24/02/2011
Una colonna di mercenari fotografata alla periferia di Tripoli.
«Nel 2009 l’Italia ha triangolato attraverso Malta al regime del colonnello Gheddafi oltre 79 milioni di euro di armi leggere ad uso militare della ditta Beretta. È anche con queste armi che l’esercito di Gheddafi sta sparando sulla popolazione».
L’atto d’accusa parte da un documento della Rete italiana per il disarmo e della Tavola della pace. «Chiediamo al governo Berlusconi di chiarire urgentemente la questione», aggiungono le due associazioni. «Si tratta di armi che, come ha confermato direttamente a Rete Disarmo un funzionario del ministero degli Esteri di Malta sono “di provenienza italiana, e non hanno mai toccato il suolo maltese”».
Una triangolazione? Lecita o illecita, secondo il nostro ordinamento? Rete disarmo e la Tavola della pace hanno verificato e documentato l’accusa: «Il ministero degli Esteri maltese», scrivono, «ha precisato che “come confermato dall’ambasciata italiana a Tripoli, il destinatario finale della consegna era il Governo libico” e, siccome nel 2009 non erano attive forme di sanzione verso il regime di Gheddafi, “le autorizzazioni alla transazione, comprese quelle doganali, sono state rilasciate senza problemi”».
Un arsenale fantasma
Ma se non c’erano sanzioni o divieti all’esportazione diretta verso Tripoli, perché passare per Malta? Il
problema è che dalle Relazioni della Presidenza del Consiglio italiano
sull’export di armamenti non risulta alcuna autorizzazione
all’esportazione di quelle armi né Malta né alla Libia. Come mai? «La notizia è certa», insiste Giorgio Beretta di Unimondo, analista della Rete Disarmo. «Il
Rapporto dell’Unione Europea sull’esportazione di armamenti, pubblicato
nel gennaio scorso, riporta per l’anno 2009 autorizzazioni e consegne
da Malta verso la Libia di 79.689.691 di euro».
Il documento delle associazioni indica anche di quale materiale bellico si tratta:
tra l’altro, «armi della categoria ML-1, cioè armi ad anima liscia di
calibro inferiore a 20 millimetri, e armi automatiche di calibro 12,7
millimetri, accessori e componenti appositamente progettati».
I dati dell'Istat, per il 2009, quell’anno parlano soltanto di
forniture per 390.584 euro di armi, munizioni e accessori per Malta, e
di soli 8.171.698 di euro per la Libia.
«I casi sono due», conclude Beretta, «o una ditta italiana ha
esportato queste armi senza l’autorizzazione del Governo italiano (e in
quel caso avrebbero dovuto essere bloccate alla dogana maltese) oppure
vi è stata un’autorizzazione da parte di qualche ufficio del Governo
italiano che non è stata mai notificata né al Parlamento italiano né
all’Unione Europea».
Le nostre armi contro la rivolta
Se confermata, questa ingente fornitura risulterebbe costituita da
migliaia di fucili e pistole, nonché da una grande quantità di munizioni
e granate. Ossia le armi utilizzate in questi giorni per reprimere la rivolta.
Secondo una fonte diplomatica dell’Unione europea il materiale
bellico proverrebbe dalla fabbrica d’armi “Pietro Beretta” di Gardone
Valtrompia, in provincia di Brescia. Interpellata dalle due associazioni, la ditta italiana «ha rifiutato qualsiasi commento».
«I fatti che oggi denunciamo sono di una gravità inaudita»,
dice Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace. «Se
ancora ieri chiedevamo al Governo e al Parlamento di fare chiarezza e
di bloccare la vendita di armi italiane alla Libia oggi non possiamo che
provare un grande senso di vergogna e di dolore. Il Governo deve
dare subito delle spiegazioni. Mi auguro che nessun telegiornale, in
particolare della Rai, il nostro servizio pubblico, si permetta di
censurare questa denuncia», conclude Lotti.
Luciano Scalettari