03/02/2011
Le regioni del Sud Sudan che formeranno lo Stato autonomo.
JUBA (Sud Sudan) – E’ una giornata rovente a Juba, capitale del Sud Sudan. Nel piazzale antistante al mausoleo che ricorda John Garang de Mabior, storico leader della ribellione sud sudanese morto poco dopo aver firmato la pace nel 2005, sono stati allestiti numerosi tendoni per riparare il pubblico dal sole. L’evento che si celebrerà questa mattina è la proclamazione dei risultati preliminari del referendum sull’autodeterminazione del Sud Sudan.
Il verdetto definitivo verrà reso noto entro due settimane nella capitale nazionale Khartoum, ma la vera festa è qui, in mezzo ad un popolo che ha atteso questo momento per più di cinquant’anni. Paradossi della storia: l’eroe della giornata è Mohamed Ibrahim Khalil, un anziano professore universitario del Nord. A lui è stato affidato il delicatissimo compito di guidare la Commissione per il Referendum. Sfidando i pregiudizi ma soprattutto l’aspra contesa politica che si stava svolgendo intorno al suo lavoro, ha condotto in porto il voto secondo i tempi prestabiliti, anche grazie all’impegno costante – e per una volta efficace – delle Nazioni Unite.
Con voce flebile ma decisa, afferma quello di cui tutti sono consapevoli: “La divisione come provvedimento costituzionale è una cosa. Ma il Nord ed il Sud Sudan continueranno ad essere uniti da legami geografici e storici inscindibili”. Gli fa eco il Ministro per la Cooperazione Internazionale norvegese (la Norvegia è dagli anni Ottanta la più appassionata sostenitrice della causa sud sudanese), accolto come una vera e propria star: “La Norvegia ha dovuto lottare a lungo per ottenere l’indipendenza dalla Svezia, ma ora la Svezia è il nostro migliore amico. Allo stesso modo, il Nord Sudan dovrà essere il migliore amico del Sud Sudan”. Al di là del paragone surreale, tutti sanno che potrà esserci un futuro di pace e prosperità solo se Nord e Sud sapranno costruire una solida relazione di cooperazione e interdipendenza.
Il vicepresidente della Commissione, lui sud sudanese, snocciola le cifre regione per regione con evidente compiacimento: sono quasi tutte sopra il 99%, sia per quanto riguarda l’affluenza che per i voti favorevoli alla secessione. Quando annuncia il totale, che nelle regioni del Sud dà alla secessione una percentuale del 99,6%, la folla esplode in un fragoroso applauso, tutti si alzano in piedi, qualcuno urla, canta, balla. I ministri del Governo semiautonomo del Sud Sudan (GoSS) si abbracciano sul palco, mentre diplomatici da tutto il mondo si congratulano con loro.
I servizi di sicurezza invitano alla calma e riportano l’ordine: in base al protocollo, sono previsti una serie di interventi ufficiali. Il più atteso è quello del Presidente del GoSS, Salva Kiir Mayardit. Contrariamente alla consuetudine, annuncia che parlerà in arabo e non in inglese: “voglio rivolgermi al popolo di Juba”. Il dialetto arabo che qui chiamano “Juba arabic” è infatti una lingua franca in tutto il Sud, dove ogni etnia ha una sua lingua, mentre l’inglese è appannaggio solo di chi ha studiato. Salva Kiir si congratula con il suo popolo, ringrazia la comunità internazionale, ma avverte che questi sono solo i risultati provvisori, e che per celebrare l’indipendenza bisognerà aspettare il 9 luglio prossimo, data entro la quale Nord e Sud dovranno aver trovato un compromesso su tutte le questioni propedeutiche alla secessione vera e propria: la condivisione delle rendite petrolifere, i diritti di cittadinanza delle rispettive minoranze, la demarcazione del confine, il pagamento del debito estero e molto altro. Tutti però sono ormai convinti che Nord e Sud abbiano imparato a parlarsi – forse troppo tardi? – e che riusciranno a mettersi d’accordo su tutto.
La vera incognita riguarda il futuro di quello che si appresta ad essere il 54° Stato dell’Africa. Molti analisti guardano al Sud Sudan come al prossimo “Stato fallito” del continente. Ma per la gente questo è il tempo della speranza, non della disillusione. “Abbiamo davanti un compito enorme – ci dice un uomo di mezza età – costruire uno Stato dal nulla, o quasi. Ma sono convinto che ce la faremo, anche se ci vorrà molto tempo”. Il Presidente è ancora più lapidario: “Il 9 luglio – scandisce Salva Kiir – non sarà la fine del viaggio. Ci aspetta una strada molto lunga. E siete voi che dovete costruirla”.
(scrive dal Sudan per Famigliacristiana.it un esperto di poliltica
internazionale che, per ragioni di sicurezza, preferisce mantenere
l'anonimato)