Luca
(11,1-13)
Gesù si trovava in un
luogo a pregare; quando
ebbe finito, uno dei suoi
discepoli gli disse:
«Signore, insegnaci
a pregare, come anche
Giovanni ha insegnato
ai suoi discepoli». Ed egli
disse loro: «Quando
pregate, dite: “Padre, sia
santificato il tuo nome,
venga il tuo regno; dacci
ogni giorno il nostro pane
quotidiano, e perdona
a noi i nostri peccati,
anche noi infatti
perdoniamo ad ogni
nostro debitore,
e non abbandonarci
alla tentazione”». [...]
Ebbene, io vi dico:
chiedete e vi sarà dato,
cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto.
Perché chiunque chiede
riceve e chi cerca trova e
a chi bussa sarà aperto».
La tenerezza del Padre
«Signore, insegnaci a pregare» (Lc
11,1). Abbandonarsi a Dio e sentirsi
protetti dall’amore del Padre
è per il discepolo fonte di coraggio, certezza
di essere sostenuti nell’ora della prova. Le parole
non sempre, quasi mai, riescono a descrivere
il bisogno di tenerezza e protezione
di chi cerca in Dio l’abbraccio di fortezza. Le
parole sono deboli quando tracciano
percorsi che tentano di sfondare il cielo
e provocare risposte alle domande
di senso che il credente pone all’Alto.
Tutta la Sacra Scrittura è un dialogo
tra le nostre misere, fragili, contraddittorie
parole e la Parola che non tradisce,
che rende possibile la comunicazione impossibile
tra il tutto e il niente.
Ma il discepolo chiede le parole adatte,
capaci di sfondare il tempo e agguantare
l’eterno. Non è follia che pretenda la risposta
dal Dio degli eserciti e le parole adeguate per
presentarsi dinanzi al roveto ardente senza rimanere
fulminato dalla potenza di Dio. Il povero
invoca e Dio l’ascolta, ripete il salmista, e
la sua risposta è sollievo nella sofferenza, lotta
per la giustizia, braccio teso in battaglia. Ma il
Maestro di Galilea sorprende il povero che invoca.
Spiazza il discepolo che cerca parole per
raccontare la vita al Signore degli eserciti, che
resta il Dio della potenza, il totalmente Altro
che pretende giudizio di bestemmia e debita
condanna al solo pronunciare il suo nome.
Gesù supera il desiderio delle parole richieste,
accetta la sfida e provoca il discepolo
a chiedere perché gli sarà concesso, a bussare
perché gli verrà aperto, a cercare perché
troverà ma a una condizione: aprirsi alla conoscenza
vera di quel Dio a cui si rivolge perché
mostrando il suo volto conceda
la grazia. Pregare è mettersi
nudi dinanzi alla verità di Dio, è
abbandonarsi al suo progetto, è
cercare il suo regno, è fare la sua
volontà, è essere pronti a condividere
il pane, benedizione di Dio, e disponibili
a rendere il perdono.
Pregare è trovare le parole che insieme dicono
la fedeltà del discepolo e la consapevolezza
di potersi fidare di un interlocutore che
non mente, non tradisce, non abbandona,
non vuole la morte del peccatore ma che trovi
la strada per tornare a casa.
Il Maestro sconvolge i
suoi compagni quando,
avendogli chiesto: «Insegnaci
a pregare», più che parole consegna l’assurdo
del Vangelo: Dio ti è padre, tuo padre,
anzi di più, Abbà, babbo, papà. Balbettio di
tenerezza che solo un bimbo riesce nella
sua semplicità a pronunciare, pronto a cercare
la carezza della guancia paterna che sfiora
la propria, a sentire le sue braccia potenti tirarlo
in alto al petto e avvolgerlo di sicurezza.
Quando pregate dite: «Padre», e lasciatevi fasciare
dalla tenerezza di un Dio diverso.
Pubblicato il - Commenti (0)