Don Sciortino

di Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 
19
set

Educare in quattro passaggi

“Adesso sono grosso, lo vedo anch’io. E capisco che grosso non è chi vince gli altri, ma chi vince se stesso. Il grosso è la parte migliore di me che mi cammina davanti, mi guida, mi ispira. Ce l’ho fatta, anch’io vedo il grosso che è in me”

Con queste parole, il protagonista adolescente de “Il lottatore di sumo che non diventava grosso” (edizioni e/o) arriva a capire se stesso e a dare una svolta alla sua vita. La lettura dei racconti morali di Eric-Emmanuel Schmitt mi colpisce sempre per la freschezza e la semplicità con cui lo scrittore francese sa andare al cuore delle tematiche. La trama è esile, come la quotidianità della vita. Ma, alla fine della lettura, voltandosi indietro, si sente di avere letto parole che fanno pensare. Che si depositano nel profondo e spingono a guardare con occhi diversi se stessi e gli altri.

Nel racconto in questione, un quindicenne giapponese selvatico e arrabbiato vagabonda per le vie di Tokio, senza famiglia, vivendo di espedienti, finché non incontra (per caso?) un anziano maestro di sumo che si ostina a vedere in lui un ‘grosso’, a intuire una struttura forte, malgrado l’esilità fisica e psicologica del ragazzo. Il quale dapprima si ribella a questa apertura di speranza e di credito. Poi piano piano accetta l’offerta, riesce a fare piazza pulita dei propri pregiudizi e a indirizzare la sua volontà. E infine, a diventare ‘grosso’, e adulto, nel corpo e nello spirito.

Non è facile anche per noi vedere ‘grossi’ i nostri adolescenti, labili e incerti come sono. E spesso ci facciamo prendere dalla preoccupazione o dallo scoramento. Ci rassegniamo all’idea che comunque diventano grandi, ma non come li vorremmo. E, presi da questi stati d’animo, oscilliamo tra interventismo e abbandono, ma rinunciamo a fare quel che forse sarebbe meglio. Cioè quanto lo scrittore francese ci suggerisce col suo ‘racconto di formazione’: un incontro autentico e rispettoso tra due persone, dove l’adulto offre qualcosa con la caparbietà della speranza, ma poi sa attendere la risposta del ragazzo. Una disciplina accolta dall’adolescente e sostenuta dall’adulto con risposte di significato. Uno spazio e un tempo per ripensare alla propria esperienza passata e presente, e tracciare un quadro d’insieme. Una proposta di valore (attraverso la meditazione nel giardino zen) sperimentata e condivisa. Così Jun, il protagonista, arriva a pronunciare le parole riportate più sopra, e passa dal vagare senza méta di un’adolescenza confusa all’intraprendere con decisione la propria strada.  

Pubblicato il 19 settembre 2011 - Commenti (0)
29
ago

Giovani adulti

Storce il naso, Marco, quando gli dico che a 19 anni non può più definirsi adolescente, quando si vede alla sera con i suoi oramai ex compagni di scuola. Finita la maturità, nella lunga estate che precede l’università, Marco e i suoi amici si ritrovano nella città semideserta per le vacanze, a casa dell’uno o dell’altro… Uscire tutte le sere per divertirsi significa spendere, e i soldi non sono molti, specie se si è fatto (o si farà a settembre) un viaggio all’estero. Meglio stare nelle case libere dai genitori, più fresche delle strade urbane, a guardare film in streaming, chiacchierare, cantare e suonare la chitarra, giocare alla play. Faranno in tempo ad annoiarsi nel lungo mese di settembre che precede l’inizio delle lezioni.

Storce il naso e sorride, Marco, quando sottolineo che ‘adulto’ è il sostantivo, e ‘giovane’ solo un aggettivo. Ma poi riconosce che anche lui si accorge che c’è qualcosa che lo differenzia dagli adolescenti. Gli amici di minore età sono più rigidi, fanno questioni di principio, se la prendono di più. Lui e i suoi coetanei sono di clima più ‘temperato’. Guardano alle cose con un po’ più di distacco. Non sempre, ma… insomma…. Forse perché iniziano a ragionare più in prospettiva, meno legati all’immediato presente, che fa apparire ogni cosa come in una lente d’ingrandimento.

Non è facile, per noi adulti, entrare in contatto. Specialmente quando sono i nostri figli. Come genitori, oscilliamo continuamente tra la distanza di rispetto dovuta a una persona che è necessario considerare grande, e il desiderio di metterci in relazione con loro in modo più diretto e anche più esigente. Diventa un esercizio di equilibrio: occorre sorvegliare costantemente la tentazione di sostituirsi a loro (quanti genitori in questo periodo in coda alle segreterie universitarie al posto dei figli!). Evitare di volerli troppo simili a noi, con i nostri criteri, il nostro modo di fare, di organizzarsi, di affrontare gli impegni. Qualche volta ci dimentichiamo delle nostre superficialità, delle nostre facilonerie, dei nostri errori alla loro età. Tendiamo a considerare noi stessi da giovani un po’ migliori di come eravamo. A non ricordare come i nostri genitori spesso fossero più capaci di noi oggi di prendere le distanze dai figli e di lasciarci fare le nostre esperienze.

Parlo con i genitori di Marco di questo difficile esercizio. Propongo a figlio e genitori di stabilire insieme delle priorità e individuare dei momenti durante l’anno in cui fare il punto della situazione: i genitori di Marco sostengono che prima di tutto Marco organizzi il nuovo studio universitario, in modo da sostenere gli esami nei tempi stabiliti (e magari con profitto). Marco condivide e propone di fare una prima verifica a dicembre e poi dopo la prima sessione di esami. Marco si rende più disponibile a settembre, prima che inizino le lezioni, per dare una mano in casa. Genitori e figlio si trovano d’accordo. Io vi farò sapere….  

