07/11/2011
Silvio Berlusconi.
Il Governo Berlusconi non esiste più. Se ancora esiste, è nelle stesse condizioni di quel cavaliere ariostesco “che combatteva e non sapeva che era morto”. La crisi di credibilità, l’inadeguatezza rispetto a ai problemi urgenti della crisi, le battute di sapore populista (le allusioni sui dubbi sull’euro, i luoghi comuni di un’Italia che tutto sommato se la passa bene perché la gente va al ristorante) è sotto gli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale (In nome di Dio vattene!, ha titolato il Financial Times, che non è un quotidiano comunista ma è il giornale più prestigioso del liberismo e degli interessi finanziari della City).
Il ministro dell’Economia Tremonti sembra evaporato in una contingenza così cruciale per le sorti finanziarie del Paese. I numeri della maggioranza sono precari, le defezioni all’interno del Pdl si moltiplicano. La Lega Nord, principale alleato, è di fatto spaccata in due e il suo segretario Umberto Bossi sta cercando da settimane di domare una fronda interna che si allarga alla base.
Probabilmente anche lo stesso premier Berlusconi, nonostante continui a dire che ha i numeri per andare avanti, è convinto che il suo esecutivo sia agli sgoccioli e studia una exit strategy, mentre anche oggi la speculazione internazionale continua a manifestare la sua “sfiducia” attraverso massicce cessioni di titoli di Stato italiani. Il Governo nella bufera, sempre più simile a un pugile suonato, potrebbe cadere con una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione (anche questa settimana); con il venire a mancare del voto di fiducia su provvedimenti in agenda come il rendiconto dello Stato e la legge di stabilità; oppure - terza ipotesi - con una presa d’atto che si risolverebbe con la salita al Colle per rassegnare le dimissioni.
Un’ipotesi che Berlusconi sta prendendo in considerazione, caldeggiata anche dai fedelissimi, è quella di farsi da parte e dar vita a un Governo che comprenda oltre a Pdl e Lega anche l’Udc, guidato da una personalità moderata come Letta o Schifani. Un gioco d’anticipo che permetterebbe al Cavaliere di controllare la situazione pur facendosi da parte. Una strategia fondamentale per pilotare l’esecutivo (anche se dietro le quinte) verso le elezioni nel 2012 o nel 2013, data naturale di fine legislatura, e tornare a vincere.
E’ probabile che il premier tenti questa soluzione nelle prossime ore. Ma come sappiamo il gioco è in mano al Capo dello Stato. Inoltre l’Udc di Casini, soggetto essenziale in questa strategia, ha già detto di essere contrario e continua a rafforzare il dialogo con il Pd di Bersani. I due stanno lavorando, più che a un ribaltone, a un esecutivo “tecnico” o “delle larghe intese” o "del Presidente" (in sostanza è la stessa cosa) che racimoli, oltre alle forze dell’opposizione (tranne forse l’Idv di Di Pietro), anche pezzi della maggioranza: gli scontenti e i fuoriusciti del Pdl e forse quella parte della Lega capitanata da Maroni (ma ipotizzare una spaccatura così netta tra Bossi e l’attuale ministro degli Interni è quanto mai azzardato e prematuro).
Contro tutto questo Berlusconi sta pensando a una mossa, per così dire “craxiana”: rovesciare il tavolo. Ovvero dare le dimissioni e andare alle elezioni anticipate. In fondo con questa legge (che assegna un consistente premio di maggioranza alla Camera) e con il suo impero mediatico è convinto di potercela ancora fare. Inutile ricordare ancora una volta che anche in questo caso è il Colle ad avere l’ultima parola sul ricorso o no alle urne. Anzi, Napolitano ha il dovere di verificare se in Parlamento esistono i numeri per un’altra maggioranza.
Al Capo dello Stato dunque il compito di risolvere un problema cruciale per le sorti del Paese, quello che al momento è un vero e proprio rebus: il dopo Berlusconi. Ma chi sarà la personalità super partes chiamata a sostituire il Cavaliere in caso di esecutivo “tecnico”? Il nome che circola più insistentemente nella guida di un governo tecnico (o delle larghe intese) è quello dell’economista Mario Monti. L’ex rettore della Bocconi che ha ricoperto l’incarico di commissario europeo è certamente un nome in grado di garantire grande coesione tra le forze politiche e le istituzioni italiane e internazionali. Tra l’altro è stato, insieme con Ciampi e Prodi, uno degli alfieri della moneta unica, come non ha mancato di rimarcare nelle settimane passate nei suoi fondi sul Corriere della Sera.
Un capitano di lungo corso in grado di portarci fuori dai perigli delle turbolenze finanziarie e avviare riforme indispensabili prima del voto, in accordo con la Bce e l’Unione. Un cattolico con una visione rigorosamente laica della politica, in grado di coagulare due mondi spesso divisi dalle radicalizzazioni del berlusconismo e dall’attuale legge elettorale: il Porcellum del leghista Calderoli, la madre di tutti gli inghippi della Seconda Repubblica. E in fondo dovrebbe rispondere ai criteri di Bossi nella scelta delle candidature, come è avvenuto per il milanese Grilli per Bankitalia. Monti è infatti nato a Varese, ancora più su. Meglio di così...
Francesco Anfossi