30 gennaio 2011 - IV del Tempo ordinario


Matteo (5,1-12)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno  consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno   misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la  vostra ricompensa nei cieli».


I beati secondo Dio

«Beati i poveri» (Mt 5,3). Mai pagina è stata più potente di quella che passa come discorso della montagna. Anche coloro che cristiani non sono, da sempre si lasciano provocare dalla struggente verità di un mondo, di una umanità che, costretta a fare i conti con la sua  fragilità, può e deve aspirare alla felicità, è un suo diritto, deve pretenderlo. Gesù di  Nazaret, uomo e Dio, sale la montagna della verità umana e dall’alto del suo  insegnamento, dal punto di osservazione più felice, che permette a Dio di vedere l’uomo, e all’uomo di cercare Dio, sente il grido di aiuto che per amore accoglie ed è pronto a  esaudire perché «quello che è debole per il mondo Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27).

Quello stesso punto di osservazione consente alla vicenda umana, benché la precarietà dell’essere, benché il tormento dei giorni, di sentirsi visitata dall’amore  compassionevole del Padre, di un Dio amante della vita. Benché la Legge antica sia  riconosciuta dal Maestro come necessario precetto da seguire, d’ora in poi non sarà la sola Legge a sancire il definitivo patto, ma la stessa vita, presenza del Dio vivente, a gridare che Dio ama l’uomo.

E lo ama così com’è nella sua debolezza, nella sua fragilità, nella sua estrema povertà. Potenza di un Dio che per amore e solo per amore trasforma il dolore in risorsa, la sofferenza in ricchezza, la povertà in possibilità di riscatto. Le nove beatitudini, pur essendo diverse l’una dall’altra, sono storia umana, vicenda che ci riguarda e se  beatitudine è scambio di sguardi tra Dio e l’uomo, intreccio d’amore che rende felice perché dall’Alto proviene, ogni bene è Dio stesso che in Cristo dice al povero, a chi piange, a chi ha fame, a chi è perseguitato: io sono dalla vostra parte, ho scelto ciò che è ignobile e disprezzato dal mondo per confondere i sapienti, ciò che è debole per confondere i forti. Felicità che non arriva solo come promessa futura, sicura consolazione per un riscatto futuro, ma come condizione presente che, senza ignorare il travaglio del momento, trova nella promessa del Maestro la sua forza, l’ottimismo necessario per far fronte al quotidiano sofferente.

La sapienza del mondo, che rigidamente vuole sconfitto il povero, vinto l’afflitto, perdente il mite, è stravolta dalla sapienza di Dio che certo non ama la miseria, non gode delle lacrime, non gioisce dell’afflizione del sofferente ma sceglie come sua  dimora la povertà del povero, l’afflizione del misero e per questo ne sana le ferite, ne cura le piaghe, asciuga le lacrime: «Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è  caduto» (Sal 145,8). Ecco perché chi ama il povero, ama Dio, ecco perché chi è povero è beato in Dio.

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23 gennaio 2011 - III domenica Tempo ordinario


Matteo (4,12-23)


Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon
e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che  abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».



La strada indovinata

«Venite dietro di me, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). L’inizio della vita pubblica del  Maestro di Galilea coincide con la presentazione ai discepoli del suo programma:  «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Una proposta calata nel cuore  della storia che provoca un dinamismo di rinascita, di vittoria su ogni morte.

Conversione sta proprio per strada indovinata, per via finalmente giusta, capace di condurre alla meta sognata. L’attesa dell’uomo è vincere le tenebre, quelle oscurità di dentro che bloccano il significato del vivere, che impediscono la visione del vero, che rendono impossibile un  passo felice e per questo la proposta del Maestro è attesa da sempre dall’uomo  sofferente, dal popolo di ieri e di oggi: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una  grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Is 9,3; Mt 4,16).

Matteo lega, e sente di doverlo fare, l’inizio dell’avventura di Gesù di  Nazaret con la profezia messianica di Isaia e se il suo Vangelo, indirizzato  prevalentemente agli ebrei, vuole dichiarare che l’atteso dai popoli è proprio il Maestro, è  vero anche che questa verità è posta con un brio, con una vivacità di parola che  travalicando il tempo acchiappa i cercatori di verità, i giusti di ogni stagione e li convoca a uscire dalle tenebre per seguire la luce.

La proposta è formidabile, passo deciso da imitare, quello del Maestro, la speranza è poter vedere grazie alla luce finalmente  ritrovata: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia... Hai spezzato il giogo... la  sbarra sulle sue spalle» (Is 9,2-3). Seguire colui che grida: «Il regno dei cieli è vicino» è scegliere una strada diversa, un orientamento diverso della vita, è convertire la rotta  scegliendo la direzione del Maestro.