Pubblicato il 29 agosto 2011 - Commenti (4)
08
ago

Tempo di bilanci

Da poco più di una settimana ho interrotto il lavoro per le vacanze estive. E’ stato un periodo molto intenso, e ne ha fatto le spese anche questo blog, che ultimamente ho trascurato. E’ arrivato il momento per ripensare all’anno trascorso. Per mettere ordine tra le cose che mi hanno  insegnato gli adolescenti e i loro genitori. Per fare bilanci, propositi, progetti, approfittando dei tempi più dilatati e sereni delle vacanze. Per dedicarmi, come tutti, in modo più leggero e creativo al sempre difficile compito di pensare…

Se mi soffermo sulle persone incontrate in questo anno professionale da poco interrotto, mi tornano alla mente per prime le situazioni di alcuni ragazzi e ragazze che stanno vivendo i momenti di passaggio: la preadolescenza e la tarda adolescenza. Due fasi schiacciate dallo strapotere dell’adolescenza, che, da età cenerentola, poco studiata e poco praticata, oggi appare come un modello dominante di lettura dei comportamenti giovanili (e non solo): i bambini sono descritti come degli adolescenti in miniatura, con le stesse oppositività e spinte all’indipendenza; i giovani adulti vengono spesso considerati come degli adolescenti di lungo corso, in fondo ancora sedicenni… per non parlare dei tanti adulti i cui comportamenti vengono rubricati come ‘da eterni adolescenti’.

Desidero allora puntare l’attenzione su queste due fasce d’età: oggi sulla preadolescenza, nel prossimo post sui giovani adulti. Le ragazze e i ragazzi  della scuola media (che oggi si chiama ‘secondaria di I grado’) che ho incontrato mi sono apparsi centrati sull’accelerazione e la radicalità dei mutamenti corporei, cioè la pubertà fisica, con tutto quello che comporta sul piano del pensiero, dell’immagine di sé, dei rapporti con gli altri (la pubertà mentale). Un corpo con nuove potenzialità, che permette di fare cose prima impensate; fonte di attrazione per gli altri, che ne ammirano la forza, la prestanza, la bellezza. Un corpo che dà da fare, che suscita insieme imbarazzo e soddisfazione. Un corpo da ripensare. Per questo spesso i preadolescenti appaiono dominati dal disorientamento e dalla confusione. Disorganizzati nelle loro attività, inclini alla rassicurante ripetizioni dei giochi, disponibili a mantenere i legami infantili, qualche volta pigri e timorosi verso le novità; ma insieme pronti ad abbandonarsi alle spinte prepotenti del corpo, del movimento, dell’aver voglia di fare qualcosa di mai tentato, di mai provato… Andare a scuola da soli, aprirsi ad una vacanza nuova, senza mamma e papà, mettere da parte le passioni e gli interessi consolidati (dal calcio ai videogiochi, dai cartoni animati alle chat) per fare qualcosa di diverso sembra per alcuni un’impresa impossibile.

I genitori propositivi spesso conoscono bene le resistenze che devono affrontare per convincere alcuni dodici-tredicenni ad affrontare un’esperienza diversa dal solito, anche solo una pizza con gli amici dello sport o dell’oratorio. A un certo punto, e in modo improvviso, i primi adolescenti si aprono alle novità, spesso senza troppo pensarci, buttandosi, anche contro il parere (o i divieti) dei genitori. Così, le prime condivisioni con qualche amico o amica di pensieri nuovi e interessanti (che riguardano le coetanee o i coetanei carini, sessualmente attraenti, o le ‘trasgressioni’), la voglia di libertà e di movimento, che diventano anche fuga silenziosa dai luoghi più vicini a casa, quelli dove i genitori si sentono più sicuri, per esplorare un mondo più vasto e insicuro. E così, si alternano fasi di innovazione e di conservatorismo, apparentemente senza senso, segnali appunto della confusione dei preadolescenti.

Disorientamento e confusione nascono dal rimescolarsi di movimenti interni, consci ed inconsci, che provocano turbolenze proprio come avviene quando le acque di due mari si incontrano negli stretti e provocano forti correnti in superficie e in profondità. Da un lato, l’investimento sul mondo esterno, così stimolante, al di fuori dai legami familiari, che vengono percepiti come infantili, regressivi, quasi fonte di vergogna. Guai al genitore che si permette di baciare il figlio davanti a scuola, e soprattutto di fronte ai suoi compagni e compagne! Dall’altro lato, il timore di abbandonare le sicurezze affettive infantili, di dover rinunciare alla rassicurante protezione di mamma e papà, di farli soffrire se si sentono abbandonati (soprattutto quando in famiglia c’è un solo genitore di riferimento, che potrebbe soffrire la solitudine).

Ancora una volta, si tratta di oscillazioni e turbolenze non risolvibili con un taglio netto. Occorre aprire lo spazio al pensare insieme, attraverso la conversazione, il contenimento (anche di orari) e l’azione di indirizzo. Creare le condizioni perché si possa stare insieme a conversare, ad ascoltarsi senza pesantezze, trascorrendo tempo insieme, sfruttando la rilassatezza del tempo di vacanza. Anche interessandosi di più a ciò che interessa ai ragazzi, con pazienza (anche quando per un adulto ciò comporta un po’ di  noia). Per restare nelle metafore vacanziere, è bene che i genitori apprendano a stare a galla anche quando le acque sono un po’ agitate, senza farsi prendere dal panico. Che significa guardare alla maturazione dei ragazzi con una prospettiva di lungo periodo e non solo nella breve prospettiva. Godere lo spettacolo della crescita, provando a discernere quanto nel figlio c’è di una salutare infanzia, che non va perduta, e quanto dei futuri giovani uomini e donne. Permettendo così anche ai ragazzi di conoscersi un po’ di più e di sentirsi meno confusi e disorientati.  

Pubblicato il 08 agosto 2011 - Commenti (1)
27
giu

Maturi, ma in che senso?

Quasi mezzo milione di diciannovenni in questi giorni affrontano gli esami che concludono la scuola superiore. Prima le tre prove scritte, poi le interrogazioni orali. Ogni anno c’è chi si interroga sul senso di questo appuntamento : rito ormai vuoto? prova iniziatica? necessaria valutazione di conoscenze/competenze/abilità acquisite in anni di scuola?

