25 dicembre 2010 e 26 dicembre 2010


25 dicembre
Natale del Signore


Luca (2,1-14)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di
tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme: egli
apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria
sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.



Il bambino nato per noi


«Un bambino è nato per noi» (Is9,5). È Natale, la profezia di Isaia si è avverata, il Verbo si è fatto carne, è entrato nella nostra storia nei panni di un bambino indifeso. La nascita del Salvatore rompe da subito ogni schema di grandezza umana: «Troverete un bambino… che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). Dio sceglie contro ogni aspettativa di nascere povero tra i poveri, per innalzare gli umili e rimandare i ricchi a mani vuote. E non è un caso che il primo annuncio della salvezza viene fatto ai piccoli della terra, ai pastori che, lontani dal rumore del mondo, non sono contaminati dalla sapienza terrena. Come un sole che sorge dall’Alto «per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre» (Lc 1,79), Gesù nasce per aprire le porte alla speranza «e dirigere i nostri passi sulla via della
pace» (Lc 1,79).

Una pace diversa da quella che dà il mondo, una pace che proviene dall’Alto: «È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a  rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2,11-12).

Una pace che va costruita giorno dopo giorno lasciandosi alle spalle le opere delle  tenebre: la logica del profitto a ogni costo, l’individualismo e l’indifferenza, la volgarità e la
violenza, per essere pronti a soccorrere gli ultimi della terra, chiunque nel bisogno svela
il volto di Cristo.

Chi non si chiude nel suo egoismo, come gli abitanti di Betlemme, ma è pronto ad  accogliere il Bambino nella culla del suo cuore, comprende la grandezza del dono di Dio e costruisce la pace sulla terra. Commuoversi a Natale è facile, ma la festa durerà un solo giorno se non siamo pronti a rispondere con fede al Signore Gesù. Nella scelta dei valori posti a fondamento della nostra esistenza, nella carità che copre la moltitudine dei nostri peccati vi è l’unica risposta che il Bambino appena nato attende da noi.

La sua nascita illumina di gioia tutto il creato e ognuno di noi può sentirsi illuminato dalla grazia se come i pastori saprà scoprire nel sorriso del Bambino avvolto in fasce il sorriso di Dio. Nella notte santa, in ogni famiglia il più piccino adagia il Bambinello di creta nel presepe di casa. Se anche noi ci accostassimo alla grotta con la meraviglia di un bambino, con la semplicità del cuore, come i poveri di Jahweh, liberi dalle infinite sovrastrutture dell’epoca dell’avere che ha soffocato l’essere, sentiremo il canto di gloria degli angeli in cielo e la pace di Cristo abiterà in noi. Quanti a Natale decidono con fede di cambiare vita, vedranno realizzata la profezia di Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).


26 dicembre
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe


Matteo (2,13-15.19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode,  perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella  terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».


Sacralità di un’istituzione


«Fuggi in Egitto... Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). In questa domenica, dedicata alla Santa Famiglia, Matteo ripercorre i difficili inizi dell’infanzia di Gesù: la fuga in Egitto, il ritorno nel paese d’Israele, la scelta di Giuseppe di abitare a Nazaret per proteggere il bambino dal re della Giudea, Archelao, successore di Erode. Certamente l’intenzione dell’evangelista è quella di affermare che Gesù è il Messia, che subisce la stessa sorte del popolo che viene a salvare. Il rimando al profeta Osea (11,1), «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Mt 2,15), allude senza dubbio all’uscita di Israele dall’Egitto, così che nel ritorno di Gesù in Palestina per Matteo si adempie la Scrittura: Gesù è quindi il liberatore, il fondatore del nuovo popolo, il nuovo Mosè in cui si realizzano
le promesse di Dio.

Tuttavia, nel Vangelo si sottolinea soprattutto l’unità della famiglia di Nazaret, sempre in ascolto della voce di Dio, l’angelo del Signore, che guida i suoi passi verso la salvezza. Giuseppe e Maria, custodi del piccolo Gesù, ci mostrano come il riscoprire insieme i valori  della fede garantisca, anche nelle prove, la solidità di una famiglia costruita sulla roccia e non sulla sabbia.

Mai come oggi, in un’epoca in cui altri valori, altri modelli stanno distruggendo l’unità della famiglia è necessario riscoprire nell’esempio della Santa Famiglia la sacralità di una istituzione che trova in Cristo l’unico Maestro, il legame profondo di ogni famiglia che si professa cristiana. L’unità è la strada per difendere i bambini dalla strage degli innocenti.
È strano come in un tempo in cui si difendono con forza i diritti del fanciullo, i bambini spesso restano ai margini di una vita familiare convulsa, disordinata, dove non c’è tempo per loro. O peggio, in famiglie dilaniate da separazioni laceranti, diventano vittime  innocenti delle decisioni degli adulti.

E in questo vuoto, distratti dalla corsa al profitto, dal consumismo sfrenato, dalla smania di divertirsi, molti genitori, delegando ad altre agenzie l’educazione dei figli, non si accorgono che i potenti di ogni tempo tessono la loro tela. I bambini e gli adolescenti, ormai oggetto privilegiato del mercato, vengono plasmati a loro insaputa a essere piccoli ma grandi consumatori a oltranza. Spogliati dei loro sogni più sani, vengono indotti a desiderare tutto e subito per poi diventare giovani insoddisfatti, facile preda di paradisi artificiali.

Il calore di una famiglia unita, attenta agli autentici bisogni dei figli, in cui ognuno  contribuisce alla crescita dell’altro, sul modello della famiglia di Nazaret è l’unico modo per
evitare che Erode continui la sua strage.

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