Don Sciortino

di Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 
05
lug

Un padre troppo forte?

Anche quest’anno Giulio è stato promosso per il rotto della cuffia; dovrà studiare durante l’estate, ma ce la farà a superare l’anno. E’ così da tempo. I suoi studi lo portano a ripercorrere le orme del padre, professionista affermato in campo sanitario. Da quando ha iniziato la scuola superiore, ogni anno, verso febbraio, giunge da me con una sola domanda, sia pure espressa in modi diversi: sta facendo questi studi perché li ha scelti lui o perché così vuole suo padre? Nelle materie professionali riesce con facilità, perché gli piacciono, ma si applica troppo poco e gli altri risultati sono scarsi.

Giulio pone il problema di molti adolescenti maschi che devono fare i conti con padri dalla forte Un padre troppo forte?

 

personalità e di buon successo personale. L’identificazione in un padre potente è un compito difficile, e a volte risente di una certa pressione, sottilmente violenta. Diventare forte come il padre garantisce all’adolescente l’accesso ad una virilità sicura, ad una immagine di sé prestigiosa e facilmente spendibile nelle relazioni sia con i coetanei maschi che con le ragazze. Peraltro, c’è bisogno di reinterpretare questo ruolo in modo personale, per difendere la propria individualità e non percepirsi troppo debitori verso un genitore che da un lato largheggia in opportunità (spesso anche economiche) e garantisce un prestigio sociale, dall’altro però esige un adeguamento alle proprie aspettative. Ne nasce un conflitto interno all’adolescente, incerto tra diventare ciò che vuole suo padre e cercare faticosamente di essere se stesso. Per dirla con Pirandello, tra “Come tu mi vuoi” e “Così è (se vi pare)”.

Forse, vale la pena di rileggere le parole di Kalil Gibran ne Il profeta, che qualche settimana fa è stato  proposto insieme a Famiglia Cristiana :

“Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:

essi hanno i loro pensieri.

Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:

esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno”

Pubblicato il 05 luglio 2010 - Commenti (1)
22
giu

Essenza di adolescente

Sono tra il pubblico del saggio di una scuola di musica. Bambini e adolescenti si susseguono sul palco, affrontando con tremore e passione la loro perfomance.  E’ il turno di una ragazza che canterà un brano di un musical di Lloyd Webber (quello di Jesus Christ Superstar, Evita…), accompagnata dal pianoforte. Musica romantica, un po’ operistica.

Entra nel salone silenziosa, a testa bassa, vestita di nero, come neri sono i suoi occhi e il suo trucco. Avrà 16 o 17 anni. Il canto malinconico è appena accennato. Come se cantasse per se stessa. Come se gli altri non esistessero.

Non ha lo spartito, ama il rischio. Un po’ timida, un po’ narcisista.

Guarda a malapena il pubblico, l’insegnante che con gli occhi le chiede di sciogliere le braccia conserte per assumere una posizione più idonea al canto. La ragazza si irrita e si intestardisce. Non abbandona la sua postura con aria di sfida.

Il canto riprende, timido e altero, poi si interrompe. Tace anche il pianoforte. Un gorgheggio di cristallo e poi, con gesto deciso, le braccia conserte premono sul diaframma ed esce un acuto vibrante, pieno, trionfale.

Il pubblico applaude. La ragazza esce di scena con gli occhi bassi senza ringraziare.    

Pubblicato il 22 giugno 2010 - Commenti (1)
15
giu

Qualche consiglio per l'estate

La fine delle scuole è accolta con gioia dai ragazzi, con sollievo ma anche preoccupazione dai genitori. Sollievo perché i conflitti (piccoli o grandi) sullo studio trovano una tregua. A meno che non ci siano recuperi di materie poco studiate durante l’anno. Preoccupazione perché adesso il tempo a disposizione è molto. Ragazzi che si annoiano. Ragazzi che stanno fuori di casa tutto il giorno. Ragazzi che si trascinano da una panchina all’altra dei parchetti di città o delle piazze di paese. Ragazzi che dormono durante il giorno e stanno svegli di notte, per giocare o chattare. A volte poi la possibilità di controllo dei genitori è ridotta, per gli impegni lavorativi durante la giornata. Che fare?

E’ giusto insistere perché i ragazzi organizzino il loro tempo libero? Penso di sì, per almeno due motivi. Il primo è che, alla lunga, il rischio della noia è sempre presente. Il secondo è che l’estate, tempo (parzialmente) libero dagli impegni di studio, è occasione di esperienze di vita importanti e spesso utili per la crescita, per le quali non si ha tempo l’anno scolastico.

