20 novembre 2011-Gesù Cristo Re dell’universo


Matteo (25,31-46)


«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. [...] Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, [...] perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”».


Regno d’amore e giustizia

«Venite, benedetti dal Padre mio» (Mt 25,34). Nella festa di Cristo Re, il brano di Matteo, proposto alla fine di quest’anno liturgico, sembra chiudere tutte le parabole sull’attesa del Regno. Questa volta il Maestro non usa metafore, ma spiega chiaramente con quale metro saremo giudicati «quando il Figlio dell’uomoverrà nella sua gloria» (Mt 25,31). Seduto sul trono di Dio, il Cristo Re separerà i giusti, che riceveranno in eredità il Regno, dagli altri.

I motivi che giustificano l’accoglienza: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...»(Mt 25,35) ricalcano l’insegnamento dell’Antico Testamento: dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi, ospitare i forestieri, visitare gli infermi (cf. Gb 22,6-7; 31,17.19; Is 58,7) ). Eppure, due differenze fondamentali determinano l’accesso al nuovo Regno preparato per noi fin dalla creazione del mondo (cf. Mt 25,34).

In primo luogo, il Regno è per tutti, senza alcuna distinzione di razza e cultura: davanti al Cristo Re «verranno radunati tutti i popoli» (Mt 25,32) a sottolineare che la proposta del Vangelo non è solo per il popolo eletto e nemmeno per singoli individui, ma per una Chiesa, una comunità, un popolo, il popolo dei giusti che, impegnati a costruire un mondo migliore, saranno benedetti dal Padre. Essere cristiani è certo una scelta individuale, ma implica anche una scelta di campo per combattere insieme, come gruppo, le strutture dell’ingiustizia che generano fame, sete, solitudine.

In secondo luogo, le opere di carità non vanno compiute come in uno scambio commerciale
per ottenere una ricompensa da Dio. Sono meritevoli solo le opere sgorgate dal cuore, compiute senza alcun calcolo per amore del prossimo. Chiunque ama il suo prossimo come sé stesso, ama il Signore, anche se non ha mai conosciuto Gesù: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato?» (Mt 25,37).

La meraviglia espressa in queste parole, sia dai giusti che dagli altri, sta a indicare che solo l’amore, senza alcuna finalità, rende meritevoli le nostre azioni. Se «Dio è amore» (1Gv 4,8), solo chi ama conosce Dio: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Chi invece vive senza amore, chi non ha pietà per il prossimo, non conosce Dio e determina da sé la sua condanna a una vita priva di senso. Mai avrà la gioia di scoprire nel volto di chi ha fame, di chi ha sete, di chi è straniero, nudo, malato, prigioniero, il volto del Cristo risorto che, sconfitta la morte, ci viene incontro ogni giorno attraverso i suoi fratelli più piccoli a chiederci aiuto per trasformare la terra in un regno di amore e giustizia e condurci a verdi pascoli e ad acque tranquille.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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