Essere stranieri in Italia

Abbiamo raccolto in esclusiva la testimonianza della scrittrice Claudileia Lemes Dias, brasiliana d'origine, italiana "per vocazione", esperta di diritti umani e... di diritto romano

Stranieri di buona volontà

30/05/2012

«Potrà sembrare paradossale ma il mio impegnato nel volontariato è stato più concreto in Italia che non in Brasile dove vedevo le ingiustizie che mi stavano intorno con gli occhi di una bambina prima e con quelli di una studentessa convinta che attraverso lo studio avrebbe potuto cambiare le cose poi. All'università ho cominciato a imparare la teoria e a capire i meccanismi. La povertà che ho visto alla Caritas era quella degli stranieri: quella degli italiani l'ho frequentata nei mercati come Porta Portese dove le bancarelle che vendono vestiti a 1 euro o 50 centesimi sono prese letteralmente d'assalto. Era il 2005: faceva ancora freddo e prendendo l'autobus per andare a Porta Portese ho visto intorno a me tante persone, alcune vestite anche in maniera elegante, con cappotti ben fatti. Non mi sembrava gente disperata o povera. Arrivando al mercato ho visto che quelle stesse persone andare alla bancarelle low cost e aprirsi in sorrisi senza denti». Sono stati mesi faticosi in attesa di una borsa di studio, Claudileia ha lavorato come cameriera, baby sitter, domestica, e distribuito volantini: lì ha conosciuto da vicino la povertà italiana e capito le differenze con quella brasiliana. «Il povero povero in Brasile vive nelle baracche di cartone che quando piove si disintegrano: in Italia è più assimilabile a quelli che voi chiamate "barboni". Chi qui vive in una palazzina, anche la più umile, gode comunque di servizi come acqua, luce, riscaldamento ecc che in Brasile sono un miraggio per milioni di persone. Per me era strano considerare povere quelle persone che si potevano garantire uno stile di vita che in Brasile era quello della classe media. La povertà del terzo mondo è diversa da quella del primo mondo».

Alberto Picci
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