Le vacanze vanno programmate, e non solo quelle che si trascorrono lontano da casa, come i viaggi di piacere o le permanenze all’estero per studiare le lingue. Se non lo si è fatto prima, è in questi giorni che va affrontato il problema con i ragazzi. Sedendosi al tavolo insieme e provando a progettare. Spesso non è facile, emergono forti resistenze. Ma alla fine si può essere tutti più contenti.

Ci sono impegni fuori casa, come la partecipazione all’oratorio feriale, al Grest, ai Centri estivi o come in altri modi vengono chiamate queste attività. Si può essere utenti, oppure, per gli studenti di scuola superiore, animatori. Ci sono campi di lavoro, proposte di impegno che provengono dalle associazioni di volontariato (basta digitare su internet per trovare gli elenchi). Un’esperienza di servizio agli altri è sempre formativa per un adolescente, di solito centrato su di sé più che attento al resto del mondo.

Ma anche per chi sta in casa occorre pensare ad una regolamentazione condivisa. La sveglia al mattino deve suonare, certamente non all’orario in cui si va a scuola, ma neppure alle 11 o a mezzogiorno… La maggiore disponibilità di tempo consente ai ragazzi di farsi carico di alcune incombenze domestiche (riordino, letti, spesa, preparazione del pranzo o della cena). Ad esempio, si può decidere di stabilire insieme che un giorno alla settimana l’adolescente sta in cucina. Dapprima con la guida di qualcuno, poi da solo.  Più autonomo, più pronto alla vita.

Pubblicato il 15 giugno 2010 - Commenti (1)
07
giu

Mio figlio gioca alla pentolaccia

Mio figlio gioca alla pentolaccia

I genitori di Luca sono esasperati, oltre che preoccupati: il ragazzo ha lasciato da qualche settimana gli studi al secondo anno di scuola superiore, e passa i pomeriggi ai giardinetti con gli amici. Fuma, e non solo sigarette. In casa c’è poco, è sempre irritabile, se la prende con i fratelli più piccoli, specialmente con il secondo, che invece va bene a scuola, fa sport, “ lui non crea problemi…”.

Al papà, Luca sembra “uno che sta giocando alla pentolaccia: bendato, mena colpi all’impazzata. Ma non sa verso quale obiettivo”.

Con Luca ci vediamo cinque volte: parliamo della famiglia, degli amici (“sono loro la mia famiglia!”), delle canne, delle scelte scolastiche per l’anno prossimo. Del lavoro che i suoi genitori gli hanno proposto/imposto per l’estate: “non ci vado tanto volentieri, adesso che i miei amici saranno tutti a casa. Ma i miei hanno ragione. Ho fatto vacanza tutto l’inverno”.

Luca vuole davvero bene ai suoi genitori, ma è deluso, come loro lo sono di lui. Non sa più chi è e che cosa vuole. Ha perso l’orientamento, e non solo quello scolastico. Gli amici lo sostengono, ma con loro tutto si gioca nel presente, nell’immediatezza del pomeriggio ai giardini o della serata in discoteca. E il domani? E il passaggio all’età adulta? Luca si è fermato nella ricerca di soddisfazioni a breve termine, nell’anestesia delle canne e dei videogiochi, perché non sa se ce la farà a diventare adulto. Ha bisogno di ritrovare un senso in ciò che fa.

I genitori lo possono aiutare, tenendo aperta la riflessione. I mesi di lavoro gli insegneranno a stare con gli adulti, a sentire che è in grado di prendersi il carico delle responsabilità. La scelta di una scuola più idonea gli permetterà di rilanciarsi, di dare smalto alle sue parti adulte.   Il percorso verso l’età adulta potrà riprendere.

Pubblicato il 07 giugno 2010 - Commenti (0)
31
mag

Veri maestri

Veri maestri

Carlo ama scrivere. Anche adesso che sta per affrontare l’esame conclusivo dei suoi cinque anni di liceo, sa dedicare tempo ai suoi racconti. Con uno di essi è arrivato in finale di un importante concorso per giovani scrittori, ma è deluso per non avere vinto. Gli chiedo se abbia detto a qualcuno del suo buon piazzamento. No, solo ai genitori, alla sua ragazza, al suo migliore amico e a me. E ai suoi insegnanti? Carlo mi dice: “In gita ho parlato a lungo con il prof dell’altra classe. Abbiamo parlato delle nostre letture. Mi ascoltava, e io ascoltavo la sua cultura. Conosce tantissime cose. A lui sì potrei direi i miei sogni e le mie ambizioni. Non ai miei prof; qualcuno di loro è autorevole, sul piano dell’insegnamento, ma nessuno sembra interessato a noi come persone”.

