08/05/2013
Suor Rita Giaretta
«La vita consacrata è una scelta di libertà e di dono totale. Ti viene consegnata una vita spezzata perché tu possa ricomporla di nuovo. Siamo come il vasaio che mette insieme i pezzi del vaso frantumato. A tutti i giovani cerco di trasmettere il sapore e la bellezza di questa scelta». Suor Rita Giaretta, 56 anni, vicentina di nascita ma campana d’adozione, appartiene all’ordine delle Orsoline del Sacro Cuore di Maria. A Caserta, dove vive da 18 anni, è la "buona samaritana" di tante donne sfruttate e violate da criminali e aguzzini senza scrupoli.
«Ogni giorno che passa», dice, «gusto tutta la bellezza e il fascino della mia vocazione. In una terra segnata da tante povertà, limiti e sfruttamento ma anche ricca di grandi potenzialità, a cominciare dalla profonda cordialità umana della gente, è bello sentire che mettersi al servizio dei fratelli ne vale davvero la pena».
Eppure, nell'immaginario comune, oggi più che mai la vita consacrata è vista come una scelta non di libertà ma quasi di rinuncia e di costrizione. «Sento che il rischio è proprio questo, purtroppo. Porre la vita consacrata sempre nell’ottica di un limite, di qualcosa che ci viene tolto. Non a caso si parla sempre in negativo: "non puoi sposarti", "non puoi avere figli", "non puoi fare questo o quello". Ma se cominciassimo a presentarci con il sorriso, forse faremmo sentire a tutti che essere suora non implica questo ma al contrario fa fiorire la tua vita, il tuo impegno, la tua femminilità. Noi per prima come consacrate dobbiamo utilizzare un linguaggio che faccia emergere il positivo. Il mio femminile fiorisce, si sente sereno, realizzato, pieno. Altrimenti trasmettiamo l’idea di un soffocamento. C’è una libertà interiore e profonda che viene da quel Cristo che a tutti dice "Vi ho chiamati a libertà"».
Fare del bene agli altri, dunque, come dono supremo di Dio. «Sì», risponde suor Rita, «è bellissimo arrivare a sera e dire grazie al Signore perché si è donata la propria vita diventando madre, sorella e amica di tante donne».
Una letizia, per usare un termine tanto caro alla spiritualità francescana, che ad uno sguardo superficiale sembra contrastare con la durezza delle situazioni con cui ogni giorno suor Rita viene a contatto. «La violenza che subiscono in quanto donne, vederle violate nella loro dignità e sfruttate mi procura un grandissimo dolore», afferma, «al contempo, però, avverto la grande chiamata del Dio che si fa salvezza per aiutare proprio queste persone. Vedere quei volti abbruttiti e deturpati dal dolore e dalla violenza tanto da non apparire nemmeno volti umani mi fa pensare a Gesù che andava incontro alla Croce così sfigurato da non sembrare nemmeno più un uomo. Il "miracolo" tuttavia si ripete sempre: questi volti rifioriscono, si aprono alla vita e al sorriso. Non c’è gioia più grande che vedere questo e quanto è bello il Vangelo della vita e della speranza».
Suor Rita accoglie anche donne incinte ma che si rifiutano di portare avanti la gravidanza. Grazie al suo aiuto molte si aprono alla vita. «Il sorriso di quei bambini mi dà gioia», dice, «allora sento tutto il gusto di essere donna e consacrata. È il Dio della vita che ogni giorno mi chiama a donare vita».
Ha scritto anche un libro, suor Rita. S’intitola Osare la speranza. Cosa significa per lei oggi osare la speranza? «Sentire dentro di noi che questo è un tempo favorevole, al di là delle fatiche e della complessità, per seminare speranza standoci dentro il tempo in cui viviamo».
Per spiegarlo meglio ricorre ad una metafora molto realistica: «Ogni comunità religiosa, ogni famiglia», spiega, «dovrebbe essere un po’ come una sala parto che in ogni tempo, anche in quelli più duri e drammatici, è capace di generare qualcosa di nuovo e dare vita. Osare la speranza significa io ci sto dentro fino in fondo in questo tempo, in questa storia, in questo territorio, nella Chiesa ma ci sto a testa alta, con fiducia e con speranza perché il Dio della vita è con noi e vuole che generiamo sempre qualcosa di nuovo».
Antonio Sanfrancesco
Dossier a cura di Alberto Chiara e Fulvio Scaglione