Cosa resta nella vita della coppia

Il concilio Vaticano II e la vita della coppia. Prendendo spunto dalla Costituzione Gaudium et Spes si ricostruisce il clima del passato e lo si confronta con le novità attuali.

Come stavano le cose ieri

25/09/2012

Ci limitiamo al “come stavano le cose” in ordine al rapporto di coppia e alla pratica sessuale coniugale. Chi ha la fortuna di un po’ di memoria storica come gli scriventi (all’epoca del Concilio in età adolescenziale) sa bene come veniva concepito nella prassi l’amore coniugale: non per niente si parlava di “dovere coniugale”, a carico (esclusivamente) della donna cui era richiesto per dovere di sottostare ai diritti/ esigenze del marito! Naturalmente, tale dovere non riguardava solo il sesso, ma lo stesso clima familiare: la donna – angelo del focolare – doveva provvedere a tenere la casa, e l’eventuale collaborazione del marito era sentita – sia dall’uomo sia dalla donna! – come un grazioso favore donato a lei (“ti guardo i bambini”, “ti apparecchio la tavola” eccetera), di cui lei doveva essere grata, perché casa e bambini erano affar suo. Supponiamo che ai trentenni di oggi (neogenitori che collaborano alla conduzione della famiglia), simile descrizione suoni... antidiluviana e quasi non credibile; eppure provino a spostarsi indietro, se non ai loro genitori (già nell’area del ’68) ai loro nonni, poiché è a partire da questo spessore culturale che gusteremo la novità del Concilio e la trasformazione che esso potenzialmente introduce nella prassi della famiglia. Un ricordo personale di uno di noi: ero ragazzina quando nella grande casa multigenerazionale dei miei nonni proprietari terrieri c’era ben divisa la tavola per gli uomini nella sala (io vi ero provvisoriamente ammessa in quanto ospite) e la tavola delle donne in cucina, spesso non sedute, perché – dopo aver cucinato – dovevano servire gli uomini!

In questa atmosfera di non-pari dignità nella prassi, il modo in cui era vissuto il “dovere coniugale” era solo un epifenomeno, congruo al modo di concepire la vita. «Io non ho desiderio », diceva una donna e questa era la garanzia che non fosse una “poco di buono”; il piacere della donna, cioè, era un accessorio che i mariti non erano istruiti a coltivare; e così era in qualche modo socialmente approvata la scissione: la moglie “casta” nel letto e la prostituta “di fuoco” quasi fuori dalla porta di casa. L’indimenticabile scena del film Il gattopardo in cui il principe di Salina fa l’amore casto con una moglie rigida che si fa il segno di croce e poi bussa alla porta della sua “mantenuta”, non è solo da collocarsi nell’800 ma può essere spostata proprio nel clima culturale degli anni ’50 del secolo scorso. Altrimenti sarebbe inconcepibile la domanda frequente (anche se espressa in modi molto indiretti): «Ho fatto l’amore con mio marito (cioè: ho avuto un rapporto – ho accettato lo sfogo di mio marito eccetera) ieri sera; posso fare la Comunione stamattina?». Per sorridere abbiamo recentemente sentito con le nostre orecchie l’affermazione (rovesciata?) di oggi che suona «Gli ho detto di no, mi devo confessare perché ho commesso peccato a sottrarmi?».

Ebbene, questa storia del “confessarsi” nella sua più o meno esplicita svalutazione del sesso mette in luce la presenza di un altro co-autore di questa distorsione: il prete. L’impreparazione del parroco a capire la grandezza dell’atto coniugale che non aveva bisogno di assoluzioni era enorme, incredibile. Anche qui, un ricordo personale: durante l’omelia, ne ho ascoltato uno apostrofare dal pulpito: «Mariuccia, tu hai solo due figli, non è giusto!»: questo avveniva esattamente nel ’67, in un paesino della Brianza dove eravamo andati ad abitare come giovani sposi.

Da dove veniva questa impreparazione così congrua alla prassi culturale e sociale imperante? Lo diciamo con un tantino di arroganza – ce ne rendiamo conto – ma non ci viene da dirlo altrimenti: non solo dall’impreparazione degli studi in seminario (dove non si parlava di atti coniugali «onorabili e degni» come dirà il Concilio, ma solo di peccati contro il sesto comandamento), ma dalla convinzione che la scelta del celibato fosse una scelta “superiore” cui erano chiamati i pochi (cioè gli eletti), mentre la massa doveva seguire “la via larga”, cioè il matrimonio, notoriamente scelta di tipo B. In termini calcistici: uno sposato mai avrebbe potuto essere ammesso in serie A! Forse le orecchie del prete che si sentivano chiedere il permesso di accostarsi all’Eucaristia dopo un rapporto coniugale, erano del tutto adeguate a recepire simile domanda. Per anticipare, ascoltiamo Tonino Bello, questo profetico “figlio del Concilio” che, a proposito non solo della pari dignità del sacramento dell’Ordine e del sacramento del Matrimonio ma del loro reciproco e indispensabile connettersi, in uno scritto folgorante che porta il titolo “Verginità e Servizio” scriveva: «I vergini dicono ai coniugi: “C’è un al di là del vostro matrimonio, ed è il Regno di Dio, cioè la consumazione di tutta la realtà cosmica in Cristo”. Gli sposi soggiungono: “Anche noi rendiamo un servizio profetico. Noi siamo segno del matrimonio tra Cristo e l’umanità. Noi indichiamo a voi che il matrimonio con Cristo è il vostro stadio finale”. E i vergini rispondono: “È vero, voi siete un segno splendido per noi; e vi ringraziamo per il vostro servizio. Noi, però, siamo segno che il vostro è solo un segno. Voi indicate il già, noi indichiamo il non ancora del Regno” (...) Sicché coniugalità e verginità appaiono come i due versanti del Tabor. Chi raggiunge la vetta, seguendo l’uno o l’altro dei due tornanti, entra “nel riposo di Dio e nel Sabato del Signore”»

Che dire ancora del clima culturale e religioso in cui si innesta questo evento dello Spirito che è il Concilio? Oltre alla svalutazione della sessualità e del rapporto di coppia c’era una chiusura, anche sociale, del sistema famiglia in un’eticità che appare non solo autosufficiente, ma anche autogiustificantesi: è la famiglia “cappa di piombo” denunciata da Paul Bruckner, è la famiglia “tomba dell’amore” secondo un luogo comune, ben sostenuta da una società rigida e, ancora per poco, autoritaria. Con tutte le dovute eccezioni, occorre dirlo: là dove c’è umanità autentica e santità, gli steccati e i condizionamenti culturali si superano e tante buone famiglie cristiane non ne risentono, ieri come oggi!

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini
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