18 settembre 2011 - XXV del Tempo ordinario


Matteo (20,1-16)

«[...] Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano [...]. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?”».


Dio è amore gratuito

«Non posso fare delle mie cose quello che voglio?» (Mt 20,15) è la risposta del padrone della vigna agli operai della prima ora, che protestano per aver ricevuto la stessa paga dei lavoratori dell’ultima ora. Una risposta che non ammette repliche e irrita la mentalità corrente, sempre pronta a gestire qualsiasi rapporto in termini puramente commerciali. Soprattutto oggi, abituati a mercanteggiare ogni cosa, ognuno si aspetta di essere ripagato nella stessa misura con cui ha dato, escludendo da ogni rapporto la libertà del dono.

Certo la parabola è una metafora che non può essere letta in termini di giustizia retributiva o la morale del racconto rischia di apparire una clamorosa ingiustizia. D’altronde, chi ricorda che il Maestro altrove afferma che «l’operaio è degno della sua mercede» (Lc 10,7) non può fraintendere il senso ultimo della parabola, in cui la vigna è paragonata al Regno dei cieli.

Solo se teniamo presente questa similitudine possiamo comprendere la provocazione del Maestro. Dio si comporta come il padrone della vigna e il suo metro di giudizio è diverso dal nostro: «I miei pensieri », dice il Signore, «non sono i vostri pensieri » (Is 55,8). La sua misura non è basata su un calcolo matematico, ma sull’amore che tutto dona, perché «buono è il Signore verso tutti» (Sal 145,9), indipendentemente dall’agire degli uomini.

Con questa parabola il Maestro vuole eliminare ogni tentazione di ridurre il rapporto con Dio a uno scambio commerciale: nessuno è in grado di presentare il conto al Signore, nessuno può permettersi tale oltraggio. Tutto ciò che abbiamo dalla vita, anzi la vita stessa, è un dono gratuito di Dio che ci ha offerto la salvezza per pura bontà. Come il padrone della vigna ha avuto pietà per gli operai dell’ultima ora, così Dio ha compassione degli uomini che ripaga in maniera spropositata a prescindere dai meriti di ciascuno.

Chi a tutti i costi vuole ridurre Dio ai suoi bisogni e ha l’ardire di giudicare il suo operato con criteri umani, non potrà che provare invidia per quanti ricevono misericordia da un Padre che, nella sua infinita libertà, elargisce la grazia su tutti gli uomini: «Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità» (Sal 145,18).

Chi ha la presunzione di credere di avere più diritto di altri a una ricompensa perché osserva ogni precetto, si comporta come quei farisei che, vantando di essere figli di Abramo, credevano di essere primi dinanzi a Dio, senza capire che la logica dell’amore non è quella dell’esatta retribuzione. L’amore va oltre la legge, tanto che il Maestro chiude la parabola con le parole più note del Vangelo: «Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt 20,16).

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