Molti esperti concordano sul fatto che questi esami sono rimasti l’unica prova di iniziazione all’età adulta, un rito sociale che attesta la fine dell’adolescenza e il passaggio alla condizione di giovani adulti. Ci si può chiedere di che genere sia la maturità che la società, tramite la scuola può attestare.

Far coincidere l’essere persone mature con la verifica dei livelli di conoscenza o con alcune capacità di riflessione scolastica è certamente riduttivo. In questo senso, la prova che maggiormente potrebbe attestare la presenza di un giudizio maturo è la prima prova scritta, quella d’italiano. Ma essere maturo non implica solo sapere riflettere, ma anche saper scegliere e operare di conseguenza. In questo senso, meglio sarebbe considerare come segno di maturità il modo in cui i ragazzi si preparano all’esame: la tenuta, la capacità di sopportare la fatica dello studio, di tollerare le frustrazioni connesse ad un cospicuo impegno mentale, senza cercare scorciatoie…

Anche così però si vede la limitatezza del giudizio: non si può infatti lasciare alla sola scuola un compito così importante. Occorre che la famiglia faccia la sua parte. Come per la scelta orientativa a 13-14 anni, questa è una buona occasione per i genitori per fare il punto della situazione. Nell’avvio dell’adolescenza, si erano posti la domanda: «Chi è questo nostro figlio che sta cambiando?». Ora possono interrogarsi sulle capacità di scelta del proprio ragazzo o della propria ragazza.

Penso allora che l’esame di maturità possa essere una buona opportunità per valutare gli elementi di maturità dei ragazzi insieme a loro, soprattutto in questa epoca in cui la possibilità dei giovani di realizzare delle scelte appare così difficile. Non si può non riconoscere ai ragazzi stessi che l’accesso al lavoro, l’entrata nella vita attiva, con le conseguenti autonomie (prima fra tutte quella economica), è così drammaticamente incerto.

Tuttavia, i genitori possono utilizzare l’occasione dell’esame per riflettere sui figli in quanto soggetti in grado di guidare la propria vita. Di ottenere una patente che prevede una certa consapevolezza di sé, con le risorse ma anche con i limiti personali. Le proprie capacità di autocontrollo emotivo. L’impegno a migliorare le carenze di carattere. La capacità di argomentare sulle proprie scelte, valutandone i pro e i contro, che si esprime ad esempio nella decisione su che cosa fare dal prossimo settembre. Una capacità progettuale riguardo alla propria vita, che spinga lo sguardo oltre l’immediato futuro e incominci a darsi degli obiettivi da realizzare. L’autonomia, anche concreta, dalla famiglia: sapersi gestire in situazioni nuove, da soli, senza perdersi d’animo o appoggiarsi ad altri. Considerando così l’esame scolastico come il primo di una serie di ben altri esami che la vita proporrà. 

Pubblicato il 27 giugno 2011 - Commenti (1)
01
giu

Rischio bocciature

In queste settimane si va definendo il destino scolastico di molti adolescenti. Una bocciatura non è una tragedia, ma è pur sempre uno schiaffo importante. Ed è un fenomeno da interpretare, con significati diversi da ragazzo a ragazzo.

Soprattutto in prima superiore, alcuni ragazzi pagano un chiaro errore di orientamento, che si è manifestato via via nel corso dell’anno e che porta, in questi giorni, a una nuova scelta scolastica, più consapevole di quella fatta in terza media.

Qualcun altro invece manifesta nella bocciatura una immaturità di fondo, che si esprime nella difficoltà a tollerare le frustrazioni del lavoro scolastico, dell’impegno sufficientemente continuativo. Per questi ragazzi il risultato è frutto più delle proprie capacità naturali, espresse in modo immediato, che non di uno sforzo, magari prolungato. Se l’esercizio non viene al primo colpo, si chiederà domani al prof o al compagno: non si prova e riprova fino a quando non si ottiene il risultato giusto. Se la verifica va male, pazienza: andrà meglio la prossima. Non si tenta un salvataggio, magari attraverso un’interrogazione volontaria.

Dietro a questi atteggiamenti rinunciatari si può nascondere una situazione depressiva, che deriva non da un conflitto interiore, ma dalla preoccupazione di non farcela di fronte alle elevate richieste avanzate dal mondo esterno, dagli adulti come dai coetanei. Un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide quotidiane del diventare grandi, vissute in termini di prestazioni, quindi di successi o insuccessi personali. La scuola si presta bene a far emergere queste difficoltà: essa richiede ai ragazzi di esprimere i propri atteggiamenti più adulti, come l’affidabilità, la continuità dell’impegno, il senso dello sforzo e del sacrificio. E ne considera i risultati come prestazioni, con un corrispettivo quantitativo che è il voto.
Mi sembra siano soprattutto gli adolescenti maschi ad essere in difficoltà su questo versante, perché più pressati a corrispondere a modelli sociali di forza e sicurezza.

Altri ragazzi ancora ‘scelgono’ la bocciatura come forma di protesta visibile e allarmante di fronte ad un atteggiamento eccessivamente preoccupato dei genitori riguardo ai risultati scolastici. In qualche adolescente si sviluppa l’idea che i genitori siano interessati a lui o a lei solo in quanto studente, mentre per il resto della vita (e della crescita) c’è scarsa attenzione. Far fuori simbolicamente lo studente che c’è in loro serve a questi ragazzi per punire, in modo più o meno conscio, i genitori della loro disattenzione. Un modo sicuramente autolesionista. In cui si paga pegno per una comunicazione familiare troppo centrata sulle cose da fare, sulle attività, e poco sull’essere, cioè sulle relazioni e sulle loro risonanze interne nell’adolescente.

