02/09/2011
Tripoli, 2 settembre 2011
Su un lato della banchina si intravedono le tende. Al loro interno centinaia di migranti africani: vecchi, donne, uomini e bambini. Siamo nei pressi di Janzur, 27 chilometri a ovest di Tripoli. Qui da qualche giorno si sono accampati un migliaio di africani provenienti dall'Africa sub-sahariana. Hanno deciso di abbandonare le proprie case e restare l'uno accanto all'altro, sul porticciolo della cittadina. “I ribelli stanno facendo delle retate in tutta Tripoli e nei dintorni – spiega in un buon italiano Ismail, un somalo sui cinquant'anni che prima della rivoluzione lavorava in un'impresa edile nella Capitale – tutti gli africani vengono presi e portati in carcere. Ci accusano di aver combattuto per Gheddafi. In realtà siamo solo povera gente che cerca di lavorare”.
Il pogrom, alla Medina di Tripoli, è iniziato lunedì sera. Fuori tutti gli uomini di pelle nera dalle case in cui si erano nascosti. I ribelli li caricano sui land rover, a gruppi di 20, poi li conducono in un edificio a poca distanza dall'arco di Marco Aurelio, nella città vecchia. La tappa successiva è il carcere di Jdeda, a dieci chilometri di distanza, nella zona est di Tripoli. Almeno 300 i migranti che sono stati presi negli ultimi tre giorni. Su di loro pende un'accusa pesantissima: essere dei mercenari al soldo di Gheddafi.
Davanti alla caserma all'arco di Marco Aurelio, è ormai una continua processione di donne e bambini. “Hanno preso due dei miei fratelli – dice Aziza, con il volto incorniciato da un niqab nero – ma noi veniamo da Bengasi, siamo libici!” “Non datele retta – sbotta Salem Eisaleh, il comandante del postio di polizia in mano ai ribelli – questi uomini sono tutti africani e molti di loro hanno combattuto contro i nostri ragazzi. Faremo tutte le indagini del caso e poi rilasceremo chi non c'entra nulla”.
Ma intanto la notizia ha iniziato a diffondersi nell'intera comunità africana di Tripoli, gettandola nel panico. “Questo accampamento nasce un po' per protestare e un po' per sentirci uniti – spiega ancora Ismail, raccontando la genesi del campo di Janzur – non credo vogliano portar via mille persone. Sarebbe un rastrellamento”. Intanto, però, alcune donne africane accampate a Janzur hanno ieri denunciato ai media alcuni abusi commessi dai ribelli. Sarebbero state stuprate alcuni giorni fa, a poca distanza dall'accampamento.
Gilberto Mastromatteo