Educare all’amore “che resta”

Il dettato conciliare sull’educazione è molto chiaro: relazioni interpersonali e asimmetriche all’interno di ambienti saldi e vivaci, come quelli familiari, scolastici e gruppali.

I gruppi giovanili

22/09/2012

Intendo con gruppi giovanili la sollecitudine educativa della Chiesa verso i ragazzi e i giovani declinata nelle parrocchie, nelle associazioni in gruppi nei quali i giovani, aiutati dalla guida di adulti, annodano insieme l’amicizia personale con il Signore e in essa scoprono la propria originale vocazione. Il gruppo è un luogo formidabile di educazione affettiva, la rete di amicizie aiuta a scoprirsi come persona che ha valore. In questo senso è di fondamentale importanza che la relazione educativa sia personalizzata, ciascuno deve poter essere chiamato per nome perché è l’esperienza di essere riconosciuti come qualcuno che introduce nelle relazioni affettive.

Questo impone una profonda riflessione sulla struttura dei gruppi che spesso vengono percepiti dagli educatori stessi come parcheggi, poco differenziati in base all’età e agli obiettivi, a volte addirittura poveri di qualunque configurazione ecclesiale, rinunciando a una seria catechesi in favore di non si sa bene cosa. Il gruppo deve essere il luogo nel quale ciascuno è, in un determinato tempo, aiutato a scoprirsi come termine di un dono e al contempo capace di dono. Quello che spesso in famiglia viene negato, e cioè l’abitudine virtuosa a soffrire, a faticare, a fallire, a scoprire il proprio perimetro e a chiamare per nome l’amore che resta, deve essere compito del gruppo, inteso come cammino (strada e non parcheggio) e come servizio nel quale si mette alla prova la fedeltà, la relazione di dono all’altro, i propri limiti e peccati. Grande parte del compito del gruppo è educare all’alterità, al riconoscimento e alla pratica di relazioni che non siano di fusione.

Il gruppo è una sorta di microcosmo dove vivono amicizie, amori, odi, divisioni e riconciliazioni. L’obiettivo primario in questo ambito è l’annuncio sia della verità dell’amore che resta, sia, soprattutto, della misericordia come passo del cammino. Misericordia verso sé stessi e le proprie debolezze, perché in questo mondo, dove tutto è permesso ma niente è perdonato, spesso si è stretti tra l’alternativa dell’ipocrisia o della rinuncia. Ritengo infine prioritario il fatto che i gruppi non siano una sorta di “città dei balocchi” dove i giovani vivono rinserrati nel loro fortino perpetuando la separazione dagli adulti, ma luoghi di incontro generazionale dove gli adulti esercitano per essi, gratuitamente, la generatività che spesso in molte famiglie manca. Coppie di coniugi, consacrati, sacerdoti, insieme agli educatori più giovani, rappresentano per i giovani la possibilità di vedere le vocazioni e una prospettiva di vita adulta che donandosi genera altri alla vita.

Roberta Vinerba
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