Luca (2,114)
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Gesù è venuto per me!
«La gloria del Signore li avvolse di luce »: è questo l’effetto che il Natale suscita nei primi destinatari dell’annuncio della nascita del Salvatore, il Cristo, il Signore. Messi in sequenza, questi tre titoli che il Vangelo assegna a Gesù sono i titoli imperiali: chiunque avrebbe detto che si trattava di Cesare, dell’uomo più potente della terra, di colui che, assicurando i confini dell’Impero romano da invasioni, “salvava” le popolazioni conquistate, sia difendendole da possibili prepotenze sia arricchendole di prestigio e di onore, come meritava un impero ormai esteso sino ai confini del mondo allora conosciuto.
Ma non è proprio così! Lo si capisce subito dal segno proposto all’attenzione dei pastori: andando, troveranno un bambino, in fasce, adagiato in una mangiatoia: un piccolo che non ha neppure una casa! Spesso mi soffermo a pensare come mai il Padre non abbia scelto tempi e luoghi “migliori” per il Natale di suo Figlio: un tempo di pace nei palazzi caldi e sicuri del potere o persino nelle stanze del Tempio, a Gerusalemme.
Da solo mi do la risposta: se avesse scelto di agire così, sarebbero venuti non gli angeli ma i banditori di Erode ad annunciare la nascita di un potente come lui ai suoi pari e sarebbero rimasti esclusi gli ultimi. Scegliendo invece di farsi ultimo, il Signore Gesù crea una nuova e profonda consapevolezza in tutti noi: possiamo dire che senz’altro è venuto per me! E anche Erode avrebbe potuto dire: se è venuto per i più piccoli delmio regno, vuoi che non sia venuto anche per me?
Dunque il Natale è sempre la festa della povertà, nel senso che sono i poveri i primi a riconoscere che Dio non è un altro dei potenti sulla scena del mondo. Se penso a Dio come all’Onnipotente devo in qualche modo ricredermi: se in Dio c’è onnipotenza, se Dio può tutto, non può esserlo che amando. Egli è sì onnipotente, ma nell’amore: per me e per quanti con me condividono i giorni, il cibo, il lavoro, la casa... Proprio perché sono fragile e sconosciuto, Dio mi conosce, mi ama oggi e sempre, è per me, sta dalla mia parte e, in Gesù, è come me: si è fatto sconosciuto ai più e si è manifestato ai semplici.
Ma se non fossi semplice? Se non fossi povero oppure se disprezzassi la semplicità? Se scegliessi la compagnia dei potenti e l’agiatezza o l’arroganza di certi ricchi... insomma, se fossi ricco e chiuso in me stesso? In questo caso Gesù aprirebbe per me un tempo di attento ascolto, mi offrirebbe la grazia di apprezzare il silenzio e l’umiltà in cui le cose belle risplendono sempre nuove e possibili, perché il Padre le vuole così per noi. Non ci resta che la conversione alla semplicità e alla purezza di cuore che nulla antepone all’essere amati da Dio. È di questo amore che ci parla oggi il Natale cristiano!
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