Tripoli, festa sulla Piazza verde

Ieri sera almeno cinquemila persone hanno affollato la "Piazza dei martiri" della capitale libica, che dopo 42 anni è tornata a vestirsi delle bandiere tricolori di Re Idris.

30/08/2011


Tripoli, 30 agosto 2011


“Anche Ajaylat e Zuwarah sono libere, ora tutto l’ovest del Paese è nelle nostre mani”. Abdelrachim Matar, si fa largo nella calca della ex “piazza verde”, mentre racconta le fasi della conquista degli ultimi due avamposti delle forze di Gheddafi al confine con la Tunisia. Ha vent’anni e viene da Tripoli, anche se la sua famiglia è originaria di Nalut, nel Gebel Nafusa. E’ appena tornato con altri combattenti da Zuwarah, dove nella giornata di lunedì i ribelli hanno messo in fuga le ultime sacche di resistenza del Regime. I lealisti si erano asserragliati in alcuni quartieri della città, a maggioranza berbera, e nei villaggi di Ridqalin, Zaltan e Abu Kammash, verso la frontiera di Ras Jdir con la Tunisia, ora totalmente sotto controllo delle forze d’opposizione. “La gente di Tripoli sta finalmente capendo che può smettere di aver paura – dice Abdelrachim – già oggi inizia il futuro di questo Paese”.

Ieri sera, alla notizia del ritorno delle milizie ribelli dall’ovest, per la prima volta una nutrita folla di persone (almeno cinque mila secondo i ribelli) ha gremito Maydan as-Suhada, la “piazza dei martiri” di Tripoli, tornata a vestirsi delle bandiere tricolori di Re Idris, dopo 42 anni. “Siamo ancora pochi – spiega Munira el-Badari, studentessa ventitreenne, che in questa rivoluzione ha perso il fratello, ucciso dalla polizia durante le sollevazioni di febbraio a Tripoli – molta gente è scappata dalla Capitale ed è andata a rifugiarsi nel Nafusa, temendo gli scontri in città. Alcuni restano ancora barricati in casa, la paura dei cecchini è ancora forte. Ma vedrete che nel giro di qualche giorno Tripoli tornerà a riempirsi”.


Sul palco si susseguono i proclami dei comandanti ribelli, proprio sotto le mura dalle quali Muammar Gheddafi aveva pronunciato uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, alla fine di febbraio. Hisham è uno di quelli che quel giorno c’era: “Eravamo costretti a subire il suo dominio – spiega in un ottimo italiano, appreso dopo aver lavorato alcuni anni per una compagnia di costruzioni tricolore – era una sorta di plagio morale, silenzioso. La gente era terrorizzata dai metodi del Regime, molta lo è ancora. Ci vorrà del tempo perché tutti capiscano che questo capitolo della nostra Storia è finalmente terminato”. Già, ci vorrà del tempo. La notizia di ieri, confermata dalle autorità algerine, è che parte della famiglia del Qaid sarebbe riparata in Algeria. Ma del capo, ancora nessuna traccia.

Gilberto Mastromatteo
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