Nei giorni scorsi ho ricevuto da un amico un augurio di compleanno “per buone occasioni di esperienze e per veri maestri”. Lo giro a Carlo.

Pubblicato il 31 maggio 2010 - Commenti (0)
17
mag

Grazie Marco, che ci ricordi la speranza

Grazie a Marco : la tua testimonianza, così solida e fondata nella speranza, ci aiuta a capire bene che cosa significa ‘stare’ con un adolescente, esserci anche quando ci si sente lontani nei canoni di giudizio, nei comportamenti, nelle scelte.  Significa fare lo sforzo di provare a parlare la lingua dell’altro, per fargli fare l’esperienza che si può essere ascoltati davvero. Solo così nostro figlio può abbandonare l’atteggiamento di fiducia nel genitore che aveva da bambino, e che ora rifiuta nettamente,  per imparare ad ascoltarci in modo più adulto.

A volte mi viene da pensare che il genitore di un adolescente sia come il sacco del pugile
: deve incassare molte botte perché il figlio si rafforzi, ma siccome è appeso a un gancio, ogni volta torna indietro. C’è sempre, non molla mai. Alla fine, come ci insegna Marco, avviene qualcosa. Una comunicazione coltivata malgrado la fatica e le incomprensioni dà frutto. Nasce una nuova possibilità di condivisione, più adulta, più matura. 

Pubblicato il 17 maggio 2010 - Commenti (0)
13
mag

In vacanza per crescere

La pazienza, da sola, non basta. Sto ascoltando la madre di Carlo: il ragazzo ha 17 anni, frequenta con scarso impegno la III superiore. Dedica pochissimo tempo allo studio, malgrado i richiami. Però non rischia la bocciatura : non va certo bene, ma neppure troppo male. E’ chiuso, parla poco, esce raramente di casa, ha pochi amici fin dalla scuola media, che frequenta in modo discontinuo. Sembra senza interessi. Anzi, ne ha uno : la chitarra. E’ un po’ una sua fissa, dice la mamma. L’ha voluta acquistare, i genitori gli hanno proposto di prendare qualche lezione da un maestro, non ha voluto. E così, da autodidatta, ha imparato a suonarla, e passa il tempo suonando e cantando le sue canzoni preferite.  Con i genitori, ha un rapporto normale: col papà parla di calcio, qualche volta si scontrano; con la mamma…
 
Ha le sue ‘manie’: va spesso dalla nonna, che l’ha cresciuto, e le chiede in continuazione se lei gli vuole bene. La nonna lo rassicura, è attenta ai suoi racconti di scuola, gli prepara il pranzo, lo ascolta suonare la chitarra. A casa, dice la mamma, abbiamo sempre voluto essere morbidi con lui; non siamo genitori rigidi, severi. Anche nel linguaggio, usiamo le sue parole, e non ci formalizziamo sulle parolacce. Forse, le dico, anche Carlo è cresciuto ‘morbido’ : un ragazzo sensibile, con il suo mondo di affetti e sentimenti, ma con pochi strumenti per affrontare la vita che scorre fuori dal nido familiare. E’ uno dei tanti ragazzi per i quali il cammino di separazione dalle sicurezze dell’infanzia e della vita familiare è particolarmente arduo. Deve scoprire di essere abbastanza forte per affrontare le sfide : la scuola, che gli chiede capacità di impegno, determinazione, senso della realtà; i coetanei, che gli chiedono di aprirsi, di fidarsi, di mettersi in gioco. 
 
Il periodo estivo che si avvicina può essere una buona occasione per fare esperienze, mettersi alla prova, magari in qualche attività di volontariato e di servizio agli altri. Carlo potrà allontanarsi per un po’ dalla famiglia, se avrà il rassicurante e deciso appoggio dei genitori (specie del papà, che deve pronunciare con forza e con stima il nome di questo figlio) e la condivisione degli altri ragazzi, suoi compagni di avventura. Tornerà a settembre più  consapevole delle sue risorse, e se porterà avanti il nuovo impegno, sarà più pronto ad affrontare l’anno della maggiore età.    

