Rio, si decide il futuro dell'ambiente

ll 20 giugno inizia in Brasile un vertice nel quale i "Grandi" discuteranno di inquinamento e di sfruttamento del pianeta. Tra le sfide, “acqua, cibo e energia a tutti, per sempre".

Rapporto sulla terra

18/06/2012
Rio de Janeiro (foto Corbis).
Rio de Janeiro (foto Corbis).

Il pianeta non può mantenere l'attuale aumento della domanda di risorse senza gravi conseguenze per l'umanità e gli ecosistemi. Per fortuna, indipendentemente dalle decisioni prese nelle sedi internazionali, governi, cittadini e comunità locali si stanno già attivando. È quanto sottolinea lo “State of the World 2012: Verso una prosperità sostenibile”, il 29° rapporto del Worldwatch Institute, che quest’anno è dedicato ai temi della Conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile di Rio+20.

 

"La rivoluzione industriale ha dato vita a un modello di crescita economica palesemente insostenibile", ha detto Michael Renner, Senior Researcher Worldwatch e codirettore di “State of the World 20122, in Italia per presentare il volume.
“Il crescente stress imposto agli ecosistemi e una pressione insostenibile sulle risorse sono accompagnati da una maggiore incertezza economica, crescenti disuguaglianze e vulnerabilità sociale. È difficile evitare la conclusione che così come è impostata l'economia non funziona più: né per noi né per il pianeta”.

(foto Corbis)
(foto Corbis)

Della stessa idea Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, che da 25 anni cura l'edizione italiana del rapporto per Edizioni Ambiente.

“Non ci sarà bisogno di rivedere la conferenza di Rio+20 tra altri vent’anni per cercare di capire cos’è andato storto – ha detto – Sappiamo abbastanza sullo stato del pianeta per vedere chiaramente che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di produrre. Anche se una conferenza di governi senz’altro può aiutare, per definire nuove strade verso la vera sostenibilità serve di più. La sfida inizia riconoscendo che una crescita “infinita” non è possibile su un pianeta “finito”. Possiamo lavorare con la speranza che la stabilità economica è possibile, così come una vita giusta, basata sulla salute, su comunità forti e sulla possibilità che tutti accedano al ‘necessario’ piuttosto che a un superfluo sempre crescente”. 

 

Oggi la sfida è rendere più equo e più sostenibile un mondo in cui 828 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, in cui 800 milioni di auto sono responsabili di oltre la metà del consumo globale di combustibili fossili liquidi e di unquarto delle emissioni di anidride carbonica (80% di inquinanti nocivi nei paesi in via di sviluppo), in cui la costruzione e la gestione degli edifici impiega il 25-40% di tutta l'energia prodotta, e rappresenta una quota analoga nelle emissioni globali di anidride carbonica, in cui quasi due miliardi di persone vengono nutrite dai prodotti di 500 milioni di piccole fattorie nei paesi in via di sviluppo, ma dove l’80% di chi soffre la fame vive proprio nelle aree rurali, in cui le specie si estinguono a un tasso di 1000 volte più alto rispetto al periodo pre-industriale, portando con sé qualità ambientale, materie prime e servizi ecosistemici che sono indispensabili alla nostra vita e alla nostra economia.  

In alcune parti del mondo governi e società si stanno già muovendo. I governi di Danimarca, Belgio, Singapore e Tailandia hanno sostenuto programmi di formazione per sviluppare la bioedilizia, per evitare che la mancanza di qualificazione professionale impedisca lo sviluppo della green economy. L'economia giapponese è una delle più efficienti al mondo anche grazie all'applicazione, dal 1998, del programma "Top runner" che stabilisce standard di efficienza ambientale per una serie di prodotti che complessivamente rappresenta oltre il 70% del consumo di elettricità nel settore residenziale. Il movimento delle Transitions towns fondato in Inghilterra nel 2005, ha già coinvolto 400 comunità in 34 Paesi, per ridurre i propri consumi energetici e rilocalizzare le economie e i sistemi di produzione alimentare, al fine di rendere le comunità più sostenibili. I 200 abitanti del villaggio colombiano di Gaviotas, sorto 30 anni fa su una savana degradata, da allora ha messo a dimora, in oltre 8.000 ettari di terreno, tanti alberi da formare una foresta che garantisce al villaggio cibo e prodotti commerciabili, assorbendo 144.000 tonnellate di CO2 l'anno. In Francia sono state create 1200 “fattorie sociali”, e più di 700 nei Paesi Bassi. E gli esempi raccontati nel volume sono decine.

Gabriele Salari

Gabriele Salari
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