Giovani e crisi: un futuro da progettare

Un sondaggio fotografa le nuove generazioni. I ragazzi di oggi credono nella famiglia ma conducono vite precarie e sono pessimisti sul lavoro. Ecco le storie di chi ha regito.

D’Avenia: sceglietevi il vostro destino

13/12/2012
Alessandro D'Avenia.
Alessandro D'Avenia.

Lui è amato dai suoi studenti, e i suoi romanzi lo sono dai giovani. Bianca come il latte, rossa come il sangue è un best seller dal 2010; il più recente Cose che nessuno sa è un’altra esplorazione del mondo giovanile, con uno sguardo che gli ha guadagnato la definizione di “anti-Moccia”.
Alessandro D’Avenia, 35 anni, è scrittore di successo, ma in primo luogo è un educatore, come insegnante di lettere al liceo classico del Collegio San Carlo di Milano. Palermitano, segnato da ragazzo dalla conoscenza di padre Puglisi, ha da poco ricevuto a Palermo uno dei premi internazionali assegnati in nome del prete ucciso dalla mafia.

«Avendo tre sorelle più giovani di me, che stanno combattendo per cercare lavoro, dal mio osservatorio ravvicinato posso confermare che l’insicurezza lavorativa produce anche un sentimento di precarietà esistenziale», ci dice D’Avenia. «Una sorella, pur essendo psichiatra, è dovuta andare a New York per trovare qualcosa.
Le altre due non vedono l’ora di sposarsi, ma con i loro fidanzati stanno meditando un abbandono della Sicilia, se non dell’Italia, perché lì il mercato del lavoro è bloccato, e dove succede questo è inevitabile che si blocchino anche i progetti esistenziali. Come si crea una famiglia se almeno uno dei due non lavora?». Continua: «C’è una certa verità nella convinzione dei giovani che per trovare lavoro serva conoscere persone che contano. Io vengo da una regione dove il conoscere qualcuno supera spesso il conoscere qualcosa. A cascata, è il sistema della politica che ormai ha innervato tutta la società civile. È meritocrazia avere il merito di conoscere qualcuno di potente? Se è così, è meglio andarsene».

Da educatore, D’Avenia sente una responsabilità primaria: «Il mio compito verso gli studenti, in un’epoca di precarietà esterna totale, è formarli a non essere precari interiormente, a essere forti, perché andranno incontro a un ottovolante. Rispetto alla mia generazione, sono più bravi nella conoscenza delle lingue, nel fare più cose contemporaneamente e nel ragionare senza confini “italici”: non hanno paura non solo di cambiare città, ma neppure di cambiare nazione. In questo credo abbiano una marcia in più. Ne hanno una in meno per il fatto che la precarietà, la capacità di affrontare qualsiasi situazione, li rende molto meno radicati in una storia familiare, personale, e quindi sono molto più in balìa di crisi. Perché poi le situazioni che incontrano determinano una pressione molto più forte. Bisogna educarli a trovare (e non è facile) un equilibrio umano già in età molto giovane. Altrimenti al primo insuccesso vanno in crisi e si disperano. Pensando a ciò che dice Shakespeare nell’Enrico V, bisogna rendere pronte le anime, perché allora saranno pronte anche le cose. Da questa crisi deve emergere un nuovo paradigma sociale, economico, di lavoro, e loro sono la generazione del guado. Dovranno trovare loro le nuove soluzioni. A differenza forse dalla mia generazione, adesso le cose non sono più pronte. Quindi è bene che lavoriamo sulle anime».

Rosanna Biffi

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