro, infatti, vederli attraversare i corridoi degli aetenei e domandare: «Dobbiamo iscriverci all’università, dov’è la segreteria?». 

Molti studi, tuttavia, sottolineano l’importanza della capacità di apprendere in modo autonomo, di autogestirsi e autovalutarsi, di scegliere che cosa e come studiare, in una parola: di esercitare la propria adultità anche nel ruolo di studente. E, nel nostro caso, anche nel ruolo di concorrente. Allora, «una famiglia troppo presente, troppo “accompagnante”, rischia di non aiutare il figlio ad assumere la responsabilità verso le proprie scelte», conclude la Formenti.
Una lezione che, prima o poi, tornerà utile a tutti i genitori. Nonostante la loro buona fede e l'affetto profondo nutrito per i figli. 


                                                                                           Simone Bruno

Orsola Vetri
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