Così l’inizio della vita pubblica di Gesù coincide con  l’annuncio del regno, sintesi di programma che man mano diventerà sempre più chiaro per coloro che ne saranno attratti e coincide anche con la convocazione alla compagnia:  «Venite dietro di me». Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni sono i primi di una moltitudine che lasciano le reti del passato accettando la sfida, investendo sulla parola di Gesù di  Nazaret. Lasciano le reti e subito seguono il Maestro.

Bella sfida quella di Gesù, potente quella dei discepoli, subito lo seguirono, sembra finanche troppo per chi è affaccendato in tutt’altro. Tuttavia, a ben leggere, a quell’avverbio, subito, che dice tempo veloce di  risposta, si potrebbe perfino dare diverso significato e tradurlo con mettendosi in corsa, correndo come in una gara. Chi si mette in gara spera di vincere, non è detto che ci riesca: necessario è provarci, il resto lo farà il Maestro.

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16 gennaio 2011 - II domenica Tempo ordinario


Giovanni (1,29-34)

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”.  Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»


Ecco l’agnello di Dio

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv1,29). Il tempo ordinario si apre, Matteo sarà protagonista con il suo Vangelo dell’annuncio che accompagnerà l’intero anno alla scoperta di colui che nella liturgia odierna Giovanni Battista indica al mondo come l’agnello di Dio. Colui che è venuto nel mondo, è il Verbo incarnato, amore del Padre donato all’umano per ricondurre a casa i dispersi, per dare conforto a quanti hanno invocato un cielo aperto sulle loro piaghe, colui del quale Isaia scrisse: «Luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).

Il Maestro di Galilea si lascia provocare dal peccato degli uomini e nella sua carne senza colpa subisce l’affondo del dolore del mondo, coglie sulla sua pelle quanto sia dura la vita all’uomo lontano dal Regno, quanto faticosa la storia snaturata dal peccato. Entra nella vicenda umana per raccontare di un Padre tenerissimo, che ha ascoltato il grido dell’umanità in cerca di riscatto: «Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato» (Sal 39,2).

Confuso tra i peccatori, Giovanni lo riconosce come il giusto e lo indica come colui che finalmente risponde alle attese del cielo: «Sacrificio e offerta non gradisci... non hai chiesto olocausto, né sacrificio per il peccato» (Sal 39,7). Tra Giovanni e il Maestro di Galilea si concretizza un dialogo, ora a parole, ora silenzioso, che svela il disegno del Dio della salvezza, innamorato dell’uomo fragile per la sua impotenza, un Dio che rende possibile, per amore e solo per amore, una strada appianata, finalmente ristrutturata, via di comunicazione tra il cielo e l’uomo: «Ecco l’agnello di Dio», «Ecco, io vengo» (Sal 39,8) Giovanni così indica il Cristo, inviato dal Padre, che è pronto alla sua missione, pronto come agnello, pronto a prendersi il carico più pesante per riscattare ogni uomo. Agnello che Giovanni descrive come colui che toglie il peccato, che qui è detto al singolare, diverso dal plurale liturgico “peccati del mondo”.

Il Battista grida nel deserto delle false promesse la nuova avventura che si apre con l’avvento del Figlio che inaugura la vita stessa, una vita senza la prigionia della morte che a causa del primo peccato era entrata nel mondo a contaminarne il sapore. L’agnello inviato dal Padre è ora nella carne della storia per colorare di nuova infanzia, di nuova creazione il vissuto dell’uomo.

E il Verbo si fa carne e tra noi mette dimora, l’ingresso nella vita pubblica del Maestro di Galilea è già potente descrizione del ritmo del suo passo, ritmo di vita per affrontare la morte e ingoiarla per la vittoria, «Per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele» (Is 49,6).

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9 gennaio 2011 - Battesimo del Signore


Matteo (3,13-17)


In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere  battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché  conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».


Dal cielo aperto di Dio


«Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare » (Mt 3,13). Confuso tra la folla, che si recava al fiume per purificarsi, il Cristo «simile in tutto a noi, fuorché nel  peccato» (Eb 4,15), si presenta a Giovanni come uomo tra gli uomini. Un gesto di umiltà  che sconcerta il Battista: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Un gesto che sconcerta chiunque si aspetta da Dio un intervento trionfalistico che  sancisca la sua grandezza sulle miserie umane e manifesti la sua presenza nel mondo  come volontà di sola potenza, vendetta di un Dio pronto a tagliare e a gettare nel fuoco,  come predicava il profeta del deserto, ogni albero che non porta frutto.

