Luca
(9,18-24)
Un giorno Gesù si trovava
in un luogo solitario
a pregare. I discepoli erano
con lui ed egli pose loro
questa domanda: «Le folle,
chi dicono che io sia?».
Essi risposero: «Giovanni
il Battista; altri dicono
Elìa; altri uno degli antichi
profeti che è risorto».
Allora domandò loro:
«Ma voi, chi dite che
io sia?». Pietro rispose:
«Il Cristo di Dio». Egli
ordinò loro severamente di
non riferirlo ad alcuno. «Il
Figlio dell’uomo – disse –
deve soffrire molto, essere
rifiutato dagli anziani,
dai capi dei sacerdoti
e dagli scribi, venire ucciso
e risorgere il terzo
giorno». Poi, a tutti diceva:
«Se qualcuno vuole venire
dietro a me, rinneghi sé
stesso, prenda la sua croce
ogni giorno e mi segua».
La gente e il discepolo
«Ma voi chi dite che io sia?» (Lc
9,20). La domanda è decisiva. Il
rapporto con il Maestro, la sua
conoscenza, il cammino alla sua sequela impongono
una risposta. Il discepolo sa che
non può sottrarsi. Chi è per me Gesù di Nazaret?
Vola la provocazione attraverso le corde
dei pensieri, supera le barriere del tempo, entra
nel quotidiano evolversi dei fatti e intorno
la voce delle moltitudini affascinate dal carisma
del profeta, quel giorno e oggi, segna
tentazioni di possibili interpretazioni. Mai uomo
ha mosso tanta attenzione, nessuno è
stato mai capace di suscitare dibattito, interesse
contrario o a favore, passioni amorose
o rifiuti contrastanti. Nessuno più di lui
nel tempo resta attuale, forte di una Parola
che mai lascia indifferenti.
La gente dice che Gesù è uno dei grandi uomini,
uno tra i tanti, anche se eletto, forse ritornato
in vita per rendere testimonianza al vero.
La potenza dell’esperienza del Maestro è sconvolgente
e come tale provoca rifiuto o ammirazione.
È giusto che la gente si lasci affascinare
dalla sua storia, ma la gente non è il discepolo,
l’amico dello sposo si prende la responsabilità
di indossare l’abito adatto.
Il discepolo non è la gente, ne faceva parte
prima. Come la moltitudine era stato toccato
dal suo potere taumaturgico, dalla solarità
del suo verso. Il discepolo è dietro il Maestro,
conta i suoi passi, ruba i suoi sospiri,
scruta la luce dei suoi occhi, è dietro di lui,
gioiosamente, faticosamente: «Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua»
(Lc 9,23). Sì, il discepolo è costretto a non demandare
ad altri il dovere della risposta, a
non nascondersi in quel “si dice”
generico. Lui, proprio lui, sa che
per essere compagno di viaggio di
Gesù dovrà dirgli il suo sì, affogare
nel mare dell’incontro la parola
decisiva della sua fede: «Ma voi
chi dite che io sia?... Il Cristo di Dio» (Lc 9,20).
Un incontro che reclama non una semplice risposta
di parole, ma parole semplici che restano
fissate come un patto, un giuramento, tra
il Maestro e il discepolo. C’è da chiedersi se
le nostre comunità siano gremite da discepoli
o dalla gente. Se le parole che noi passiamo
restano confuse tra le tante parole di chi
pensa che comunque ci sia qualcosa dall’altra
parte, nell’oltre, o sono la Parola che comanda
un’adesione, una risposta coinvolgente.
«Tu», sembra chiedere il Maestro a ciascuno di
noi, «tu, proprio tu, appartieni alla gente o
vuoi essere discepolo?».
Dalla risposta dipenderà il seguito del dialogo,
l’apertura dello scrigno che sottovoce
svelerà, a chi avrà la costanza di seguire il
passo del Maestro, che cosa significhi «risorgere
il terzo giorno» (Lc 9,22).
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