06/03/2013
Gianfranco Brunelli, direttore della rivista Il Regno.
Con la rinuncia al mistero petrino, Benedetto XVI recepisce appieno il magistero del Concilio, particolarmente della Lumen gentium. Poiché incidere sul simbolo del papato significa incidere sulla forma della Chiesa. Benedetto ridefinisce il significato e il simbolo del papato. Potremmo dire: lo aggiorna. Si tratta di una figura che diviene a un tempo più spirituale (e meno secolare), più collegiale (e meno assoluta), più funzionale (e meno carismatica). Tutto ora è consegnato alla Chiesa e al suo successore.
La rinuncia avviene al culmine di una crisi della Chiesa che – come Benedetto XVI ha detto – è anche una crisi della fede. Il punto fondamentale di un possibile rinnovamento passa attraverso la sfida di come ricomprendere il Vangelo in questo tempo. Il rapporto Vangelo e culture va posto in primo piano. Siamo carenti di stile e linguaggi. Lo stile non allude solo all’estetica dei comportamenti, ma alla loro verità, cioè all’intima coerenza tra la parola e il suo contenuto, tra la forma dell’annuncio e la forma della testimonianza.
Il cristianesimo non sopporta la separatezza tra la teoria di sé e la propria realizzazione storica. L’una cosa è l’altra. O non è. Di qui il linguaggio della nostra testimonianza. La Chiesa è portatrice di un dono gratuito che si offre fino al limite: e quell’avvento è l’avvento di Dio fin nelle pieghe più recondite dell’umano e dell’umanità. Noi annunciamo un Dio coinvolgente in ciascuna vita, non i resti occidentali del platonismo. Il linguaggio della Chiesa deve riprendere le frontiere dell’umano nelle sue contraddizioni attuali. E questo vale culturalmente anche nel confronto con le diverse discipline scientifiche.
Foto Reuters.
Il secondo punto è la rivalorizzazione della libertà religiosa in rapporto con il primato della coscienza. La
dimensione della libertà – in quanto condizione concreta e personale di
ogni autentica adesione alla verità religiosa – prevale sul bene della
verità assoluta che sperimentiamo parzialmente e interamente non
possiamo conoscere. Se siamo pellegrini della verità, allora molte
materie che affliggono la morale cristiana debbono essere riaffrontate
in chiave diversa. Anche la vicenda politica poggia su un diverso
riconoscimento della dignità personale, sia nel confronto duro e
drammatico nelle situazioni di violenza e discriminazione verso i
cristiani stessi in molte aree del pianeta; sia nell’orizzonte acquisito
della laicità occidentale; sia nelle situazioni di grave ingiustizia e
povertà.
Il terzo punto riguarda la riforma anche strutturale della Chiesa. Non più solus Pontifex.
Ma quella solidarietà e sussidiarietà ecclesiale che si chiamano
collegialità e sinodalità. Con una ripresa delle Chiese locali e il
rinnovamento della Curia, ridefinita strumento di servizio per tutta la
Chiesa e non struttura centralizzata che immagina di possedere la
Chiesa. In questa prospettiva di Chiesa come comunione è legato anche il
tema dell’ecumenismo come ricomprensione di una rottura dell’unità che
non patisce soltanto delle colpe del passato, ma anche delle nostre
attuali divisioni di potere. L’umanità ha bisogno che dal prossimo
Conclave esca un pastore di comunione, non un uomo d’ordine.
Gianfranco Brunelli,
direttore del quindicinale Il Regno
A cura di Alberto Chiara