Conclave, il vento nuovo delle Americhe

Dal Brasile al Cile, fino agli Stati Uniti, l'intero continente si prepara ad assumere un ruolo da protagonista negli scenari che si delineano per la Chiesa del futuro.

Cile, il vescovo che lotta per l'acqua

11/03/2013
Monsignor Luis Infanti de la Mora, vescovo di Aysén.
Monsignor Luis Infanti de la Mora, vescovo di Aysén.

Monsignor Luis Infanti de la Mora, originario di Udine, rappresenta la Chiesa ai confini del mondo. Da decenni Infanti vive e opera in Patagonia, estremo Sud del Cile, come vescovo del vicariato apostolico della regione di Aysén, territorio di oltre 100mila chilometri quadrati suddiviso in sei parrocchie, abitato da quasi 90mila persone (di cui 40mila soltanto nella città di Coyhaique, sede del vicariato). Una circoscrizione vastissima territorialmente (è la terza regione del Cile per estensione), ma abitata da una popolazione proporzionalmente molto esigua. Terra affascinante, aspra, frastagliata, costellata di fiordi, montagne e ghiaccai a strapiombo sull'Oceano. Qui, la Chiesa cattolica è molto impegnata anche sul fronte ambientale, per la difesa del paesaggio e dei beni della terra. La regione di Aysén, infatti, è ricchissima di acqua, la sua grande risorsa, ma anche la sua maledizione. Da anni la popolazione locale - ma anche la società civile cilena -  si oppone a un grande progetto idroelettrico.  Accanto alla popolazione, a portare avanti strenuamente questa battaglia è proprio monsignor Infanti, che su questo problema ha anche scritto un libro, Dacci oggi la nostra acqua quotidiana (edito da Emi).    


Quali sono i problemi principali nella regione di Aysén?

«La costanza e la partecipazione della gente di fede negli impegni e nelle attività di carattere sociale. Inoltre, la formazione degli agenti pastorali incaricati di raggiungere le popolazioni più lontane e isolate: basti pensare che la regione si estende per 900 chilometri da un estremo all'altro».

A che punto è la situazione delle risorse idriche locali, per le quali lei sta combattendo da anni?
«L'82% dell'acqua del Cile è privatizzata (nella sua proprietà, gestione e distribuzione) e in mano della impresa multinazionale italiana Enel (attraverso la controllata spagnola Endesa). Questo a causa di una politica di Stato che ha origine al tempo della dittatura di Pinochet e non cambiata dai seguenti Governi democratici, Nella regione di Aysén, in Patagonia, ricchissima di acqua, il tasso sale fino al 96%. Con questa proprietà, l'impresa sta promuovendo la costruzione di 5 megadighe sui fiumi Pascua e Baker per produrre energia idroelettrica da portare a più di 2.000 chilometri di distanza, alle imprese minerarie nel Nord del Cile. Questo megaprogetto da alcuni anni non sta avanzando, si è bloccato, solo grazie alla ferrea opposizione della popolazione. Ci sono settori della società e organizzazioni sempre più numerosi che rivendicano la non privatizzazione e la non mercantilizzazione dell'acqua cilena».

Come vivono i giovani? Quali sono i problemi della gioventù di Aysén?
«Dato che non ci sono sedi universitarie nella regione (dove la popolazione è poca), la maggior parte della gioventù emigra verso il Nord del Paese per studiare. Il 27% dei bambini e dei ragazzi della regione studiano nelle scuole cattoliche. In generale la gioventù è sanae partecipativa (nelle attività sportive, quelle ecclesiastiche, nei temi legati all'ecologia...), tuttavia c'è una minoranza che soffre dei problemi di droga e alcolismo».

Si parla molto del grande sviluppo economico del Cile. Questo progresso si riflette anche sulla Patagonia?
«Le cifre indicano una crescita progressiva del Paese. Tuttavia i benefici economici sono solo per le grandi imprese e le società transnazionali, che sfruttano le risorse naturali in cambio di benefici sociali esigui e ridotti. La disuguaglianza nei salari è impressionante. La povertà, se è vero che ha avuto un calo, tuttavia rimane elevatissima (le statistiche operano una distorsione della realtà). Sono fortemente evidenti i sintomi della corruzione sociale. In Patagonia, essendo una regione molto isolata rispetto al centro del Paese, i costi sono più elevati, i salari bassi e la situazione non è molto diversa da quella del resto del Cile».

Il paesaggio della Patagonia (Corbis).
Il paesaggio della Patagonia (Corbis).

Esiste la minaccia delle chiese evangeliche?
«Sì, le chiese evangeliche sono diffuse, però non sono molto "aggressive". Il problema di fondo è che non esiste un lavoro di dialogo ecumenico».

La Chiesa cattolica è molto seguita e ascoltata?
«Qui la grande maggioranza della popolazione è religiosa (70% cattolica, 15% evangelica). I cattolici vivono la loro partecipazione attiva nei momenti delle festività. Molti laici, grazie alla loro formazione, hanno assunto responsabilità rilevanti nella Chiesa e nella sua conduzione e gestione. In generale, si può affermare che la Chiesa cattolica è molto ascoltata, apprezzata e amata».

Come è stata accolta la notizia delle dimissioni di Benedetto XVI?
«Con sorpresa. Tuttavia apprezzando molto la umiltà del Papa nel riconoscere i suoi limiti e la sua incapacità ad animare e guidare la Chiesa attuale con le sue enormi sfide (sia al suo interno sia in relazione con il mondo e le sue culture). Sebbene sia stato un evento di rilevanza mondiale, la gente della Patagonia sente molto di più la vicinanza della Chiesa locale. Continuiamo a pregare, sia per il Papa che ha rinunciato sia per quello che sarà eletto».

La gente di Aysén come vede la Chiesa di Roma e il Vaticano?
«Con grande rispetto e affetto, senza interessarsi molto alle tante interpretazioni e versioni giornalistiche speculative. La gente ammira il Papa, la curia vaticana non entra nell'interesse delle persone di qui. Il Vaticano è ammirato essenzialmente per il suo valore storico e artistico. Ma davvero pochissime persone di Aysén hanno avuto l'opportunità di visitare Roma e il Vaticano».

Dossier a cura di Giulia Cerqueti
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