Lontano dalle  aspettative umane di ogni tempo Gesù stravolge ogni idea di un Dio padrone, pronto a  punire, e obbediente al Padre fino alla morte rivela il volto di un Dio diverso, che non usa solo la forza per imporre il suo volere: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in  piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata» (Is 42,2-3).

Il Figlio prediletto non disdegna di camminare al fianco dei peccatori, e perché si «adempia ogni giustizia» (Mt  3,15) si uniforma alla volontà del Padre e si lascia battezzare.
In quel gesto di umiltà Gesù dichiara di essere l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo, il servo di Yahveh  pronto a sacrificarsi, il Messia profetizzato da Isaia: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio  eletto di cui mi compiaccio» (Is 42,1).

Grazie a quel gesto di obbedienza, il cielo si apre  sulle nostre debolezze, sulle nostre paure, sul nostro dolore, sulle nostre attese e sulle nostre speranze. Appena battezzato la voce di Dio irrompe nel silenzio di un mondo che cerca risposte di senso, ma forse oggi, come allora, affascinati da quel cielo aperto, pochi si accorgono che Gesù, immergendosi nella stessa acqua dei peccatori, ha voluto manifestare sin dalla sua prima apparizione da adulto la sua completa solidarietà con gli uomini, con i più deboli, con chi cosciente di aver sbagliato cerca il perdono, la vicinanza di Dio. E Dio, in Gesù, è davvero vicino a chiunque lo cerca con cuore puro. «Dio non fa  preferenze di persone » (At 10,34), la salvezza è per tutti, per i giusti e i peccatori, per  quanti in Cristo troveranno la via verso il Regno.

Quel giorno sulle rive del Giordano,  appena Gesù uscì dall’acqua, Giovanni «vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui» (Mt 3,16). Ogni distanza tra il cielo e la terra, tra l’Alto e il basso, tra Dio e l’uomo era stata annullata, perché da allora a oggi, Gesù, consacrato dallo Spirito, è  presente nel mondo e attraversa la storia «beneficando e risanando tutti» (At 10,38).

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6 gennaio 2011 - Epifania del Signore


Matteo (2,1-12)


Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme. [...] Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua  madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.


I cercatori di luce

«Provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). I Magi venivano da Oriente inseguendo una stella, chiamati per un evento che cambiava la storia. Inseguivano la luce, traccia di un  segmento di significato che descrive l’umano che da sempre è in cerca di luce, di verità. È l’uomo che insegue la luce, necessaria nell’oscurità del dubbio, nella fatica della ricerca  interiore, nella gabbia della sofferenza, nella domanda irrisolta dei perché che non trovano risposta. Insegue la luce il cercatore, la sua stella che spera presto si fermi a illuminargli il percorso.

Chiamati dalla luce i Magi rischiano il viaggio e smossi dal bisogno di verità lasciano la  sicurezza dei loro arredi, si compromettono con l’itinerario, soffrono il disagio per inseguire la stella, per acchiappare la luce, e quando la stella si ferma, si sprigiona in loro una gioia inaudita, mai provata prima: «Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare... si fermò  sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9).

Gioia grandissima, irrefrenabile, dei cercatori di luce, ora fasciati dalla luce, prostrati, adorarono il mistero: oro, incenso e mirra racconto di gratitudine. La luce era davanti ai
loro occhi e brillava di significato, luce di oro, propria di un re che governa con giustizia e  pace. Luce di incenso, sacrificio per un Dio a cui si offre in soave odore. Luce di mirra, raro profumo di amarissima sostanza uguale al martirio che il Bambino divino avrebbe subito. Gioia irrefrenabile, quella deiMagi di allora e di tutti i cercatori di Dio, che inseguendo la stella chiedono una risposta di pace e sicurezza: «Cammineranno le genti alla tua luce» (Is 60,3).

Epifania è giorno in cui la luce si manifesta, la stella si ferma nella storia  dell’uomo, tutti gli uomini ora sono in grado di riceverne il bagliore e di vedere l’amore di un Dio incarnato. Da troppo tempo il grido: «Mostraci il tuo volto», da troppo tempo «la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli» (Is 60,2), e tuttavia «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità» (Ef 3,6), ad accogliere la sua convocazione di speranza.

I Magi di allora e di oggi, coloro che sapranno rischiare il viaggio, usciranno dalla prigionia
delle tenebre e raggiungeranno l’evento. Ai Magi di ieri e di oggi, agli uomini di ogni tempo il profeta grida: «Alzati, rivestiti di luce» (Is 60,1). Epifania, giorno caro ai bambini, doni ricevuti, sorpresa d’incanto, epifania, manifestazione di Cristo, Figlio di Dio, a ogni uomo, dono di luce, frontiera di senso.

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