03
apr
Con l’arrivo della primavera le statistiche mediche dicono che sei italiani su dieci con età tra i 30 e i 60 anni rischiano di andare incontro ad un esaurimento nervoso con i tipici sintomi di stanchezza cronica, umore basso, abulia, insonnia, disturbi digestivi.
Insomma un mixing temibile di sintomi che talvolta sfociano in una depressione.
La causa? In marzo e aprile siamo inondati all’improvviso di luce, tepore e la natura ci chiede di partecipare al suo risveglio, di seguire i suoi frenetici ritmi, di liberare la vitalità e gli istinti primordiali, primi tra i quali quelli di natura sessuale.
Ma la nostra cultura, attraverso millenni di generazioni, ci ha abituato ad imbrigliare, attraverso il rigoroso controllo della mente, i nostri istinti. Insomma, ormai per abitudine da tempo acquisita, tendiamo a reprimere l’ondata di desideri, di emozioni e di sensazioni che sgorgano dal nostro subconscio.
Anche i giovani sono vittime di questa sindrome primaverile perché a scuola giocano troppo poco e a casa sono pressati da continui impegni o di studio o sportivi. Così quando arriva la primavera non siamo in grado di rompere la routine quotidiana e di uscire dal nostro guscio perché abbiamo già esaurito tutte le nostre forze in inverno, ossia nella stagione nella quale invece la natura ci chiedeva di riposare e di assecondare i ritmi. Unica consolazione per i “meteoropatici da primavera”: via via che la stagione assume connotati più stabili e più estivi, anche i sintomi dell’esaurimento tendono a dissolversi.
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03 aprile 2012 - Commenti
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06
mar
Quando le particelle dell’atmosfera hanno un raggio r comparabile con quello della lunghezza d’onda della radiazione solare – come nel caso del pulviscolo o delle goccioline o di cristalli di ghiaccio delle nubi che hanno dimensioni dell’ordine di qualche decina di micron - allora la diffusone segue la legge di Mie, ovvero i singoli colori della luce solare sono diffusi in tutte le direzioni con la medesima intensità cosicché la radiazione solare conserva il suo naturale colore bianco. Ecco perché le nuvole ci appaiono bianche! Tuttavia, se la nube ha uno spessore notevole - come, ad esempio, nei cumulonembi - allora la quantità di luce diffusa in grado di riemergere verso il basso, alla base, è alquanto modesta cosicché la nube ci appare di colore scuro. La luce bianca diffusa dalle impurità tende ad offuscare il colore blu del cielo. Di conseguenza un cielo biancastro è sintomo inequivocabile di un’elevata concentrazione di aerosol (polveri e/o goccioline di foschia).
Nelle ore centrali del giorno, in atmosfera libera da nubi e da impurità, i raggi solari, essendo perpendicolari alla superficie terrestre, attraversano uno strato atmosferico relativamente di piccolo spessore e pertanto anche la piccola porzione di luce visibile soggetta a scattering verso il blu riesce comunque a raggiungere quasi integralmente il suolo, cosicché la luce solare mantiene quasi intatta la sua composizione. Ecco perché il sole a mezzogiorno ci appare giallastro, che è il colore predominante nella radiazione visibile. Ma al tramonto, quando il sole è appena 4-5 gradi sopra l’orizzonte, i raggi solari debbono percorrere un tragitto circa 12 volte più lungo che a mezzogiorno. Anche in questo caso all’inizio il colore più diffuso è ancora il blu, ma man mano che il raggio luminoso avanza nell’atmosfera tende ad esaurire – perché dispersa per diffusione – la componente blu e poi quella verde e quindi resta, alla fine del tragitto, il giallo-arancio e dunque la luce assume tale colore, essendo gli altri ormai assenti. Ecco perché in atmosfera limpida il sole al tramonto ci appare arancione.
Come ci apparirebbe invece il tramonto qualora nell’aria ci fossero anche molte impurità, come polveri e goccioline di nubi? In questo caso gli aerosols provocano anche un forte scattering nel giallo e nel verde, i colori predominanti nella radiazione solare. Pertanto via via che il raggio luminoso avanza dal sole verso il suolo, perde - oltre al blu diffuso dalle molecole d’aria - una porzione crescente di giallo e di verde cosicché alla fine predomina il rosso, colore meno coinvolto nei processi di diffusione. Ecco perché con aria inquinata il sole al tramonto ci appare rosso.
