La vita oltre la Shoah

Le testimonianze e i ricordi di chi è non è stato sconfitto dall'Olocausto, mentre al Parlamento europeo approda l'appello per una Giornata dei giusti.

Amos Gitai: «Tutto su mia madre»

27/01/2012
Amos Gitai è regista, fra gli altri, dei film "Free zone" e "Terra promessa" (foto Corbis).
Amos Gitai è regista, fra gli altri, dei film "Free zone" e "Terra promessa" (foto Corbis).

In Storia di una famiglia. Corrispondenze 1929-1994 (Bompiani) il regista e scrittore israeliano Amos Gitai ha raccolto le lettere che sua madre Efratia spedì a famigliari, compreso lo stesso Amos, e amici nel corso della sua lunga vita. Più ancora che la storia di una famiglia, questo libro racconta la storia di un popolo, quello ebraico, negli ultimi sessant’anni.

Era questo il suo obiettivo?
«Efratia, o meglio la sua storia, è interessante perché in un certo senso riassume la storia del Novecento. È stato più facile parlare di quella situazione caotica che è il Medio Oriente attraverso il microcosmo della mia famiglia, per arrivare a parlare in senso generale di Israele».

C’è stato un lavoro di montaggio, in senso cinematografico, sulle lettere?

«No. Non volevo costruire una storia angelicata, abbellita delle persone, volevo mostrarla nella sua completezza, contraddizioni comprese, così come è stata presentata da mia madre».

Da una lettera emerge che ci furono delle frizioni, delle incomprensioni tra i reduci dell’Olocausto e chi era già in Palestina prima dell’avvento del nazismo. Lei cosa ne pensa?
«Io, e sottolineo che si tratta di una mia opinione, penso che i tedeschi abbiano il copyright dell’Olocausto e che lo avranno per sempre. Non solo i tedeschi, ma anche tutti coloro che collaborarono con loro allo sterminio, italiani compresi. Detto questo, l’incontro tra i sopravvissuti e i residenti in Palestina, nel dopoguerra, fu in effetti difficile. Ritengo tuttavia che il tempo abbia poi sanato questi conflitti».

Lei è regista, scrittore, artista… Come s’intrecciano i vari linguaggi nel suo lavoro?
«Sono un architetto, infatti ho studiato architettura sulle orme di mio padre. Dopo la guerra del Kippur, nel 1973 (nel corso della quale sopravvisse all'abbattimento dell'elicottero su cui viaggiava, ndr) però l’architettura cominciò a risultarmi troppo stretta, per cui cominciai a rivolgermi al cinema. Tuttavia non m’interessano gli incassi, non faccio film per fare soldi. Farò film finché me li faranno fare, altrimenti mi dedicherò alla letteratura o all’arte».

Nell’ultima lettera del libro, datata ottobre 1994, rivolgendosi a lei Efratia scriveva «Che sarà di voi giovani? Saprete vincere la tenebra che vi avvolge?». Domande che nel frattempo hanno trovato risposta?
«In mia madre e nelle persone che le erano vicine non c’era l’idea di Israele come di uno Stato nazionale etnico. La sua esperienza personale le aveva insegnato a non avere approcci rigidi alle questioni, a essere più elastica. Le generazioni successive sono in parte cresciute entro confini ideologici molto più rigidi. Forse dovremmo provare a vincere quella tenebra».

Carlo Faricciotti

A cura di Paolo Perazzolo
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Postato da martinporres il 27/01/2012 17:51

Qualsiasi cosa si scriva e si dica oggi nel Giorno della Memoria, non servirà a porre fine all’antisemitismo. E’ difficile ormai credere nel potere della memoria. Questo giorno varrà come un blando tranquillante; potrà funzionare per blandire per alcuni minuti la coscienza europea che mal sopporta il crimine della Shoah.

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