20 gennaio 2013 - II domenica Tempo ordinario


Giovanni (2,1-11)
 
Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». [...] E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». [...] Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Affidati a Gesù Sposo


Gesù ha già incontrato i discepoli Andrea e Pietro, Filippo e Natanaele. E tre giorni dopo egli si trova a un banchetto di nozze. Qui è da non sottovalutare il contesto: già i profeti avevano celebrato la relazione tra Israele e Dio attraverso l’immagine nuziale che faceva di Dio lo Sposo di Israele e di Israele la Sposa del Signore. Proprio in questa luce possiamo comprendere il senso delle parole che concludono il brano evangelico: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».

Fu il primo miracolo: un “vino migliore”, segno di nozze “nuove e migliori” con cui il Padre introduce nel mondo lo Sposo di quanti crederanno in lui e inizieranno a seguirlo. L’immagine della nuzialità, ripresa da diversi padri della Chiesa, nel Vangelo di oggi è “provocata” da Maria che abbiamo invocato come “madre di Gesù”. La invochiamo oggi anche come “madre della Chiesa” che qui affiora e muove i suoi primissimi passi.

Il racconto è curioso: sembra che ci sia una certa “indecisione” da parte di Gesù a iniziare il suo ministero. Ma le sue parole: «Non è ancora giunta la mia ora, che vuoi da me?» trovano riscontro in una “decisione” di Maria che risponde, di propria iniziativa, senza consultarsi con Gesù e, di fatto, coinvolgendolo in una situazione di necessità: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Ho la sensazione che Maria, qui e come spesso accade alle madri verso i figli, abbia una consapevolezza che supera quella del Figlio stesso e che perciò si fa tramite nel discernere i tempi, nel decidere il momento giusto per spingere Gesù a esporsi con le sue singolarissime responsabilità: Maria mostra a Gesù che il tempo dell’attesa è finito per il mondo, che l’universo aspetta proprio lui, la sua Parola che annuncia il disegno definitivo di Dio.

Ma c’è di più: l’invito di Maria ai servi, il suo imperativo «fate tutto quello che vi dirà», non è funzionale solo a risolvere il problema della mancanza di vino, ma costituisce un annuncio inatteso: l’annuncio che tra Gesù e tutti noi si realizzerà sì quel rapporto nuziale di cui abbiamo detto ma solo dentro una logica di affidamento obbediente. Chi mai avrebbe detto che l’acqua sarebbe diventata il vino migliore? E chi mai avrebbe sperato che tra noi e Dio potesse nascere una relazione d’amore così affascinante e coinvolgente?

In realtà l’intero contenuto del Vangelo può essere riassunto nei termini di questo affidamento di Gesù Sposo alla Chiesa sua Sposa e, reciprocamente, della Chiesa a Gesù. E il tramite, ancora una volta, sarà Maria, sotto la croce, dove la “donna” (Maria madre della Chiesa) sarà feconda di altri figli (Giovanni) resi nuovi dal “vino” più vero e fecondo di quello di Cana: il sangue lì versato per noi. Questo “vino vero” che fa alleanza e ci spalanca la porta della fede altro non è che l’ingresso in una relazione d’amore che solo Dio poteva sognare e realizzare per noi. E non è questo il “miracolo”?

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