25/09/2012
«L’intima comunità di vita e di amore
coniugale è stabilita dal patto coniugale,
vale a dire dall’irrevocabile consenso
personale», ancora: «è Dio stesso
l’autore del matrimonio». E così
«l’uomo e la donna... prestandosi un
mutuo aiuto e servizio con l’intima
unione delle persone e delle attività...
tendono a raggiungere sempre più la
propria perfezione e la mutua santificazione
» (48, passim). «Un tale amore,
unendo insieme valori umani e divini,
conduce gli sposi al libero e mutuo dono
di sé stessi..., provato da sentimenti
e gesti di tenerezza... è ben superiore,
perciò, alla pura attrattiva erotica che,
egoisticamente coltivata, presto e miseramente
svanisce... l’unità del matrimonio
confermata dal Signore appare
in maniera lampante anche dalla uguale
dignità personale sia dell’uomo che
della donna» (49, passim).
Fermiamoci qui: le sottolineature
che abbiamo fatto già ci offrono una radicale
contestazione della prassi in cui
è accaduto oggi il rapporto d’amore.
Esso appare “voluto dall’alto”, non coniugabile
con una prassi d’amore precaria,
finché il sentimento dura: ciò
che contesta ogni convivenza, ogni
“prova” d’amore, è – nel dettato conciliare
– «irrevocabile consenso personale
»; a noi pare vi sia qui la conferma
non solo della dignità della libertà della
persona, ma della sua capacità di dire
“sì” per sempre: come a dire, l’indissolubilità
non viene calata dall’alto, come
dovere estrinseco che delimita la
“cappa di piombo”, ma da una scelta
che fonda “l’intima comunità”. Di nuovo:
tu piccolo essere umano, sia nel volto
maschile sia in quello femminile,
puoi volerlo, a partire dalla tua decisione
interiore, a partire dal tuo fazzoletto
di libertà. Poi, non sei lasciato solo,
riceverai tutti i doni e la grazia che ti costituiscono
come marito/moglie: ma il
nucleo è lì, il tuo irrevocabile consenso
che nessuno può dare al posto tuo.
Qui sono spazzate via sia le “magiche”
convinzioni (tradizionali?) di un
coniuge scelto da Dio per me, “destinato”
a me, sia le confusioni (postmoderne)
tra la labilità del sentimento e le
pretese prove “se vai bene per me”,
cioè il carico impossibile gettato sulle
tue spalle che tu sia a mia misura, che
tu mi soddisfi, che tu sia il “prodotto”
giusto per me. No, sono io che ti dico
«sto con te per sempre» senza “se” e
senza “ma”. L’irrevocabile consenso
quindi apre orizzonti che contestano
non solo le attese post-romantiche, ma
anche le “prove” che vorrebbero giustificare
un amore precario.
Prove che sono sempre più congrue
all’instabilità dei legami che la nostra
società persegue a proprio uso e consumo;
di nuovo nei termini di P.Bruckner:
«Siamo passati da una famiglia
cappa di piombo, a una famiglia tenda
bucata»; aggiungiamo: dove passano
tutte le correnti dell’instabilità e quelle
forzature che sembravano brandite come
bandiere di libertà. È solo un esempio:
una giovane donna convive con
un separato, il quale ha due figli. Al settimo
anno di tale convivenza – c’è già
una bimba della nuova unione – lei decide
di lasciare lui che la accusa di tutte
le gravi devianze che il figlio quattordicenne
sta mettendo in atto. Relazioni
bucate. Oppure forzate, oggi più che
mai: «Non posso separarmi», dice un
padre che è violento con il figlio di sei
anni, «perché sono un semplice operaio
e con 800 euro al mese non posso
pagarmi un affitto. Sto lì, anche se non
sopporto più né mio figlio, né sua madre
». Terribili tende bucate dove non
si trova più un luogo sicuro. In questo
clima il rapporto sessuale è inteso come
pura e semplice «attrattiva erotica
egoisticamente coltivata» che l’altro
mi dovrebbe garantire (che cosa ci posso
fare se io non lo/la amo più?).
Che cosa è successo in questi cinquant’anni,
a partire da un clima culturale in cui si doveva “giustificare” (rendere
buono) un rapporto sessuale tra
coniugi alla pretesa attuale che l’altro
esista per soddisfarmi? Lo dice con fulminea
chiarezza una psicanalista laica,
non certo sospetta di clericalismo, Simona
Argentieri: «Più di mezzo secolo
fa, ne Il disagio della civiltà, Freud scriveva
che la convivenza civile imponeva
dei “sacrifici pulsionali” che determinavano
lo “scontento” dell’uomo moderno.
Oggi, a dire il vero, nessuno
più si fa carico di limitare gli impulsi
sessuali e aggressivi dei singoli, ma non
per questo stiamo meglio; anzi, tutti
sembrano rabbiosi, delusi, carichi di
rancore e perpetuamente scontenti»
Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini