di Massimo Bettetini
Massimo Bettetini, 45 anni, è psicoterapeuta, psicologo della fiaba, poeta. Da anni si dedica al mondo della famiglia, dell'adolescenza, dell'editoria, amalgamando al lavoro "sul campo" quello di scrittore.
21 mar
La pagina di Facebook Essere genitori ha nell’ultimo fine settimana superato i 33.000 iscritti. E già questa è una bellissima notizia che premia il lavoro svolto e incoraggia il lavoro futuro.
Ci siamo chiesti recentemente, nell’ultimo post di questo blog, se Facebook può essere considerato un videogioco o cosa.
Talvolta, più che un videogioco, sembra un ampio contenitore ove chiunque può mettervi quel che vuole. Il fatto è, però, che quel che vi si inserisce può essere letto da molte e molte persone. Questo induce alla libertà di dire quel che pare, ma anche alla responsabilità di sapere che si è comunque ascoltati.
Nella nostra pagina Essere genitori è stato ultimamente “postato” di tutto. Alcuni post sono stati cancellati, non per pruderie moralistiche, quanto perché offensivi del buon senso e totalmente fuori luogo.
Altri sono davvero interessanti e propongono temi importanti quali la tutela della vita in un fiorire di richieste di aiuto, piccoli sfoghi, aiuti richiesti o resi disponibili, gioie causate dalla normalità dei piccoli fatti domestici, dalla venuta al mondo di un bambino; a dimostrare che la “community” è viva e vivace.
Al di là degli insulti trasversali censurati, le pagine Facebook non sono comunque il luogo adatto per divulgare ideologie. Lo si comprende dalle non risposte che giungono a post per l’appunto ideologici. Si verifica sempre, in questi casi, un intervallo di silenzio, come un imbarazzo dovuto a interventi stonati, fuori dal coro. La “community” desidera costruire insieme qualcosa di utile, in particolare di accompagnamento alla famiglia, alla paternità e alla maternità.
Qui i post fanno centro, si intavolano dialoghi autentici e l’ironia, elemento comunque positivo, trova dove muoversi per alleggerire. Anche in Facebook è palese la ricerca di un perché, di un significato che non chiede di essere ingabbiato in ideologie, ma di essere spiegato e partecipato, scoperto nello “srotolarsi” della vita.
Pubblicato il 21 marzo 2011 - Commenti (0)
09 mar
Rivisitando le pagine di Facebook inserite in Essere genitori, si resta colpiti dalla dicotomia talvolta lampante tra messaggi estremamente seri e messaggi normali, colloquiali, quasi da “amici a cui piace stare insieme”.
La realtà, si può pensare, sta dentro gli utenti. Cioè a seconda dello stato d’animo dell’utente, il suo messaggio acquisirà un maggior o minor peso specifico. A smentire questo ci può essere il desiderio di fuga da una realtà (in quel momento per qualsiasi ragione oscura) per proiettarsi nella dimensione del gioco condiviso che permea i social networks.
Al di là dei giochi di per sé offerti da Facebook, la medesima community può essere un gioco in cui vivere una vita “parallela”. Come un videogioco ove creare, trovare, inventare dialoghi e rapporti.
Ma Facebook è un gioco?
Sì e no, verrebbe voglia di rispondere; perché il dialogo è pur sempre tra persone reali che scambiano pensieri, foto, immagini, filmati, battute, successi, delusioni. Ma questa serie (che potrebbe essere ampliata) di cose oggettivate e trasmesse, nasce ed è diretta per l’appunto da persone a persone, suscitando tutta la normale reazione affettiva. E gli affetti, positivi o negativi, sono veri, a fior di pelle.
Quindi, Facebook può essere considerato un videogioco, ma delicatissimo, perché corre il rischio di mescolarsi alla realtà e di mistificarla.
Due sono allora i punti a nostro avviso importanti: il pieno rispetto dell’altro con cui si dialoga, e quell’ironia, maestra di vita, che sa far mantenere le giuste distanze e invita ad affrontare (ove possibile) le varietà della giornata con un sorriso.
Tutto questo non è scevro da pericoli. Qui entra in gioco il dialogo in famiglia. Bambini, ragazzi e adolescenti navigano con estrema facilità sul web: l’occhio attento, affettuoso e fiducioso dei genitori, ma specialmente “attento”, è chiamato a vegliare, non per bloccare, ma per evitare incontri che, se ravvicinati, possono essere fuorvianti e disturbanti, se non pericolosi.
Spazio al divertimento, quindi, ma intelligente.
Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (1)
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