20 giugno - Dodicesima del tempo ordinario



Luca (9,18-24)


    Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».


La gente e il discepolo

«Ma voi chi dite che io sia?» (Lc 9,20). La domanda è decisiva. Il rapporto con il Maestro, la sua conoscenza, il cammino alla sua sequela impongono una risposta. Il discepolo sa che non può sottrarsi. Chi è per me Gesù di Nazaret? Vola la provocazione attraverso le corde dei pensieri, supera le barriere del tempo, entra nel quotidiano evolversi dei fatti e intorno la voce delle moltitudini affascinate dal carisma del profeta, quel giorno e oggi, segna tentazioni di possibili interpretazioni. Mai uomo ha mosso tanta attenzione, nessuno è stato mai capace di suscitare dibattito, interesse contrario o a favore, passioni amorose o rifiuti contrastanti. Nessuno più di lui nel tempo resta attuale, forte di una Parola che mai lascia indifferenti.

    La gente dice che Gesù è uno dei grandi uomini, uno tra i tanti, anche se eletto, forse ritornato in vita per rendere testimonianza al vero. La potenza dell’esperienza del Maestro è sconvolgente e come tale provoca rifiuto o ammirazione. È giusto che la gente si lasci affascinare dalla sua storia, ma la gente non è il discepolo, l’amico dello sposo si prende la responsabilità di indossare l’abito adatto.

    Il discepolo non è la gente, ne faceva parte prima. Come la moltitudine era stato toccato dal suo potere taumaturgico, dalla solarità del suo verso. Il discepolo è dietro il Maestro, conta i suoi passi, ruba i suoi sospiri, scruta la luce dei suoi occhi, è dietro di lui, gioiosamente, faticosamente: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Sì, il discepolo è costretto a non demandare ad altri il dovere della risposta, a non nascondersi in quel “si dice” generico. Lui, proprio lui, sa che per essere compagno di viaggio di Gesù dovrà dirgli il suo sì, affogare nel mare dell’incontro la parola decisiva della sua fede: «Ma voi chi dite che io sia?... Il Cristo di Dio» (Lc 9,20).

    Un incontro che reclama non una semplice risposta di parole, ma parole semplici che restano fissate come un patto, un giuramento, tra il Maestro e il discepolo. C’è da chiedersi se le nostre comunità siano gremite da discepoli o dalla gente. Se le parole che noi passiamo restano confuse tra le tante parole di chi pensa che comunque ci sia qualcosa dall’altra parte, nell’oltre, o sono la Parola che comanda un’adesione, una risposta coinvolgente. «Tu», sembra chiedere il Maestro a ciascuno di noi, «tu, proprio tu, appartieni alla gente o vuoi essere discepolo?».

    Dalla risposta dipenderà il seguito del dialogo, l’apertura dello scrigno che sottovoce svelerà, a chi avrà la costanza di seguire il passo del Maestro, che cosa significhi «risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22).

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Rito romano

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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