9 ottobre 2011 - XXVIII del Tempo ordinario


Matteo (22,1-14)


«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. [...] Allora il re [...] disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. [...] Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


Chiamati alla vera gioia

«Molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22,14). Come il re della parabola mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze del figlio, così noi tutti siamo chiamati a partecipare alla gioia del Regno. Una gioia diversa da quella che propone il mondo, perché chi accetta l’invito, chi aderisce al progetto di Cristo, assapora la vita in maniera diversa. Libero dalla schiavitù del possesso, non si lascia sedurre da falsi bisogni, né si lascia guastare la gioia della festa da inutili affanni. Iniziato «alla sazietà e alla fame» (Fil 4,12), fiducioso cammina
nei sentieri di Dio «che colmerà ogni bisogno » (Fil 4,19).

La sua gioia non deriva dal benessere materiale, ma da quello interiore di chi, in pace con sé stesso, è felice di spartire il pane con gli affamati: «Bontà e fedeltà gli saranno compagne tutti giorni della sua vita» (cfr. Sal 23,6). Chi si appresta a partecipare alla festa sa essere felice di ogni piccola cosa e quando il dolore visita la sua storia non teme alcun male, ma prega come il salmista: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» (Sal 23,1).

La gioia del Regno, a cui tutti siamo chiamati, ricchi e poveri, sani e malati, «cattivi e buoni», la sperimenta chi nel miracolo della vita, aperta da Cristo all’eternità, indossato l’abito della festa, sa cogliere l’infinita bontà del Signore che «per tutti i popoli preparerà un banchetto di grasse vivande... asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,6.8).

Non tutti, però, sono interessati a partecipare al banchetto nuziale, chi è preso dai propri affari, intento ad accumulare ricchezze, preferisce rinunciare alla festa. Altri, invece, accettano l’invito ma, come nella parabola, non si curano di indossare l’abito nuziale, un abito pulito e decoroso: «Beati coloro che lavano le loro vesti» (Ap 22,14).

Certo, sembrerebbe un paradosso se invitati alle nozze anche quanti vivono ai crocicchi delle strade, poi si butta fuori chi non ha un vestito adeguato. Qual è allora l’abito a cui si allude? È l’abito di chi abbandona le vie degli empi e si lascia rivestire dalla grazia di Dio: «Mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto col manto della giustizia» (Is 61,10). Molti, infatti, pur essendo chiamati, continuano a camminare nelle tenebre e legati mani e piedi alle loro stesse menzogne, si sentono fuori dalla gioia del Regno: «Fuori... chiunque ama e pratica la menzogna» (Ap 22,15).

Se allora vogliamo essere felici, indossiamo la veste splendente, quella delle opere giuste (cfr. Ap 19,8), l’abito nuziale di chi, illuminato da Cristo, partecipa con fede alla gioia della festa. Consapevole delle proprie debolezze, ripete a sé stesso: «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13).

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Rito romano

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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