A scuola da soli: in Italia lo fanno in pochi

Una ricerca del Cnr mostra mamme e papà italiani non inclini a rendere indipendenti i figli. Pochi bambini vanno a scuola da soli. Alcuni genitori si presentano persino all'università.

Mamme italiane: non tutte sono apprensive

05/05/2013

le mamme vorrebbero che i loro figli diventassero adulti sicuri e autonomi. Eppure, non è facile educare all’indipendenza passo a passo e, spesso, la paura impedisce di concedere ai ragazzi un po’ di libertà.

«Vivo a Torino, una città grande e, secondo me, pericolosa», racconta Antonella Vincenzi, 45 anni, mamma di due ragazzine di 12 e 15 anni. «Mi rendo conto di essere apprensiva e concedo poca libertà alle mie figlie: accompagno ancora la piccola a scuola in macchina e non mi va che la grande esca la sera. Mio marito è d’accordo, dice che le ragazze sono ancora immature e non saprebbero gestire l’autonomia».

Carlotta Giorda, 35 anni e un figlio di nove, invece, vuole che il suo bambino cresca libero a indipendente: «Tutti i pomeriggi, lascio che il mio Mattia vada a giardinetti sotto casa da solo. Mi fido di lui e so che frequenta ragazzini educati e affidabili». Non tutti, però, condividono la scelta di Carlotta. «Le mamme dei compagni di gioco di mio figlio sono stupite, dicono che non lascerebbero mai i loro bambini da soli, neanche per cinque minuti».

                                                                                 
«Non fatico a concedere libertà alla mia Lara, che ha otto anni», spiega Silvia Del Giudice, 49 anni. «Non la accompagno più a scuola da qualche mese e, qualche volta, le permetto di andare a fare un po’ di spesa nel negozio sotto casa, perché so che si diverte moltissimo. E poi, l’ho iscritta al gruppo scout della cittadina in cui viviamo, così potrà fare tante esperienze avventurose senza noi genitori».

Enrica Carbone, 38 anni e un figlio di nove, cerca di venire a patti con le sue paure: «Sono apprensiva, ma non voglio impedire al piccolo di fare le sue esperienze e mi sforzo di concedere qualche piccola libertà. Per esempio, accompagno mio figlio a nuoto, ma cammino alcuni metri dietro di lui, che così si sente più indipendente. E poi, due pomeriggi alla settimana, gli permetto di andare a giocare in parrocchia, dove i bambini non vengono controllati da adulti, ma solo da due o tre ragazzi che frequentano l’università. Inutile negare che, quando il bambino non è con me, sono agitata. Ma non voglio che i miei timori condizionino il piccolo».

                                                                                Erika Di Francesco

Orsola Vetri
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