23 maggio 2010 - Domenica di Pentecoste

Giovanni (14,15-16.23-26) 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»   

Il fuoco dello Spirito

«Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Il Maestro di Galilea lo aveva promesso, ora si realizzava il suo disegno, mai avrebbe abbandonato il gregge che il Padre gli aveva affidato: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18), vi manderò un altro Consolatore. Un tuono fragoroso squarciò la falsa quiete del tempo e una luce, come di un lampo, scosse la presunzione dell’arroganza umana, un vento impetuoso bussò alla porta del cenacolo e i compagni di cordata del Crocifisso risorto uscirono allo scoperto, avvolti dalla luce di una nuova consapevolezza. Gridarono la fede, la paura era stata messa a tacere da una voce più forte, la verità non poteva essere più taciuta.
Un fuoco ora si era posato nelle loro membra e bruciava come fiamma inestinguibile di amore, capace di far correre le parole, quelle costrette alla gola per troppo tempo, non pienamente comprese quando la sofferenza, il tradimento, la fuga, la difficoltà dell’abbandono  ne impedivano il significato. Parole ricevute dal Maestro di Galilea ora prepotentemente riemerse per potere dello Spirito e liberate perché chiunque, di qualsiasi lingua fosse padrone, ne ricevesse la forza e la carezza. Il fuoco dello Spirito provocava coraggio, il coraggio smuoveva la paura del racconto sottoposto a pietre di compromesso, il racconto emozionava di pensieri, rimandava ad affetto condiviso, a passioni e lotte compagne di avventura, a visioni di avvenimenti passati insieme, capaci ora di dare forza alle membra fiacche, di dare corsa ai piedi stanchi. Fuori, uscirono fuori, allo scoperto, gli apostoli del Maestro, allo scoperto sfidarono l’opinione avversa, il giudizio dei benpensanti, la presunzione dei dotti ragionamenti, fuori.  Allo scoperto mostrarono sé stessi nudi, come nuovi nati pronti a rendere ragione del gioioso vagito di una nuova nascita. Per la forza dello Spirito, per il loro coraggio, scoperto mentre correva Pentecoste, tanti poterono acchiappare quel vagito e commossi sognarono di poter come loro piangere di gioia: «Erano stupiti, e fuori di sé per la meraviglia» (At 2,7). Il grido del coraggio, nato per potere dello Spirito, fece giustizia dell’antico danno che provocò la presuntuosa torre, sfida temeraria al cielo avvertito tiranno. Quel grido fece giustizia di lingue disperse a confondere la fraternità umana, parole di uomini, difficili nodi da sciogliere, ora suoni di compagnia per fratelli che si conoscono e riconoscono. Il tempo dello Spirito è allora il tempo del coraggio della fede, i templi bui di un credo museale raccontano invece di lingue confuse, attaccate ai palati, incapaci di correre la vita.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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