Ci sono poi ragazzi che sono talmente centrati su un progetto personale di realizzazione di sé, nelle amicizie, negli amori, nello sport o nella musica, da pensare di bastare a se stessi senza scendere a patti con le richieste provenienti dalla realtà. Presi dal desiderio di affermarsi negli ambiti dove riescono meglio, inebriati dai propri successi, finiscono per perdere il contatto con il mondo esterno, con le sue scadenze. La scuola diventa un peso da cui liberarsi, al più un’occasione di contatti sociali, ma non un’opportunità di crescita personale attraverso la conoscenza. Le sue richieste perdono senso. Ci si sottrae e si sparisce dal suo orizzonte.

Pubblicato il 01 giugno 2011 - Commenti (1)
16
mag

Vergogna

Gianluca, oggi in I superiore, mi racconta della sua bella esperienza di scuola media, specie nell’ultimo anno, in cui aveva tanti amici in classe (al contrario dell’attuale classe…). Eppure… anche in quella situazione così favorevole, egli temeva il giudizio dei compagni. Si curava molto nell’abbigliamento, si pettinava più volte prima di uscire, in modo che tutto fosse in ordine.

Ancora una volta trovo conferma al fatto che, tra le emozioni della prima fase dell’adolescenza, la vergogna occupi un posto speciale. Essa nasce in genere dal timore di un confronto troppo diretto ed impietoso tra una immagine di sé ancora poco definita e ciò che si vorrebbe essere. Si teme lo sguardo altrui, che giudica e valuta. Perfino dagli amici più stretti si ha paura di essere abbandonati, traditi, perché non si corrisponde ad un modello ideale.

Spesso questi timori riguardano l’aspetto fisico. Il corpo è sollecitato dallo sviluppo puberale, che oggi sembra essere spesso più precoce di un tempo, sia sul piano fisico che su quello psicologico, a causa di pressioni di varia natura.

Diversi studi confermano che l’alimentazione, l’uso aumentato di farmaci e cosmetici porta ad un anticipo della pubertà, specie femminile. Così come, sul piano psicologico, le spinte pubblicitarie per acquisire nuovi consumatori e la tendenza di molti genitori a spingere i figli alla competizione nelle prestazioni tendono a trasformare già i bambini e i fanciulli in uomini e donne in miniatura. Molti modelli televisivi, ma anche spesso la realtà, propongono bambini e preadolescenti già adultizzati, alla pari dei grandi che li circondano, e che non di rado li coinvolgono nelle loro vicende come fossero persone di pari livello.

Per molti adolescenti la vergogna nasce da un corpo non corrispondente ai canoni dell’attrattiva fisica corrente. Ragazzi e ragazze sovrappeso, ad esempio, oppure che non si ritengono abbastanza alti, possono soffrire la loro situazione, e a poco servono alcune rassicurazioni, come quella che lo sviluppo si completa solo al termine dell’adolescenza. In realtà, queste preoccupazioni riflettono sul corpo le fragilità psicologiche di ragazzi che spesso temono il processo di separazione dalle relazioni principali dell’infanzia, quelle con i genitori. A volte perché qualcosa è mancato, soprattutto nel rispecchiamento con il genitore dello stesso sesso. A volte invece perché è difficile rinunciare, al genitore come al figlio, ad una relazione avvolgente che non consente all’adolescente di diventare grande.

Occorre cogliere con sensibilità, senza enfatizzare ma neppure minimizzare, le possibili ‘vergogne’ dei nostri figli. Rassicurarli non solo con le nostre parole e la nostra stima, ma soprattutto proponendo loro di affrontare esperienze che possano far sperimentare le loro risorse migliori, che li confermino di essere in grado di vincere le resistenze alle separazioni e alla novità. Aiutandoli a capire che c’è una vergogna che schiaccia e fa sentire inadeguati, che si può affrontare e superare nel tempo, man mano che si consolida l’immagine di sé. E c’è anche una vergogna più ‘sana’, che si chiama pudore, che non riguarda solo la nudità, ma anche la manifestazione dei sentimenti, l’esposizione di sé, e che è una risorsa. Aiuta a proteggere il proprio nucleo più profondo e a coglierne la preziosa bellezza. A rafforzare il senso dell’intimità e a rifuggire l’inutile esibizione. 

Pubblicato il 16 maggio 2011 - Commenti (1)
22
apr

Uno speciale augurio di Pasqua

Domenica scorsa ho ricevuto uno speciale augurio di Pasqua. E’ un libretto di riflessioni e poesie di una ragazza poco più che adolescente. Si chiama Giulia e ha 20 anni. E’ alla sua seconda pubblicazione. Per questi brevi scritti Giulia riserva i suoi pensieri nascosti, che non dice neppure alle persone più vicine. Sono frammenti, illuminazioni, che si fondono e prendono respiro. Sono pensieri raccolti da un’amica, Franca, che dà loro una voce compiuta. Le immagini che li accompagnano, dipinte da Luigi, sono stati spesso lo stimolo alle sue poesie.

Giulia è una ragazza con la sindrome di Down. Ha molti problemi di salute che la travagliano giorno dopo giorno. E’ spesso silenziosa, ma dal suo mistero germinano pensieri come questi:


“Dove abiti, Signore? Forse in ogni posto, ma di sicuro nel cuore di ogni persona”

“Nel mio cuore tanto amore, e il tuo sorriso, Signore, che è dolce”

“A casa mia, come  a Emmaus”



Intuizioni immediate. Da conservare. Da ripetere e ripensare nel tumulto delle giornate.

Leggendo queste pagine, penso al modo come Giulia ha vissuto la novità della sua adolescenza e vive ora la sua giovinezza. Penso in primo luogo al suo ‘mistero’, che non è qualcosa di arcano e inconoscibile, ma la consapevolezza che non tutto si può dire con le parole, che c’è sempre qualcosa in più nella vita che è inesprimibile. Molte volte il suo sguardo si fa assorto, come a dire che c’è molto altro, aldilà di ciò che si vede. Che solo se ci si allontana dalle cose si può guardarle più a fondo. Come Giulia fa con i suoi occhi, presenti eppure lontani.

Le pagine di questo libretto sono il frutto di un dialogo silenzioso, nascosto, con Dio, nella sofferenza e nella tenerezza di ogni giorno. Due esperienze, queste, che nella vita di Giulia si confondono l’una nell’altra. Come la morte e la resurrezione.

