29/05/2010
(Foto Alessandro Dalla Pozza)
E' stato un confronto serrato quello che ha visto di fronte il sociologo vicentino Ilvo Diamanti e l'economista bolognese Stefano Zamagni venerdì 28 maggio in una gremisissima sala del Palazzo delle Opere Sociali in occasione del VI Festival Biblico di Vicenza. Il tema, "Ospitalità, sviluppo economico ed economia civile", si inseriva perfettamente nel tema della kermesse vicentina dedicata all'ospitalità delle Scritture.
Ilvo Diamanti ha fatto rilevare che il concetto di ospitalità ha cambiato segno nel corso del tempo a causa di una perdita lessicale che abbiamo subito: in greco xenia indica infatti la relazione reciproca gratuita tra chi ospita e chi è ospitato ma la radice è la stessa di xenox, che significa "straniero". I due termini hanno una medesima radice dunque ma significati in chiara contraddizione nella cultura attuale. Lo straniero, lo "xenox", infatti ci fa paura anche se nella sua radice etimologica egli è invece positivamente "ospite". Il linguaggio ci impedisce però di comprenderlo in questa accezione positiva.
Secondo il sociologo c'è una domanda forte di prossimità oggi. Ma nella nostra società il "prossimo" è sparito, scomparso, abolito. Ognuno vive a casa propria, chiuso. Tutti sono diventati stranieri. Ci mancano le parole, ci manca un ambiente amico che invece abbiamo reso nemico per ragioni poco chiare: è meglio allora trovare qualche risposta alle nostre inquietudini e lo straniero fa al caso nostro.
Sorprende, secondo lui, che negli ultimi 10 anni l'Italia, seppure abbia conosciuto la maggior invasione d'Europa di stranieri, e in Veneto e in Lombardia molto più che altrove, ma non vi sia allo stesso la cosiddetta "caccia allo straniero". Anzi: Vicenza, ad esempio, è nelle prime 10 province come qualità dell'integrazione degli stranieri. Non c’è stata rottura sociale in altre parole. Quindi vviamo il paradosso che pratichiamo l'ospitalità ma non la diciamo, predichiamo male ma razzoliamo bene...
Ne è una prova il fatto che il 70% delle persone sia d'accordo sulle ronde ma nessuno poi le promuova. Siamo, insomma, cattivi a parole ma buoni nei fatti. Degli stranieri, poi, abbiamo bisogno ma ci vergogniamo di dirlo: anche qui ci mancano le parole. Quando la parola "ospite" tornerà nel nostro vocabolario vivremo meglio.
20 anni fa secondo Diamanti si parlava di "previdenza" per assicurarsi il futuro, un futuro che ancora esisteva. Oggi si parla invece solo di "sicurezza" perché si ha paura e si ha paura quando la prospettiva del futuro si è allontanata. E' la paura dunque che ci rende difficile l'ospitalità, secondo lo studioso. Ma chi è che ha più paura statisticamente? Gli anziani, chi ha un basso livello di studio, le donne più degli uomini, chi abita nei piccoli centri dove i pericoli sono minori, chi supera le 4 ore di televisione quotidiana.
Una società molto invecchiata come la nostra, soggetta alle ansie indotte dalla televisione (le notizie ansiogene in Italia sono 20 volte più numerose che in Germania e 6 più che in Francia), che non ha più mediatori sociali (partiti, sindacati, etc) e dove vincono i leaders che hanno un rapporto diretto col popolo attraverso i media e i sondaggi, è una società, secondo Diamanti, che si unisce nella paura seguendo quanto dicono i media.
Stefano Zamagni ha rappresentato la prospettiva economica della questione dell'ospitalità degli stranieri. L'economia li vuole ma la società li teme. Secondo Zamagni l'immigrazione di oggi è qualitativamente diversa da quella del passato: oggi è figlia della globalizzazione, cioè della liberalizzazione dei flussi di lavoro iniziata indicativamente nel 1975.
Esiste secondo l'economista un'asincronia tra il reddito, e quindi le tasse, che l'immigrato produce e conferisce allo stato e le cure di cui ha bisogno: egli ha bisogno da subito di cure e di assistenza mentre economicamente ci vogliono 7 anni circa perché egli possa finanziare la sua spesa di welfare. I disservizi agli autoctoni possono nascere da qui: il maggior peso iniziale degli immigrati pesa anche sulla popolazione locale e questo genera proteste. Gli Stati non hanno da subito compreso questo meccanismo. Il problema si risolve creando ad esempio un fondo europeo di rotazione per garantire il "matching" tra la curva delle tasse che gli immigrati pagano e quella della spesa sociale che generano.
Zamagni ha ricordato poi che il sociologo Ulrich Beck parli di "società del rischio". Il pensatore tedesco parla di un rischio "esogeno", cioè esterno, e di uno "endogeno", interno. Il primo, che si verifica per esempio in occasione di terremoti o altre calamità naturali, ha l’effetto di unire le persone verso un fine comune; il secondo invece può dividere le persone se non esistono relazioni umane sufficientemente forti, sia in famiglia che, ad esempio, nei rapporti di lavoro.
Un esempio di questo tipo esiste nell'economia: la terza rivoluzione industriale, la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo proprio in questi anni, ha fatto emergere infatti una sorta di "competizione posizionale", dove importante non è tanto vincere ma piuttosto distruggere l'avversario, il buttarlo fuori mercato per restarne dominatori assoluti. Qui il rischio è endogeno e quindi disgregativo.
Questo tipo di competizione posizionale provoca paura dell'altro perché lo vede come un nemico. Ora invece, l'ospitalità va coniugata a livello di rapporti interpersonali anche nell'economia. Fino al 1600 l'idea-base del mercato era tendere a un "bene comune". Nel '600 la filosofia, pensiamo solo al "mors tua vita mea" di Thomas Hobbes, induce il mercato a credere nel "bene totale", che è l’opposto del "bene comune". Si passa così da una competizione di tipo cooperativo a una di tipo posizionale, dove la paura dell'altro emerge e riduce tutti a delle monadi, a dei solitari. E' la situazione che il Cardinal Biffi, parlando di Bologna, descriveva qualche anno fa di "sazietà e disperazione".
La crisi attuale secondo Zamagni, a differenza di quella del '29, è di tipo entropico, è interna al sistema e dovuta sostanzialmente a una degenerazione del pensiero economico nel senso sopra indicato.
Per fare più figli ed essere capaci di "ospitare" occorre allora avere fiducia nel futuro ed essere veramente liberi. Occorre riconoscere però che i teorici del cosiddetto "pensiero debole" hanno sbagliato: per loro infatti la libertà è tale solo se è libertà "da" e "di" ma dimenticano che la vera libertà comprende anche libertà "per", cioè la libertà capace di spendersi a favore di qualcuno.
I giovani hanno raccolto questa eredità impoverita e si stanno dimenticando invece, perché nessuno gliela insegna, la libertà "per". Questa è una carenza molto grave perché di tipo culturale e tocca tutti i rapporti, a partire da quelli familiari: da dove viene sennò il calo dei matrimoni?, secondo Zamagni. Non certo dalla mancanza di soldi ma dalla mancanza di volontà di scommettere sul futuro.
È importante allora per il futuro dirsi in economia che non ha senso un modello di sviluppo che, mentre aumenta i vantaggi economici, fa diminuire la felicità e quindi la prospettiva di "ospitare" figli, perché quando si è infelici figli non se ne fanno.
Stefano Stimamiglio