Pubblicato il 13 maggio 2010 - Commenti (0)
08
mag

cara Lorena

Cara  Lorena, a quasi 18 anni si è ancora adolescenti, e alla domanda cruciale dell’adolescente (Chi sono?) non si è ancora data una risposta completa. Mi sembra che questa generazione faccia più fatica delle precedenti a passare all’età adulta, per tanti motivi. A mio parere, uno di questi è che si può concludere l’avventura dell’infanzia solo se ci si sente abbastanza forti per superare il guado dell’adolescenza, se si può guardare con speranza al fatto che si diventerà adulti. E questo dipende anche da noi. Molti ragazzi e ragazze fanno fatica a distaccarsi dalla prima fase della propria vita, non dimenticandola, ma inglobandola dentro di sé come un’esperienza preziosa ma superata; e allora si giocano tutti nel presente, nelle amicizie e nel divertimento, perché non riescono a guardare oltre, a pensarsi come uomini e donne adulti, cioè autonomi e responsabili.   Per qualcuno, è difficile distaccarsi dai genitori, staccarsi dalle sicurezze infantili; ci si prova a sciogliere dall’abbraccio della mamma, temuto e desiderato, anche con violenza. Così, i rapporti si fanno tesi, i tentativi di dialogo vengono frustrati, l’opposizione si fa pesante. Eppure, è proprio in queste situazioni che si fa più evidente la fatica di crescere.  Se fai fatica a manifestare stima verso tua figlia, è come se tu fossi uno specchio in cui non si vede sicura e capace, ma svalutata e arrabbiata. Lei preferirà guardarsi nello specchio degli amici, che le rimandano un’immagine più positiva. Prova a chiederti quali sono le sue qualità migliori e più mature, e a proporle qualche occasione in cui possa dimostrarle. Ti farà vedere che ha quasi 18 anni e tu potrai darle finalmente un riconoscimento positivo. Alla fine, il giudizio dei genitori resta sempre quello più atteso (e temuto) dai ragazzi.

Pubblicato il 08 maggio 2010 - Commenti (0)
07
mag

Quando manca la voglia di studiare

Giulia non ha voglia di studiare: adesso meno di prima, perché le belle e lunghe giornate di primavera invitano a godere la compagnia degli amici. A 16 anni questa è la ‘seconda famiglia’, soprattutto quando nella prima, a casa, si fa fatica ad ascoltarsi e si litiga spesso. Sì, perché i genitori parlano sempre e solo di scuola: com’è andata, che voti hai preso oggi (ancora una insufficienza, alla fine dell’anno! Non ci rovinare l’estate con i recuperi!), non starai pensando di farti bocciare… Sono troppo preoccupati, il tempo stringe a maggio, lo scrutinio finale è vicino, per chiedere qualcos’altro. Persino la nonna, quando telefona, chiede subito: “Allora, Giulia, stai migliorando a scuola? Mi raccomando, pensa alla mamma e al papà…”.

     Giulia mi guarda, e con gli occhi lucidi, mi dice: “E a me, chi pensa? Perché nessuno a casa mi chiede se sto bene o male, se sono contenta oppure no? Solo qualche amica mi ascolta e prova a capire come sto”. C’è una protesta silenziosa, una rabbia sorda, in questa incapacità di Giulia nel fare i conti con lo studio. Anche le sue compagne non hanno voglia di studiare, proprio come lei, ma loro, bene o male, riescono a farcela, a ritrovare un po’ di impegno, ad accantonare il divertimento e le distrazioni.

    Giulia confessa la sua impotenza, la sua incapacità di trovare un senso, di guardare al futuro, di esprimere le sue parti adulte, che la scuola mette alla prova : l’affidabilità, la continuità, la capacità di affrontare la fatica mentale. Va accompagnata, in modo rispettoso ed emancipante: ha bisogno di qualcuno che la indirizzi e la sostenga, nell’uso del tempo pomeridiano, nella regìa dei vari impegni, nelle strategie di fine anno scolastico. E’ il momento per Giulia di attivarsi, di chiedere aiuto ai genitori e ai professori.

    Gli adulti, in questo momento, devono rispondere: devono mostrare a Giulia che stanno ascoltando quello che confusamente sta dicendo. C’è il rischio che Giulia si lasci andare, che magari finisca per fare fuori, con l’arma dell’insuccesso scolastico, la studentessa che c’è in lei, perché ha temuto che fosse l’unica parte di lei che interessava agli adulti.

