Giovani e crisi: un futuro da progettare

Un sondaggio fotografa le nuove generazioni. I ragazzi di oggi credono nella famiglia ma conducono vite precarie e sono pessimisti sul lavoro. Ecco le storie di chi ha regito.

Colombo: «Più solidarietà o non se ne esce»

13/12/2012

A Fausto Colombo, massmediologo, scrittore (ultimo volume pubblicato, Il paese leggero. Gli italiani e i media fra contestazione e riflusso (1967-1994), Laterza), ordinario di Teoria e tecniche dei media presso la facoltà di Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano, chiediamo: dove le mettiamo queste ingombranti nuove generazioni? «Bel problema. La letteratura sociologica ci parla di “generazione globale”, con tratti distinguibili di diversa natura ma condivisi, dai consumi ai comportamenti, ai media utilizzati.
Tuttavia, i giovani vivono prospettive non esaltanti e non mancano fattori di crisi. Le speranze di molti di loro sono limitate. Per esempio, non sanno se e quando andranno in pensione. Ma rispetto a quest’idea di generazione globale io sono critico, perché non tutti i giovani sono così uguali tra loro come sembrerebbe.
I giovani arabi e i giovani occidentali nutrono aspettative differenti. I primi lottano per diritti che i loro padri non avevano, i secondi per difendere diritti che i loro genitori hanno avuto».

– Pessimista?

«Non in modo assoluto, perché una crisi come quella che stiamo vivendo determina anche dei cambiamenti. Tutto sta a vedere quali saranno. È importante capire verso quale modello di sviluppo vorremo dirigerci. Siamo sicuri che rincorrere l’aumento del Prodotto interno lordo sia ancora la via giusta? Ne dubito. È giusto che siano le agenzie di rating a dare i voti a una nazione? Mi permetto di obiettare. E il modello neoliberista non avrà fatto il suo tempo? La crisi ci costringe a pensare a nuovi modelli. Se questo accadrà, ci saranno chance per le prossime generazioni».

– Ma questo significa un nuovo modo di “ideologizzare” il futuro?

«Non necessariamente. Uno dei temi che devono riemergere è quello della solidarietà. È un tema depoliticizzato in sé, quindi può offrire una spinta in più. La stessa dottrina della Chiesa dice cose, in questa direzione, non ideologiche ma ricche di spunti su cui lavorare. Sono convinto che senza solidarietà non si vada più avanti.
Ed è tempo anche per la Chiesa di parlare in modo convinto, anche più di quanto abbia fatto finora – e quel che ha fatto non è poco – al cuore delle persone. Il calore della parola all’uomo, al fratello, è decisivo per un passaggio dallo scontro alla solidarietà. La solidarietà non può essere solo un dovere ma è l’unica via d’uscita da questo periodo».

– Non sembra, però, che la politica vada in questa direzione...

«Certo. I modelli di solidarietà, da noi finora li abbiamo visti all’interno delle famiglie. Quelle che dicono: quest’anno non si va in vacanza perché altrimenti non riusciamo a far studiare i figli. Questo modello di solidarietà ora va ampliato, deve uscire dall’alveo delle famiglie per diventare sociale».

Manuel Gandin

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