Dossier - La guerra dei cordoni

E' polemica sulla conservazione per sé delle cellule staminali da sangue cordonale in banche private. I dubbi degli scienziati e delle associazioni di volontariato.

Un dono che salva la vita

03/06/2010
La signora Federica Testa con il suo primogenito Giovanni.
La signora Federica Testa con il suo primogenito Giovanni.

Quando si parla di donazione naturalmente si parla di persone, di volti, di sofferenza ma anche di speranza. Matteo Faroni vive a Bergantino, sulla riva rodigina del Po, al confine tra il Veneto e la Lombardia, e di professione fa il macellaio. Fin qui tutto normale. Se non che, dopo due anni dalla nascita del suo primogenito Manuele, giunge una cattiva notizia. «I medici riscontrano una rara leucemia guaribile solo con trapianto di midollo osseo», dice con un sospiro l’uomo. «Il trapianto, avvenuto al Policlinico di Pavia dopo un’accurata ricerca nella banca dati internazionale di un midollo compatibile, è andato bene e oggi, a quasi 14 mesi dall’intervento, ne siamo quasi fuori». La mamma di Manuele, al momento del parto, aveva compiuto il bellissimo gesto di donare il cordone per un eventuale bambino malato. Non sapeva ancora che ad ammalarsi di leucemia sarebbe stato proprio suo figlio. Per questo la sua sacca di sangue è stata tolta dalla biobanca pubblica in cui era stoccata in quanto, non potendosi escludere cause genetiche per la leucemia, il sistema sanitario, di prassi, dispone di eliminare la donazione. Nel caso della leucemia, quindi, un’eventuale autodonazione in una banca privata non serve a nulla. 

Anche Federica Testa, impiegata di Treviso e mamma di due bambini, ha fatto l’esperienza della donazione di cordone ombelicale. «Sono molto sensibile alla tematica della donazione avendo perso qualche anno fa mio padre a causa di una leucemia. Alla luce di questa dolorosa esperienza e aiutata dalla mia fede sono diventata dapprima donatrice di midollo e, conoscendo anche la possibilità di donare il sangue cordonale, al momento del parto del mio primogenito Giovanni ho fatto questa scelta, informandomi sulle procedure da seguire attraverso un colloquio con un medico sullo stato di salute mio e di mio marito».

Naturalmente quando si partorisce occorre avvisare i sanitari. «Al momento del mio ricovero, Giovanni ho avvertito l’ostetrica di questa mia intenzione. La procedura di prelievo del sangue cordonale è stata completamente indolore». Le disposizioni previste dai protocolli medici, però, non finiscono qui: «Dopo sei mesi dal parto il laboratorio fornisce le analisi e avverte se la raccolta, in termini di quantità e qualità, è buona. A quel punto si procede con un’analisi del sangue della madre e il materiale biologico viene inserito in una banca dati internazionale». L’esito della donazione, esclama con gioia la donna, è andato a buon fine: «Dopo circa 3 anni dalla nascita di Giovanni ci hanno chiamato e avvertito che il suo sangue cordonale era stato utilizzato per un bimbo statunitense leucemico».

Alla donna che ha deciso la donazione non viene comunicata l’identità del beneficiario del sangue e, soprattutto, dell’esito del trattamento, anche per non creare traumi in caso di esito infausto. «Trovo che sia un gesto di altruismo gratuito, particolarmente adatto per una donna che sta vivendo la gioia e l’emozione di dare alla vita un bambino», conclude Federica. Un invito, dunque,  a tutte le mamme a partecipare a quella cultura del dono che rende ogni società umana più bella e vivibile.


Stefano Stimamiglio

di Alberto Laggia e Stefano Stimamiglio
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