Pubblicato il 07 maggio 2010 - Commenti (1)
05
mag

Rabbia e aggressività

A 14 anni, nella prima adolescenza, tra il corpo e la mente di un adolescente c’è uno scarto notevole, soprattutto se è un maschio. Il corpo è in piena trasformazione e diventa uno strumento potente per esprimere quello che il ragazzo prova. La mente è di solito più immatura : è troppo recente la protezione e la tranquillità di quando si era bambini, la capacità di riflettere più in profondità su di sé sta muovendo i suoi primi passi. Emozioni forti come la rabbia o la delusione trovano più facilmente la via dell’espressione corporea che non quella del pensiero più riflessivo e maturo; tanto più che la nuova prestanza fisica, l’energia muscolare, la voce più potente dicono meglio l’intensità degli stati d’animo.

     Il genitore fa fatica: anche per lui questa è una novità. Non sempre il figlio è disponibile al ragionamento, che permette di raffreddare l’emotività e riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti. Per di più, la violenza delle manifestazioni del figlio suscita in noi adulti emozioni di pari intensità. Rischiamo di essere simmetrici a lui, quindi sullo stesso piano. Possiamo provare a non essere lo specchio della rabbia di nostro figlio, ma a proporgli un modo diverso di affrontare le situazioni, ugualmente caldo ma più ragionevole; in grado di vedere le cose dal suo punto di vista per fargli poi apprezzare anche il nostro?

Pubblicato il 05 maggio 2010 - Commenti (0)
14
apr

L'incontro di adulti e ragazzi

Gli adolescenti di oggi sono gli uomini e le donne di domani.  A loro lasceremo la conduzione della cosa pubblica, dell’economia, della cultura, della famiglia, del lavoro, della morale. Saranno loro gli adulti che porteranno avanti il mondo quando noi, adulti di oggi, saremo vecchi o non ci saremo più.

Come in ogni epoca, di fronte a questa prospettiva, c’è chi si preoccupa e chi se ne rallegra. Dobbiamo dare retta alle notizie di cronaca di giornali e TV, in cui si parla della nostra come della peggio gioventù? Oppure pensiamo che, in fondo, gli adolescenti di oggi non sono poi così diversi da quelli di ieri e dell’altro ieri? Certo, ci sono atteggiamenti e comportamenti che non cambiano col variare delle generazioni: la voglia di scoprire il mondo, la fatica della crescita, il bisogno di affermare se stessi anche in contrasto con gli adulti… Ma ci sono anche importanti novità: ad esempio, una generazione di ragazzi cresciuta con tanti stimoli, a volte troppi, che con il loro rumore di fondo rendono più difficile lo studio, la riflessione,  il silenzio. Oppure l’impatto con le nuove tecnologie: loro ci sono nati dentro (nel computer, nel web, nelle comunicazioni), noi adulti siamo degli immigrati in quel mondo. E ancora, la prospettiva del futuro: forse oggi non diamo più per scontato, come i nostri genitori o i nostri nonni, che i nostri figli vivranno meglio di noi, con più strumenti per capire il mondo, più benessere, più sicurezza.

Di fronte a tutto questo, noi adulti abbiamo innanzi tutto bisogno di capire: capire come nasce e come si esprime la gioia e la fatica di diventare adulti dei nostri ragazzi e ragazze. E’ difficile parlare dell’adolescenza, meglio parlare degli adolescenti e dei mille volti che questa età assume incarnandosi in loro.

Passo le mie giornate incontrando come psicologo e psicoterapeuta gli adolescenti: nelle scuole, in studio, nei gruppi che frequentano. Li ascolto, cerco di farmi capire da loro, come ascolto i loro genitori e i loro educatori. Il più delle volte scopro grandi ricchezze, che molti  ragazzi tuttavia non sanno di avere, o non sanno come e quando utilizzare. E’ in questi casi che chiedono a noi adulti una mano, rispettosa e libera da pregiudizi. Mi sembra che gli adolescenti ascoltino gli adulti, soprattutto i genitori, molto più di quanto non ammettano.  E a patto che gli adulti sappiano farsi ascoltare.

Mi piacerebbe che questo spazio diventasse il luogo in cui gli adulti, sempre e comunque educatori, potessero parlarsi, alla luce delle loro esperienze e riflessioni, esprimendo le fatiche, le incertezze, le domande, ma anche condividendo segni di speranza e di  verità. E sarebbe bello che anche qualche adolescente volesse far sentire la sua voce su questo blog, per aiutare noi adulti a capire un po’ di più.  

Pubblicato il 14 aprile 2010 - Commenti (4)
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