Navi veleni, caso De Grazia: è svolta

La morte del capitano Natale De Grazia non avvenne per infarto, come affermava l'autopsia, ma per avvelenamento. Lo dice il perito della Commissione parlamentare d'inchiesta.

L'ultima perizia che smentisce l'autopsia

02/01/2013
Rifiuti trasportati dalle onde a riva sulla spiaggia di Jamestown, ad Accra (Ghana). Foto Reuters.
Rifiuti trasportati dalle onde a riva sulla spiaggia di Jamestown, ad Accra (Ghana). Foto Reuters.

È impressionante la precisione con cui il perito, professor Giovanni Arcudi, indica gli elementi da cui deduce l’avvelenamento del capitano Natale De Grazia. Ma lo è ancora di più ricordando le circostanze del fatto. L’ufficiale era partito verso sera, il 12 dicembre 1995, da Reggio Calabria per La Spezia, assieme ad altri due agenti. A tarda sera si erano fermati per cenare, fuori dall’autostrada, in un ristorante della zona di Salerno. Una rapida cena, per ripartire subito alla volta della Liguria.

Nemmeno mezz’ora dopo gli eventi precipitano. Li descrive con precisione Arcudi, il consulente della Commissione parlamentare sui rifiuti che ha redatto la perizia: «Il capitano De Grazia», scrive il perito, «subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; a un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall’occupante il sedile posteriore dell’autovettura; a questa sollecitazione reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunché se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni».

I colleghi si rendono conto della gravità della situazione, si fermano in una piazzola d’emergenza, cercano inutilmente di rianimarlo e intanto chiamano i soccorsi. Poco dopo arriva l’ambulanza, ma i medici non possono che constatare il decesso.

Viene subito aperta un’inchiesta dal Pm Giancarlo Russo della Procura di Nocera Inferiore, che ordina l’autopsia, affidata alla dottoressa Simona Del Vecchio, medico legale di Roma. Il referto? «Morte improvvisa dell’adulto». La Procura chiude il fascicolo nel 1996, archiviando: nessun mistero, morte naturale. La dottoressa, anzi, aveva escluso l’avvelenamento: «Per quanto riguarda l’aspetto tossicologico delle nostre indagini», scrisse, «posso confermarle che le indagini da noi fatte hanno escluso la presenza di sostanze tossiche e stupefacenti».

La famiglia del capitano De Grazia non è affatto convinta dei risultati dell’autopsia e dell’inchiesta. Nel 1997 la vedova, Annamaria Vespia, presenta un nuovo esposto, chiedendo una seconda perizia sul corpo del marito. Il Pm di Nocera Inferiore, Russo, decide per la riesumazione del cadavere e incarica dei nuovi accertamenti – fatto piuttosto singolare – la stessa dottoressa Del Vecchio. La quale conferma, naturalmente, i risultati della prima autopsia: morte naturale per arresto cardio-circolatorio. Nel luglio 1998 l’inchiesta viene archiviata per la seconda volta e definitivamente.

Trasporto di rifiuti pericolosi in Venezuela. Foto Reuters.
Trasporto di rifiuti pericolosi in Venezuela. Foto Reuters.

Intanto, gli investigatori cercano di effettuare quegli accertamenti che De Grazia non aveva potuto portare a termine. Ebbene, alla capitaneria della Spezia si trovano davanti a una novità inattesa: sfortunatamente le stanze dell’archivio dove si trovavano i documenti cercati da De Grazia hanno subito un allagamento. Tutto è andato perduto.

Ora, la nuova perizia sulle circostanze della morte del capitano dice cose ben diverse: «L’indagine medico legale condotta dalla dottoressa Del Vecchio», scrive Arcudi, «si è conclusa con una diagnosi di morte improvvisa dell’adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro anatomo e istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta diagnosi. Questo non corrisponde alla verità scientifica. Ho evidenziato», sottolinea il professor Arcudi, «come la lettura dei preparati istologici effettuata in questa sede smentisca quella della dott.ssa Del Vecchio».

«Questo significa», continua, «che, allo stato, non c’è nell’intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa dell’adulto; diagnosi causale di morte, questa, che deve essere ritenuta non provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità. Se noi qui dobbiamo fare una conclusione al termine di questa indagine dobbiamo dire che il capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento. Si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici».

«L’esame necroscopico», specifica il perito, «al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa. E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa».

Ed ecco le conclusioni cui arriva il perito: «Morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolo, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito».

Luciano Scalettari
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