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06 marzo 2012 - Commenti
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17
gen
Sembra che vi sia una rispondenza tra colori e tratti della personalità; il rosso è il colore dell’energia vitale e delle passioni e chi sa usarlo con equilibrio denota una buona vitalità. Sempre tra i colori “caldi” il giallo segnala gioia di vivere e piacere del contatto con gli altri (essere persone solari… sarà un caso che si prenda spunto dal colore del sole?). Il verde, non a caso colore della speranza, è legato alla perseveranza, fiducia in se stessi, equilibrio. Se siete persone ansiose allora il blu fa per voi: attenua l’ansia e le paure, infondendo pace e tranquillità. Il bianco, simbolo per eccellenza di candore, è sinonimo di luminosità e chi lo predilige denota creatività e desiderio di purezza e cambiamento.
Il colore dovrebbe influenzare anche le scelte in campo di arredamento, per creare un ambiente quanto più possibile positivo in ogni momento della nostra giornata. Qualche consiglio? Rosso, giallo e arancione, percepiti come positivi, sono adatti ai luoghi dedicati alla “ricreazione”; al contrario i colori “freddi” come blu, verde e grigio, percepiti come “statici” e “silenziosi”, sono perfetti per ambienti come ospedali e studi medici in generale. ma possono anche essere un buon espediente, nelle camere dei ragazzi, per “contenerne” l’esuberanza.
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17 gennaio 2012 - Commenti
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27
lug
Clima e salute
I
raggi ultravioletti (UV) possono provocare disturbi fastidiosi anche agli occhi, come la secchezza, perché sole e caldo fanno evaporare la pellicola lacrimale causando bruciori e difficoltà ad aprire le palpebre. Ecco perché i raggi UV debbono essere sempre filtrati con
occhiali protettivi. Non c’è nessun relazione tra quanto è scura una lente e la sua capacità di bloccare i raggi UV. Quello che invece importa è verificare che sugli occhiali ci sia il marchio CE, che ne garantisce la capacità filtrante. Gli occhiali scuri senza filtro UV non solo sono inutili ma addirittura dannosi: infatti con la lente scura le pupille si dilatano e in questo modo lasciano passare una dose maggiore di raggi UV. Oggi esistono anche
lenti alla melanina sintetica che offrono una maggiore protezione e una migliore percezione dei colori. E vi sono anche lenti a contatto con filtro UV. Le lenti CE debbono essere graduate in maniera di assorbire più o meno luce a seconda delle circostanze. In condizioni normali sono sufficienti lenti con un grado di assorbimento del 60-80%. Ma con luce intensa e con riverbero (in barca, sulla neve) il grado di assorbimento deve essere del 90-95%. Al momento dell’acquisto è pertanto necessario verificare che la lente riporti la categoria del
potere filtrante, indicato con un numero che va da zero a 4, secondo la seguente legenda:
0: per interni o cielo coperto; .
1: con cielo nuvoloso;
2: con cielo velato o in città;
3: luminosità forte, come al mare o in montagna;
4: luce solare molto forte come in alta montagna, sui ghiacciai, negli sport acquatici.
Sono
sconsigliate invece
lenti con una cromatura graduale (più scure nella parte superiore, più chiare nella parte inferiore), in quanto la luce non penetra soltanto dall’alto, anzi, in determinate situazioni, quali sull’acqua o sulla neve, la luce riflessa dal basso è particolarmente intensa. Porre attenzione anche alla
grandezza degli occhiali da sole: quelli di piccole dimensioni vanno di moda, ma non sono quelli che offrono la protezione migliore perché più sono grandi e più vi riparano dai raggi dannosi. In acqua o sulla neve dovrebbero essere utilizzati addirittura occhiali da sole con alette.
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27 luglio 2011 - Commenti
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13
giu
Il cielo di notte.
Curiosando
La risposta sembrerebbe a prima vista ovvia:
è buia perché non c’è la luce del sole. Risposta corretta ma non sufficiente poiché il buio della notte non è solo una questione di Sole ma soprattutto di stelle. Andiamo con ordine. Newton, immaginò un cosmo infinito e quindi con un numero di stelle infinito.