Buona Pasqua!

Pubblicato il 22 aprile 2011 - Commenti (0)
15
apr

Adolescenti in viaggio su internet

Sentendo molti ragazzi e ragazze che mi raccontano le loro esperienze di internet, mi accorgo che, se è vero che ci sono ragazzi irretiti e a volte dipendenti (dai videogiochi on line, dai social network), è pur vero che la maggioranza ne fa un uso abbastanza moderato e ‘saggio’.

Non preferiscono internet alla concreta frequentazione di amici ed amiche, né soppiantano le attività sportive e sociali con il mondo virtuale. Hanno acquisito le regole di comportamento più elementari, non si legano a sconosciuti né pubblicano dati personali… Certo, non sono molto interessati a salvaguardare la propria immagine e diffondono ovunque foto di sé e degli amici, ma (mi sembra) senza eccedere in atteggiamenti bizzarri o sconvenienti.

Non mancano le situazioni di coloro che utilizzano internet per nascondere dietro allo schermo o esprimere apertamente i propri disagi e le proprie difficoltà relazionali; così come sono noti i modi per denigrare e umiliare ferocemente attraverso internet avversari e nemici. Il cyber bullismo, cioè la pratica di offendere violentemente o diffamare coetanei via internet, mi sembra un fenomeno soprattutto di marca femminile.

Noi adulti siamo chiamati a confrontarci con questo mondo, anche quando ne siamo digiuni o ci muoviamo poco a nostro agio nei meandri del web. Non possiamo assumere solamente comportamenti di controllo o peggio di proibizione. Capirne meglio le opportunità e i rischi diventa parte della sfida educativa. Anzi, può essere l’occasione per aprire il dialogo con i ragazzi, magari chiedendo loro di insegnarci a camminare in  questo mondo, soprattutto se è ignoto per noi. Ne può nascere uno scambio più libero e meno rigido delle solite ‘comunicazioni educative’ che impartiamo ai figli.

E poi, dobbiamo farci aiutare da chi studia l’utilizzo delle nuove tecnologie in chiave educativa (e non solo didattica). Ai blog su questi temi già presenti su questa testata on line, e che trovate accanto al mio, voglio aggiungere un’ulteriore indicazione. Un giovane preside di una scuola secondaria di Monza, Danilo Piazza, e un regista esperto di nuove tecnologie, Roberto Alfieri, hanno creato un vivace sito per genitori, ragazzi e insegnanti: www.bitsicuri.net. Qui sotto potete vederne il video di presentazione.

Pubblicato il 15 aprile 2011 - Commenti (1)
29
mar

"Sbattimento maturità"

Con queste parole Giulia e Lorenzo introducono il tema della preparazione all’esame di Stato conclusivo della scuola superiore. Come molti loro coetanei sono agitati dalla prova finale. Dal desiderio di uscire da una scuola dove hanno trascorso  cinque anni e che incomincia a star stretta. Dal pensiero di come si troveranno all’università. Gli amici di poco maggiori ne parlano come di un posto dove si incontrano tante facce nuove, e dove è bello poter studiare solo ciò che interessa. Ma anche come di un’esperienza di esami difficili, di appelli che si rincorrono e di grandi studiate.

Certo, l’esame a punteggi (un tanto per i crediti degli anni precedenti, un tanto per gli scritti, un tanto per l’orale) fa compiere un esame di realtà stringente. La terza prova, con i suoi elementi di imprevedibilità, spinge a ridurre gli imprevisti con un lavoro scolastico di più ampio respiro. Qualcuno ne approfitta per affrontare lo studio con un impegno fino ad ora sconosciuto. Qualcun altro si preoccupa in modo diverso, e studia meno di quanto già non facesse, affrontando la sfida finale in modo fatalistico e confidando nella fortuna più che nelle proprie capacità. L’idea di dover dimostrare di avere spina dorsale, e magari scoprire di non averne abbastanza, forse lo spaventa troppo.

L’importante è che i genitori non facciano, con le proprie ansie, da cassa di risonanza delle preoccupazioni (consce o meno) dei candidati alla maturità. Si può stare vicino senza essere pressanti. Si può capire che un figlio poco impegnato sta combattendo una battaglia di retroguardia per restare nel paese dei balocchi e resistere all’inevitabile passaggio ad un’età più adulta, e rassicurarlo.

Dopo, le cose cambiano, per i ventenni giovani adulti. E’ sempre bene sottolineare che ‘adulti’ è il sostantivo e ‘giovani’ è l’aggettivo, non il contrario… Dopo, le sicurezze maturate dovranno emergere. Le eventuali fragilità di alcuni si faranno più scoperte e richiederanno interventi decisi ma rispettosi. Ai genitori spetterà ancora una volta il compito di tenere la barra del timone, mettere dei paletti in modo che le scelte fatte (università o lavoro) siano rispettate nei tempi giusti e senza dispersioni.  

Pubblicato il 29 marzo 2011 - Commenti (1)
21
mar

Un mese di ripresa scolastica

Per molti il mese di marzo è il periodo della ripresa scolastica. Lo studio diviene più intenso. Si accettano gli aiuti esterni che si erano finora rifiutati. Sembra essere giunta l’ultima possibilità, di salvare l’anno o di evitare recuperi estivi. Anche chi non ha studiato molto fino ad ora, si mette sotto. I genitori, vedendo questo maggiore impegno, si acquietano un po’. Sono stanchi di continuare a richiamare ai doveri. Di discutere sul tempo dedicato ai videogiochi e alle chat. Di negoziare sugli orari di uscita e di rientro.

D’altra parte, credo che studiare oggi sia un impegno più difficoltoso che nel passato. E’ più difficile per i numerosi fattori di distrazione. Ho un’età abbastanza matura per ricordare quando al pomeriggio la Rai trasmetteva su un solo canale, in bianco e nero, per un’oretta la TV dei ragazzi e poi il cinescopio riempiva, immobile e silenzioso, lo schermo fino al telegiornale della sera.

