Educare all’amore “che resta”

Il dettato conciliare sull’educazione è molto chiaro: relazioni interpersonali e asimmetriche all’interno di ambienti saldi e vivaci, come quelli familiari, scolastici e gruppali.

Le difficoltà emergenti

22/09/2012

Certamente «educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile». I motivi sono molteplici e non è questa la sede per esaminarli compiutamente ma di fatto, se educare significa insegnare l’arte della vita, la passione per la vita come promessa di bene, accogliere e sviluppare quel bene che ciascuno porta in sé, va detto purtroppo che non siamo più per nulla convinti che “esserci” sia un bene. Siamo una generazione di adulti che ha smarrito la voglia di vivere, adagiata sul “nulla” dei propri capricci e delle proprie pulsioni, incapace di accettare le differenti stagioni della vita, paralizzata in un eterno presente senza prospettive, senza speranze. Come può, questa, essere una generazione capace di introdurre alla vocazione a vivere? «L’unica reale possibilità di riuscir (...)(ai nostri figli) di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, (è) avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita». Nessuno può dare ciò che non ha in sé, «alla radice della crisi dell’educazione c’è (...) una crisi di fiducia nella vita6». Fa da sponda, a questo cinismo nichilista, l’assenza di un orizzonte che indichi la traiettoria dell’andare, senza la quale i giovani non sapranno mai che la vita è vocazione a diventare ciò che si è.

La questione del fine sollevata dalla dichiarazione conciliare non è, oggi, di poco conto. La molteplicità di antropologie, alcune delle quali insostenibilmente tendenti ad annullare ogni finalità nell’essere umano, avvalora l’idea che non si possa, addirittura non si debba educare: i figli troveranno da soli, sceglieranno da soli chi vorranno essere. Un’idea scellerata di libertà che conduce a un’educazione a-valoriale, che non vuole, perché in realtà non sa più il “ciò per cui”. Il fine dell’educazione cristiana è invece l’uomo perfetto che abbia la statura di Cristo (cf Ef 4,13).

Roberta Vinerba
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