23 ottobre 2011 - XXX del Tempo ordinario


Matteo (22,34-40)


Un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il più grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il più grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


Un amore concreto

«Maestro, nella Legge, qual è il più grande comandamento?» (Mt 22,36). È la domanda che un dottore della Legge pone a Gesù «per metterlo alla prova» (Mt 22,35). Probabilmente sperava che considerasse un precetto più grande degli altri, ben sapendo che la Legge andava osservata nella sua interezza. Ma Gesù risponde: «Amerai il Signore tuo Dio... e il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,37), ribadendo così l’importanza e soprattutto l’inscindibilità del primo e del secondo comandamento, per sottolineare l’unico principio che dà valore agli innumerevoli precetti.

Contro la tentazione di frazionare la parola di Dio in un’infinità di norme per giustificare la propria condotta con faziose interpretazioni e false questioni morali, Gesù, coerente al suo
insegnamento, afferma: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40).

Non può esservi infatti nessun comandamento che prescinda dall’amore: «Non molesterai il forestiero... Non maltratterai la vedova o l’orfano... Se tu presti denaro a qualcuno... non ti comporterai con lui da usuraio » (Es 22,20-24). È evidente che al di là delle tante situazioni contingenti, chi agisce con amore e per amore, in qualsiasi contesto, può essere certo di aver agito secondo la legge di Dio.

Di fatto, contro la sterile osservanza di precetti, legati più alle tradizioni che all’amore per il Signore, Gesù più volte ribadisce il valore dell’intenzione. Ai farisei che accusavano i suoi discepoli di non lavarsi le mani prima di toccare il cibo, risponde: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca» (Mt 15,11).

Ciò che a Dio importa sono i sentimenti che l’uomo ha dentro di sé: «Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi» (Mt 15,19). E l’amore per Dio diventa pura astrazione se, invece di esprimersi nell’amore per il prossimo, si perde in pratiche rituali: «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).

L’amore per Dio si misura nel mettere in pratica la sua Parola: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25,35). Non c’è altro modo di amare il Signore che amare il prossimo: «Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore» (1Gv 4,20). E l’amore per il prossimo parte dall’amore di sé, non in termini narcisistici, ma come rispetto di sé: del nostro corpo, tempio dello Spirito, dei nostri limiti e dei nostri talenti, nel riconoscimento della nostra dignità di creatura amata da Dio, così come siamo.

«Ama e fa’ ciò che vuoi», diceva sant’Agostino, e allora cominciamo ad amare noi stessi e ameremo il prossimo, ameremo Dio «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente» (Mt 22,37).

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