Ma non solo: c’è un rumore di fondo, interno ed esterno, fatto di suoni, immagini, comunicazioni, ma anche di pensieri, desideri, emozioni, che i ragazzi faticano a contenere. Qualcuno, a 12 come a 16 anni, non riesce a mantenere a lungo la concentrazione. Il corpo, che dev’essere messo in disparte nell’attività mentale dello studio, si fa vivo con una quantità di stimoli (fame, sete, bisogno di andare in bagno, di muoversi…), come se non tollerasse di essere momentaneamente non ascoltato.

Oggi c’è maggiore attenzione, ma anche maggiore pressione, da parte dei genitori, preoccupatissimi che il futuro dei figli si decida esclusivamente sulla base dell’andamento scolastico dei figli. Un tempo i genitori non conoscevano a memoria il diario del figlio, il succedersi delle lezioni nel corso della giornata, come accade oggi. Non studiavano sistematicamente accanto al pargolo, come capita a molte madri (e padri) di scuola media e non solo. Col risultato che il figlio aspetta che la mamma torni dal lavoro per mettersi a studiare e fare i compiti. Le mamme e i papà di un tempo, più lontani ma anche più fiduciosi verso il futuro dei figli, intervenivano solo in caso di brutti voti o di pagelle negative, non prima.

I genitori, in prima battuta, possono fare due cose: la prima è stare attenti a non parlare troppo di scuola con i figli. Qualche ragazzo si lamenta che le comunicazioni in casa riguardano solo la scuola. A tavola si parla solo di come è andata la giornata in classe, dal punto di vista delle interrogazioni e dei voti, al massimo per chiedere se si è comportato bene. Sfugge ai genitori la ricchezza delle relazioni, delle esperienze di vita, degli scambi tra coetanei e con gli adulti che tanta parte hanno nel successo (o insuccesso scolastico). Prima viene il figlio, con la sua vita, poi lo studente!

La seconda cosa riguarda l’aiuto nell’organizzazione del tempo pomeridiano, in cui spesso i ragazzi sono soli a casa. Riconoscere che ci sono bisogni di movimento, di svago, di riposo che vanno conteggiati nei tempi del pomeriggio. Che nel conteggio, vanno considerati con equilibrio il tempo di studio e quello di riposo. Le ore impegnate nelle attività sportive, negli impegni fissi, ma anche il tempo da trascorrere in chat.

E’ utile per questo che il ragazzo predisponga uno schema giornaliero diviso in mezz’ore, su cui indicare, con colori diversi, che cosa si progetta di fare. Segnando quando si farà merenda (per evitare di passare il pomeriggio mangiando). A che ora si uscirà per gli allenamenti. Se si inizierà con i compiti di una materia o di un’altra, in base all’interesse o all’impegno richiesto, facendo un preventivo di quanto tempo ciò occuperà. Valutando infine se si sono rispettati o no i tempi, e perché. Ne sortirà anche un’utile riflessione sul tempo pomeridiano, che per molti adolescenti sembra una grandezza quasi infinita, da riempire o da lasciar scorrere, e non una risorsa limitata da utilizzare bene. 

Pubblicato il 21 marzo 2011 - Commenti (1)
09
mar

Occhio per occhio?

Vorrei che non ci fosse l’età fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù la passasse tutta a dormire; perché non c’è niente in mezzo se non metter e incinte le ragazze, far soprusi agli anziani, rubare e picchiarsi.
(W. SHAKESPEARE, Il racconto d’inverno, atto III, scena 3a)

Dopo il consueto aggiornamento su voti e note, Dario (17 anni) mi dice di conoscere sia il ragazzo che ha subito il pestaggio che il gruppo degli aggressori. E’ gente del quartiere, ma appena escono lui e i suoi amici gliela devono far pagare… Sono bastardi che hanno approfittato del numero per picchiare ingiustamente uno che non c’entrava niente. Ed era pure più piccolo.

Mi colpisce la carica da giustiziere, e la difficoltà di uscire dalla logica del far pagare la violenza con altra violenza. Certo, e lo dice con qualche sollievo, da un po’ si vede una maggiore presenza delle forze dell’ordine, che hanno già fermato spacciatori e piccoli boss della zona, e ne hanno messo dentro qualcuno. Lui sa starci con queste persone. Lì ci è nato e sa come muoversi. Non ha paura; ha messo in fuga tre ceffi che volevano rapinarlo, e solo quando l’ha detto a suo padre ha capito che la sua reazione difensiva poteva essere rischiosa, e magari provocargli una coltellata.

Come avviene per la sessualità, anche per la loro carica aggressiva gli adolescenti devono imparare ad esprimerla in forma controllata, spesso attraverso attività come lo sport o la musica. Tuttavia ci sono situazioni in cui, per condizionamenti ambientali (la famiglia, il gruppo di riferimento), i maschi adolescenti non ce la fanno (o non vogliono?) contenere la loro aggressività.

E’ una sfida ardua per le famiglie e per gli educatori. Perché è una carica che non si può ammansire facilmente. Bisogna provare ad ascoltarla, a riconoscere che cosa c’è in profondità. A proporre modi diversi e interessanti di vivere la virilità. A sfidarli a dimostrare che hanno la colonna vertebrale dritta se imparano ad affrontare il cammino per diventare adulti. Che non è la paura (che hanno o che fanno a qualcuno) che può  impedire di incontrarsi e di parlarsi. Che non è possibile crescere e affermare se stessi se non si impara ad utilizzare bene l’aggressività, per affrontare le sfide, per difendere un proprio spazio personale dalle intrusioni degli adulti o dei coetanei, per tollerare e gestire la conflittualità presente in tutti i rapporti umani.

Tutto questo si impone a maggior ragione quando l’aggressività dell’adolescente esplode in casa e incrina gli equilibri familiari. Qualcuno ne ha esperienza?

Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)
09
feb

Nostalgia d'infanzia

Marta inizia a piangere, mentre mi racconta le sue contraddizioni di quindicenne. I suoi genitori le dicono che è cambiata, quasi fosse un’accusa, ma lei sostiene di essere sempre la stessa dell’anno scorso. Continua a dire che non parla più con loro, ma le parole della mamma e del papà fanno capolino ad ogni angolo della nostra conversazione. E’ presissima da un ragazzo, ma in certi momenti non lo vorrebbe vedere più…

Le dico che a me sembra contenta di diventare grande e di pensare alla sua vita con la propria testa, ma che ha anche molta confusione. E forse, qualche volta ha un po’ di nostalgia per quando era più piccola.

Marta alza lo sguardo e con convinzione mi dice che sì, che era proprio meglio da bambina, alle elementari. Lì ogni cosa era più chiara, i litigi duravano cinque minuti e poi passava tutto. Era più ingenua, ma si sentiva anche più genuina.

Malgrado gli atteggiamenti da piccoli adulti, i modi decisi, la rigidità di certe prese di posizione, si percepisce negli adolescenti un po’ di rimpianto per l’infanzia, per un’età più facile da vivere, dove c’erano meno responsabilità, meno sfide da affrontare, meno giudizi da subire.

Non è facile far vedere loro che abbiamo capito questa nostalgia, perché possono risentirsi. Ma dobbiamo anche stare al loro gioco, e talvolta coccolarli ancora un po’. Come possiamo aiutarli a capire che l’infanzia non va perduta, ma se ne può ancora  conservare un pezzetto da qualche parte?

Pubblicato il 09 febbraio 2011 - Commenti (3)
02
feb

Castigare serve?

31 gennaio : si festeggia s. Giovanni Bosco, il santo educatore fondatore dei Salesiani. Sono particolarmente legato a questa ricorrenza. Mi rimanda ai ricordi di 15 anni di insegnamento nelle scuole professionali e tecniche salesiane. Questa giornata era particolarmente attesa e viva: la sospensione delle lezioni, la messa corale, i tornei, la grande estrazione della lotteria… Momenti di intensa carica emotiva e tempi di relazione più distesi e sereni con i ragazzi e con i colleghi.

Tra le intuizioni educative di d. Bosco, mi sono sempre piaciute quelle relative ai castighi. Don Bosco era particolarmente refrattario ai castighi, che riteneva da utilizzarsi solo in casi estremi, nei tempi e nei modi adeguati; senza emotività, ma con moderazione, e lasciando sempre aperta la possibilità del perdono.

Spesso con i genitori riflettiamo sull’opportunità dei castighi. A me sembra che funzionino poco, anzi spesso siano controproducenti. Suscitano in molti adolescenti reazioni rabbiose e di sfida. Un braccio di ferro alla fine senza vincitori. Piuttosto è meglio pensare a proibizioni o incombenze che nascano come naturale conseguenza delle azioni dei ragazzi, e che magari ci consentano di trascorrere del tempo insieme. Un figlio si mostra poco affidabile a scuola o con gli amici? Piuttosto che minacciare castighi, credo sia meglio mostrargli che, per ora, non ci si può fidare di lui. Che per il momento non gli si può permettere di fare ciò che fa ordinariamente, come uscire, perché non si è sicuri di lui… Fino a che non riesce a recuperare la nostra fiducia.

Un figlio risulta poco ordinato nelle proprie cose? Deve sperimentarne gli effetti, ad esempio, non trovando in ordine l’abbigliamento o i materiali per lo sport. Oppure gli si può chiedere aiuto durante i lavori settimanali di pulizie e riordino della casa, o nella spesa settimanale, per allenarlo ad una visione più ampia delle incombenze familiari. Per mostrargli concretamente che cosa significa avere uno sguardo d’insieme sulla vita comune familiare.

Occorre pensare ad un repertorio di ‘conseguenze’ utilizzabili nella pratica quotidiana. Qualcuno vuole aggiungere qualche suggerimento efficace, già sperimentato?

Mi è stato comunicato il numero di accessi a questo blog. Ringrazio davvero le tantissime persone che si accostano al blog con attenzione e curiosità, qualcuno probabilmente seguendolo in modo più continuativo, altri occasionalmente. Il grande numero di contatti mi fa sentire un po’ meno solo nel mio lavoro quotidiano con gli adolescenti.  

Pubblicato il 02 febbraio 2011 - Commenti (2)
17
gen

La madre tigre cinese

Ha suscitato scalpore e dibattito un articolo pubblicato sul Corriere della sera di qualche giorno fa, che riprende un estratto di un libro di Amy Chua, professoressa a Yale, apparso sul Wall Street Journal  l’8 gennaio. In esso l’autrice cinese sostiene, con esempi tratti dalla concreta educazione delle sue due figlie, il metodo educativo della madre tigre cinese, severo oltre misura, contrapposto alle mollezze del metodo dei genitori occidentali (compreso il marito della signora, anche lui docente universitario, americano).

Amy Chua esordisce affermando che ci sono alcune cose che le sue due figlie (che sembrano essere adolescenti) sanno che non sono loro permesse: dormire fuori casa, partecipare a una recita scolastica, guardare la TV o giocare ai videogiochi, scegliere da sole le attività extracurriculari, prendere un voto inferiore al massimo, non essere lo studente numero 1 in tutte le  materie tranne ginnastica e recitazione.

L’autrice sostiene che il suo modello educativo, di matrice orientale, si basa su  tre principi fondamentali: innanzi tutto, mentre la preoccupazione dei genitori occidentali per l’autostima dei figli li porta ad assumere atteggiamenti comprensivi e supportivi, il genitore orientale infonde fiducia nei propri figli imponendo loro senza remissione il raggiungimento del massimo dei risultati. Per fare questo occorre una disciplina rigidissima, fatta di ore e ore di esercizi senza pietà, di punizioni, minacce e insulti.

In secondo luogo, i genitori cinesi ritengono che i figli siano in debito con loro e che debbano utilizzare le loro risorse per ripagare i genitori obbedendo loro e facendoli sentire orgogliosi dei successi dei propri figli.