La teoria di Newton portò al cosiddetto Paradosso di Olbers. E’ noto che
la luce cala con il quadrato della distanza dalla sorgente ovvero se la distanza raddoppia, la luminosità cala di quattro volte. Se lo spazio fosse infinito (stelle in numero infinito) e omogeneo ( densità di stelle costante) allora il loro numero crescerà con il volume di spazio sferico considerato ovvero con la terza potenza della distanza.
Insomma se raddoppia la distanza, il volume, nonché il numero di stelle, cresce di otto volte. Mettiamo ora insieme i due concetti: con la distanza la luce delle stelle cala secondo una certa legge però il loro numero cresce ancor di più con un’altra legge cosicché la loro luminosità globale dovrebbe crescere proporzionalmente alla distanza.
Pertanto in un universo infinito anche la luminosità deve essere infinita e di conseguenza di notte il cielo dovrebbe luminoso.
Questo il paradosso di Olbers, dato che sappiamo che la notte è buia. Dove l’errore? Gli errori sono due:
1. l’Universo non è infinito e quindi contiene un numero limitato di stelle.
2. L’universo non è immobile. Nel 1929 Hubble scopre infatti che le galassie dell’universo si allontanano con velocità proporzionale alla distanza, fino ad un limite oltre il quale si allontanano alla velocità della luce, e non possiamo quindi vederle.
Insomma in un universo finito ed in espansione il numero di stelle non è infinito bensì diminuisce con la distanza di più dell’affievolimento della luce.
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13 giugno 2011 - Commenti
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06
giu
Curiosando
L'arcobaleno è generato dalla dispersione ottica della luce solare che attraversa gocce di pioggia rimaste in sospeso nell’aria dopo un acquazzone. La luce viene prima deviata nel penetrare nella goccia, riflessa sul retro della goccia e ancora deviata come lascia la goccia. La deviazione del raggio uscente rispetto a quello entrante va dai 137 gradi, per il colore rosso, ai 139.5 per il violetto. E’ in tal modo comunque che la luce bianca del raggio incidente viene scomposta nei colori dell’arcobaleno.
I raggi solari ovviamente colpiscono tutte le goccioline presenti in
quel momento nell’aria ma, dopo la doppia deviazione da parte delle
gocce, raggiungono il nostro occhio soltanto se l’angolo formato tra il
raggio uscente che arriva al nostro occhio e quello entrante è di
40-42° . La posizione dell’arcobaleno nel cielo è solo apparente tanto
che decresce e si allontana verso l’orizzonte man mano che il sole si
innalza nel cielo fino a scomparire quanto il sole è allo zenit.
Inoltre, via via che l’osservatore si avvicina, l’arcobaleno sembra
allontanarsi perché viene “ricostruito” dalle nuove goccioline di
pioggia, più lontane, che soddisfano la condizione dei 42 gradi.
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06 giugno 2011 - Commenti
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04
mag
Con la primavera le giornate si allungano, la luce diviene più intensa, i colori più brillanti. Gli occhi percepiscono ovviamente questa differenza cromatica rispetto agli sbiaditi e incolori raggi solari dell’inverno. Le informazioni luminose sono convogliate sulla retina e, da qui, in parte verso la corteccia visiva attraverso i nervi ottici e, in parte, verso la parte più profonda del cervello ove un nucleo ad hoc di cellule “quarzate”, misura, giorno dopo giorno, la lunghezza della giornata solare sulla base della numero di ore con luce o con buio.
E’ in questo modo che il cervello, ad inizio primavera, viene avvertito che l’ambiente atmosferico sta cambiando e che è giunto il momento di sintonizzare le funzioni vitali del corpo con l’allungamento progressivo del giorno e con il corrispondente accorciamento della notte. Ma non tutti riescono a stare al passo con gli incalzanti ritmi imposti all’organismo dal rapido aumento, giorno dopo giorno, del numero di ore con luce ed ecco allora quel senso di spossatezza e di stanchezza muscolare e quei faticosi risvegli al mattino che la saggezza popolare ha sintetizzato nel famoso proverbio: “Aprile, dolce dormire!”.
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04 maggio 2011 - Commenti
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