Infine, i genitori orientali sono convinti di sapere ciò che è meglio per i loro figli e pertanto non devono tenere in considerazione i loro desideri e le loro preferenze. Per questo, non è pensabile che un figlio possa andare a dormire in casa di un compagno, né che una figlia cinese abbia il ragazzo alla scuola superiore,  secondo gli esempi della stessa autrice, che prosegue dicendo «Dio protegga il figlio che osasse dire alla madre cinese che dovrà provare una parte nella recita scolastica tutti i pomeriggi dalle 3 alle 7 e dovrà stare via anche nel fine settimana!».

Così, mentre i genitori occidentali puntano al rispetto dell’individualità dei figli, incoraggiandoli a sviluppare le loro passioni, sostenendo le loro scelte e offrendo loro rinforzi positivi, il modello cinese afferma che il modo migliore per proteggere i figli sia quello di prepararli al futuro, dimostrando loro che sono capaci e armandoli di competenze, abitudine al lavoro e di una fiducia in se stessi che nessuno può loro togliere.

Queste posizioni hanno generato un dibattito, che i lettori possono ricostruire su Internet, e che oltre oceano serve da lancio per il libro di prossima pubblicazione dell’autrice, dal titolo evocativo L’inno di battaglia della madre tigre.

Al di là delle generalizzazioni etniche, sembra che l’alternativa si ponga tra un modello dirigistico e fondato sul massimo delle prestazioni e un altro fondato sulla disponibilità affettiva svincolata da ogni forma di richiesta da parte del genitore verso il figlio.

Le posizioni estreme della docente di Yale sono molto lontane dai modelli educativi correnti, ed hanno suscitato reazioni di vario tipo, per lo più contrarie.

A me sorgono due riflessioni: la prima riguarda la centralità dello standard di prestazione. Spesso anche da noi i genitori sottolineano l’eccellenza come criterio di valutazione della bontà educativa di una proposta o di una istituzione. In questo si riflette la preoccupazione di fornire ai figli gli strumenti per affrontare la competitività dominante nel mondo, e la paura che i ragazzi siano schiacciati da essa, soprattutto nell’accesso al lavoro. Per alcuni la capacità di fornire ottime prestazioni sembra essere la dimensione unica dello sviluppo di un ragazzo, senza tenere in considerazione invece la centralità della persona che cresce, in tutti i suoi aspetti, compresi quelli prestazionali, ma anche quelli affettivi ed emotivi, la creatività, la relazionalità. E soprattutto i riferimenti di valore etico che i ragazzi vanno aiutati a sviluppare, e che consentono loro di avere una bussola nelle scelte e nei comportamenti.

In secondo luogo, se proviamo ad accogliere la provocazione del modello proposto, non possiamo fare a meno di chiederci se davvero a volte ingeneriamo nei figli l’idea che tutto (o quasi) sia loro dovuto o che qualcosa possiamo anche chiedere loro, serenamente e in modo non episodico, nei loro compiti quotidiani. Così i doveri cessano di essere solo qualcosa da adempiere più rapidamente possibile, e spesso alla bell’e meglio, e diventano una possibilità di sviluppo di quell’autostima che, in adolescenza, non nasce più tanto dal riconoscimento dei genitori, ma dal sentirsi in grado di affrontare da soli le sfide di ogni giorno.    

Pubblicato il 17 gennaio 2011 - Commenti (2)
10
gen

Anno nuovo...

Oggi riprendono le attività ordinarie dei ragazzi: la scuola, lo sport, gli altri appuntamenti fissi… Riprendono con l’auspicio che alla vacanza e al riposo segua ora un periodo di rinnovato impegno. La scuola, in modo particolare, è al centro dell’attenzione dei genitori, e talvolta anche dei ragazzi.

Il ritorno al contatto con la realtà, dopo la sospensione delle feste, ci permette di capire se il Natale, con i suoi auguri, i doni, il tempo dedicato a se stessi, è qualcosa di duraturo o si perde nell’effimero. Gli auguri che ci siamo scambiati, le belle frasi dette e scritte, i buoni sentimenti resistono ancora oggi, che si torna all’"ordinaria amministrazione"? Quali parole riescono a riecheggiare ancora dentro di noi? Il periodo di vacanza è stato occasione di qualche esperienza nuova. Per i ragazzi, magari, di una vacanza con i coetanei o di una notte (come quella dell’ultimo giorno dell’anno) per la prima volta trascorsa fuori casa con gli amici. Le ‘prime volte’ preoccupano sempre i genitori. Magari saranno occorse alcune riflessioni prima di accordare il permesso. Forse mamma e papà si saranno trovati su posizioni diverse, e sarà stato utile esplicitarle e fare la fatica di trovare un accordo tra genitori. E poi, il ragazzo o la ragazza saranno tornati a casa, il primo giorno dell’anno, e i genitori avranno cercato di capire com’è andata, che cosa i ragazzi hanno fatto in casa da soli per tutta la notte. Li avranno scrutati per cogliere gli eventuali segni dell’alcool o del fumo…

Anche questa ‘prima volta’ sarà stata archiviata. E adesso? Le esperienze sono tali se vengono pensate e non solo vissute. Se se ne parla a casa, con i genitori e con i fratelli, non tanto per dare giudizi, ma per evidenziare quanto in esse si è potuto sperimentare dell’essere più adulto. Quanta autonomia (di giudizio, di movimento), quanto senso di responsabilità i ragazzi, lasciati a se stessi, hanno potuto esprimere.

I genitori, più che parlare, possono ascoltare. Dai racconti del figlio o della figlia, possono capire qualcosa di più sulla capacità di gestire il tempo, le relazioni, i conflitti. Se sono ragazzi che sanno mantenere una propria autonomia di giudizio anche rispetto ai coetanei o se sono alla mercé delle situazioni  e degli amici. Di fronte all’anno nuovo, ma soprattutto davanti a quella esperienza così profonda del rinascere che è il Natale, si può allora ripartire con qualche segno reale e non effimero di novità nel cuore.

Pubblicato il 10 gennaio 2011 - Commenti (0)
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